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 2010  giugno 22 Martedì calendario

[2 Art.] I VENTI CHILI D’ORO DEL CARDINAL SEPE - Spuntano decine di lingotti d’oro tra i beni nascosti di alcuni dei protagonisti dell’inchiesta per corruzione che la procura di Perugia sta conducendo sulle attività immobiliari di De Propaganda Fide e che coinvolge l’ex ministro Lunardi e diversi alti prelati del Vaticano

[2 Art.] I VENTI CHILI D’ORO DEL CARDINAL SEPE - Spuntano decine di lingotti d’oro tra i beni nascosti di alcuni dei protagonisti dell’inchiesta per corruzione che la procura di Perugia sta conducendo sulle attività immobiliari di De Propaganda Fide e che coinvolge l’ex ministro Lunardi e diversi alti prelati del Vaticano. Infatti, secondo quanto risulta a Libero, nella banca del Papa, allo Ior, l’istituto opere di religione, sono custoditi oltre 20 chilogrammi in lingotti d’oro in una cassetta di sicurezza riconducibile a uno dei più stretti collaboratori del cardinale Crescenzio Sepe. Protetti da una banale carta da pacchi e riposti in una scatola di cartone, i lingotti sono stati protetti in banca da diversi anni. Non è chiaro se ultimamente questa fortuna sia stata spostata in tutta fretta o se i lingotti siano tuttora siano lì, sebbene le indagini si avvicinino sempre più ai conti e ai beni a coloro che hanno gestito sia Propaganda Fide, sia lo sterminato patrimonio immobiliare. PRIMA VOLTA  la prima volta che si conosce il contenuto segreto di una cassetta di sicurezza aperta allo Ior da uno dei personaggi emersi nell’inchiesta della cricca. Del resto il suo nome compare con evidenza nelle carte riservate dello sterminato archivio di monsignor Renato Dardozzi, rettore dell’accademia pontificia delle scienze e negli anni ’90 consigliere occulto dell’allora segretario di Stato Angelo Sodano. Chiamato a gestire ogni affare finanziario opaco che potesse imbarazzare i Sacri Palazzi dai tempi dell’Ambrosiano, Dardozzi coltivava un rapporto diretto con la gerarchia vaticana. Sia, quindi, con Karol Wojtyla ma anche con lo stesso Sepe. Dardozzi avrebbe gestito i primi delicati passaggi di questo tesoro in lingotti d’oro portati in Vaticano e in banca senza che gli impiegati conoscessero il contenuto dei cartoni. La tesi che gli stessi fossero frutto di risparmi e sacrifici è risultata non credibile dallo stesso Dardozzi al punto che entrò in contrasto con lo stretto collaboratore di Sepe, come risulta dalla documentazione raccolta dal monsignore. Quindi sia le operazioni di custodia dei lingotti sia l’apertura e la gestione della cassetta di sicurezzavennero inizialmente seguite in primis da Dardozzi, mentre dal 2004, dopo la scomparsa del prelato, il proprietario dei lingotti ritornò a curare questa fortuna, a gestire quindi direttamente la pratica intestando a un codice alfanumerico la cassetta contenente i chili d’oro. Una riserva aurea che non compare negli atti di indagine della procura di Perugia ma che risulta in contrasto se non addirittura incompatibile, per valore e misteriosa origine, con il tenore di vita del proprietario. Il periodo coincide sia con il Giubileo sia con la permanenza di Sepe e del suo gruppo di collaboratori alla congregazione De Propaganda Fide. Il papa rosso infatti, come viene soprannominato il prefetto della congregazione visto l’ampio potere che determina la gestione della stessa, arrivò al ponte di comando di Propaganda Fide nell’aprile del 2001 ed era considerato uno dei cardinali più apprezzati e valorizzati da Wojtyla. Chiamato quindi a gestire sia l’impero immobiliare della congregazione (duemila appartamenti solo a Roma),sia il delicato