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 2010  giugno 20 Domenica calendario

IL PUSHER AI DOMICILIARI «DEVE OCCUPARSI DI PANNOLINI E BIBERON»

Rischia di diventare il primo caso di detenuto «baby sitter» in Italia ma anche di sollevare qualche polemica: A.Q., di origine giordana, detenuto in attesa di giudizio per spaccio di cocaina, l’altro ieri ha ottenuto la concessione degli arresti domiciliari per poter curare i suoi tre piccoli bambini e permettere così alla moglie di andare a lavorare «provvedendo al sostentamento della famiglia». Allo spacciatore dunque, la pena accessoria del cambio dei pannolini e dei biberon notturni, alla moglie l’onere e l’onore della guida in famiglia. Essendo i coniugi, ed è questo il nocciolo della motivazione, «entrambi stranieri» e senza famigliari in Italia che possano aiutarli.
La decisione è stata presa dal gip Simone Luerti dopo che la moglie dell’uomo si era presentata nel suo ufficio con due pargoli di 7 e 3 anni per mano e uno ancora neonato in braccio, chiedendogli di restituirle il marito: «Altrimenti la prigione rischiamo di scontarla tutti».
La scelta del gip non è stata semplice visto che, come risultava dagli atti d’indagine e dal parere contrario del pm, i «gravi indizi di colpevolezza» contestati nell’ordine di cattura all’uomo, «non soltanto sussistono» ma si erano consolidati. Il giudice però ha ritenuto di poter prendere in considerazione l’esame dell’articolo 275 del codice, laddove al comma 4 spiega che «non può essere disposta la misura cautelare in carcere non solo nei confronti della madre di prole convivente inferiore ai 3 anni, ma anche del padre "qualora la madre sia assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole"». E a Luerti è sembrato questo il caso. E non tanto perchè bastasse che la moglie, privata del marito detenuto, fosse costretta a lavorare. Visto che per la legge è questa una «condizione del tutto normale» che «di per sè non impedisce di prendersi cura dei figli», ma «quanto soccorra l’eventuale aiuto di famigliari disponibili o di strutture pubbliche abilitate».
«In sintesi - scrive il gip nella sua ordinanza - si deve operare un contemperamento tra opposti valori e interessi, poichè entrano in conflitto, da un lato le esigenze di giustizia e comunque le (ordinarie) esigenze cautelari sottese alla misura applicata; dall’altro la tutela dei figli minori e degli infanti, non solo sotto il profilo del corretto e sano sviluppo psico-fisico, ma anche sotto quello del materiale sostentamento». Riassume Luerti: «si osserva che l’indagato è padre di 3 figli, tra cui una bambina che ha appena compiuto tre anni e un neonato di 50 giorni; è straniero come la moglie e non risulta che i due abbiano famigliari in Italia. Di conseguenza, la detenzione dell’indagato fa gravare solo sulla moglie l’onere e il carico di accudire la prole, sia di mantenerla economicamente». Il punto quindi non era tanto valutare «se l’attività lavorativa della madre comporti un impedimento assoluto ad accudire la prole, quanto piuttosto di rilevare l’impossibilità di lavorare in queste condizioni e quindi di guadagnare quanto basta almeno per il sostentamento minimo della stessa». Quanto ad eventuali aiuti pubblici «a causa dell’attuale congiuntura economica, può essere considerato oggi fatto notorio la difficoltà ad ottenre tempestivi aiuti materiali ed economici anche dai Servizi sociali». Così il gip ha ordinato che la custodia in carcere fosse sostituita dai domiciliari «da trascorrere presso l’abitazione di famiglia, ove l’indagato possa accudire i propri figli e la moglie possa assentarsi anche per lavorare».
Toccheranno a lui lavori domestici e cura dei piccoli. Perchè, conclude il giudice, «A.Q, ha fatto precipitare una famiglia regolare per inseguire il sogno del guadagno facile». E questo costituirà «ulteriore elemento di garanzia del rispetto delle prescrizioni e dei doveri rispetto alla misura cautelare domiciliare».