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 2010  giugno 20 Domenica calendario

D’ALEMA, CHE SBRONZATA

I vigneti di Massimo D’Alema sono stati appena irrigati, l’ex presidente del Consiglio, grembiulone e stivali di gomma, ancora deve tagliare i primi grappoli per bottiglie da palati raffinati ma già arrivano le prime grane. La sua nuova esperienza in Umbria, in provincia di Terni, di viticoltore nostrano di vini prelibati parte con il piede sbagliato. D’altronde, si sa, il vino appanna, può anche dare alla testa. Andando a verificare le varietà scelte da D’Alema per i suoi appezzamenti di terra si scopre infatti che metà degli impianti che ha scelto sono proibiti. In altre parole quei vitigni devono essere estirpati. Insomma, deve ancora stappare la prima bottiglia ma già vengono serviti i primi calici amari. Tutta colpa delle file impiantate nella parte bassa del terreno dove se ne contano ben 28 di Marselan e altrettante di Tannat. Ecco si tratta di due varietà proibite sia in provincia di Terni che in quella di Perugia. Infatti, andando a consultare le apposite liste di varietà autorizzate o raccomandate provincia per provincia non si tarda a scoprire che sia il vitigno Tannat sia il Marselan è bandito dalle dolci colline della zona. Una distribuzione scientifica che è legge in tutta Italia per equilibrare le produzioni in modo armonico. Non è infatti possibile impiantare qualsiasi vitigno dove si vuole. I rischi sono alti. Le file delle varietà proibite vengono estirpate e la produzione vinicola distrutta con delle pene accessorie pecuniarie non esigue. I contadini del Lider Maximo nella parte alta del vitigno avevano impiantato 35 file di Pinot nero e appena sotto altre 42 di Cabernet Franc. E su questo nulla da ridire. I dubbi arrivano però poche decine di metri più a valle quando appunto troviamo Marselan e Tannat, uve che servono per rendere il vino imbattibile ma che escono dai criteri seguiti dai viticoltori della zona. Il Tannat, tra l’altro, è un vitigno autorizzato in pochissime province perché crea colore, struttura senza passare per le varietà italiane. La pena, come detto, è quella dell’estirpazione. Un’umiliazione per il buon Massimo, che sicuramente si è affidato a tecnici e non conosce nei dettagli i rigidi parametri che regolano la vita dei vitigni Meglio quindi se ci ripenserà. La soluzione più conveniente è quella di estirpare oggi le piante piuttosto che vedersi distruggere la produzione alla prima vendemmia. Ma non basta. Il secondo cruccio per la nuova passione di D’Alema riguarda l’enologo al quale ha affidato la cura della cantina. Si tratta di Riccardo Cotarella, uno tra i tecnici più qualificati e autorevoli sul mercato che proprio di recente è inciampato in un incidente spiacevole. Da tempo Cotarella era infatti l’enologo della cantina siciliana ”Abbazia Santa Anastasia” finita nel mirino della magistratura perché ritenuta in mano a Cosa Nostra. Sia chiaro: Cotarella non è un mafioso né fa parte di quei manager della cantina finiti indagati o arrestati perché in odore di mafia. Ma il suo datore di lavoro, l’ingegnere Francesco Lena, titolare della cantina, è finito dietro le sbarre con l’accusa di associazione mafiosa. La figura rimediata da Cotarella ha fatto il giro del mondo tra produttori, tecnici e appassionati di un buon bicchiere. E impone forse qualche prudenza per un politico di primo piano.
Ma D’Alema non deve esser andato per il sottile né si è voluto fermare alle apparenze. Del resto, questo è un sogno coltivato da tempo. In segreto. Secondo Winenews, due i motivi che hanno portato il leader della minoranza a improvvisarsi vignaiolo, oltre alla grande passione per il vino: «la nostalgia di una vecchia casa che aveva il padre nel cuore di Montefalco» e le origini in terra di Puglia, «terra fortemente legata al vino». Solo qualche giorno fa durante una tavola rotonda era intervenuto da esperto e conoscitore dei segreti delle bottiglie: «La qualità crescerà dappertutto – aveva esordito -, basta pensare a come sta crescendo l’America Latina con il vino. Quest’anno abbiamo esportato più vino della Francia, primato che abbiamo festeggiato poco, raggiunto anche grazie alla nostra tradizione, ma io non sono così contrario alla moderata innovazione di prodotto, perché è stata proprio la Toscana che cominciando a mettere qualche vitigno internazionale nel nostro Sangiovese ha inventato un ciclo di vini, dal Sassicaia in giù, che hanno sbancato sul mercato mondiale e hanno cambiato anche l’immagine tradizionale». Nulla da eccepire, signor (ex) presidente, ma per favore, l’innovazione non faccia a pezzi le regole. Quei vitigni li estirpi, magari bevendoci sopra. Salut.