capitolo proprio delle missioni all’estero che si intrecciano inevitabilmente con la nostra cooperazione internazionale. FORZA E POTERE Da qui la forza e il potere del cardinale Sepe che già nel 2000 aveva cristallizzato una posizione di rilievo quando Giovanni Paolo II gli affidò calendario eventi e organizzazione del Giubileo. Di fronte a queste prospettive, la procura di Perugia ha deciso di percorrere l’unica strada che si prospettava di qualche fattibilità, ovvero indagare sì il cardinale, viste le emergenze investigative, senza però scivolare nel clamore, negli eccessi o nelle personalizzazioni che hanno azzoppato tante altre indagini. I LINGOTTI DI SEPE SONO CUSTODITI ALLO IOR- Sono riconducibili al fondo D.V. 2192x aperto allo Ior i plichi che conterebbero diversi lingotti d’oro e che sarebbero stati nella disponibilità di uno dei più stretti collaboratori del cardinale Crescenzio Sepe, come anticipato ieri da Libero. Di chi si tratta? Tra i nomi circolati ieri in Vaticano è rimbalzato quello di Francesco Silvano, indicato da Sepe come tra i più fidati manager ai quali affidava la gestione delle proprietà immobiliari di Propaganda Fide, ma lo stesso conversando con chi gli sta vicino ha negato di aver mai posseduto lingotti d’oro. Figlio di un macchinista delle Ferrovie dello Stato, vedovo con tre figli maschi, Silvano, dopo una vita come manager in Sip e Stet, arrivando a ricoprire la carica di amministratore delegato prima di Seat sino all’87, poi di Sip quindi di Stes e Iritel, nel 1992 entrò in noviziato nell’associazione laicale Memores Domini di Torino. Ha coperto diversi incarichi nella Santa Sede: da membro della Consulta dello Stato della Città del Vaticano a consultore della prefettura degli affari economici sino a raggiungere il vertice dell’ospedale pediatrico del Bambin Gesù seguendo poi Sepe in Propaganda Fide e all’arcivescovado di Napoli. comunque difficile che la procura di Perugia avvii una rogatoria per ricostruire la storia anche perché l’atteggiamento del Vaticano di fronte alle richieste investigative dei paesi esteri, aldilà degli intenti diffusi mediaticamente, è sempre stato molto freddo. E di scarsa collaborazione. Si pensi solo a quanto accaduto durante la vicenda dell’inchiesta milanese sulla maxi tangente Enimont: la richiesta rogatoriale del Pool arrivò da qualche manina settimane prima che venisse recapitate per via diplomatica. La risposta poi della Santa Sede si limitò a confermare già quanto i magistrati sapevano della mazzetta pagata ai partiti politici e ai manager dell’Eni per scorporare il colosso degli idrocarburi dalla Montedison della famiglia Ferruzzi. Bisogna affidarsi all’archivio di monsignor Renato Dardozzi, consigliere dell’ex segretario di Stato Angelo Sodano e rettore dell’accademia pontificia delle scienze. Dardozzi ha custodito «un pacco rettangolare come si legge in un documento interno dello Ior di medie dimensione avvolto da carta da pacco color nocciola chiuso con nastro adesivo portante sul recto un foglietto di carta bianca con la scritta di pugno del depositante ”Dardozzi Renato”. Il monsignore agiva però per conto di altri. Si tratta ora di identificare il possessore di questa fortuna della quale Dardozzi indicò l’origine nei suoi appunti. In un altro documento, invece, risulta che lo stesso plico chiuso fece diversi passaggi tra varie cassette di sicurezza per finire poi con giriconto sul fondo dv 2192x come comunica l’allora direttore generale dello Ior Lelio Scaletti allo stesso Dardozzi, eseguendo le indicazioni impartite affinché quel pacco ingombrante tornasse al reale proprietario Gianluigi Nuzzi, Libero 23/6/2010