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 2010  giugno 21 Lunedì calendario

LA VITA FRAGILE DEI MODELLI «PRIVILEGIATI MA SENZA RADICI. LA TRISTEZZA PUO’ ACCECARE»

Ventidue anni e qualche mese, 22 Marzo 1988’ 18 giugno 2010. Tutta la vita di Tom Nicon, il modello francese morto venerdì scorso a Milano, saltato dalla finestra del palazzo di viale Papiniano nel quale viveva ospite di amici per sfuggire a un’inquietudine tanto impossibile da sopportare per lui quanto impossibile da comprendere per chi gli era vicino.
Bello e timido e fragile e all’apice del successo, uno che ce l’aveva fatta in un mestiere competitivo e difficile, già apparso in tante passerelle e pubblicità importanti (Versace, Burberry, Costume National, Vuitton, Kenzo, Hugo Boss, Gareth Pugh). Un giovane uomo con il volto da poeta e l’animo già «piegato sotto il peso di un dolore così grande» per usare le parole di Sofocle, perché davanti a certe tragedie è inevitabile rivolgersi ai classici per cercare qualche lume. E le reazioni del mondo della moda, dei modelli suoi amici, degli stilisti, di chi lo conosceva bene e l’aveva portato a Milano’ che con Parigi e Londra era la sua casa lontano dalla casa vera, nel sud della Francia, dov’era nato – cercano di darsi una spiegazione per quel salto dal quinto piano nel cortile. Voci che sembrano, riascoltate una dopo l’altra, il coro di una tragedia greca.
Guillermo, modello, brasiliano, vent’anni, parla un ottimo italiano con l’accento dolce della sua terra e cerca le parole giuste, con timidezza, come per non offendere la memoria dell’amico con un’espressione fuori posto: «Conoscevo Tom, un mio caro amico aveva anche vissuto con lui per un certo periodo, l’anno scorso: quello che dicono tutti è vero, era una persona davvero gentile, sensibile, educata. Uno che ascoltava. In questo mestiere c’è tanto stress, è vero: i viaggi, le prove, e lui magari adesso era un po’ stanco e il problema che ha avuto con la sua ragazza gli è sembrato troppo grande, chi lo sa, come si fa a dirlo. Però era un ragazzo che lavorava sempre bene, con impegno, serio: per questo aveva trovato un bel successo. Quello che è capitato non è capitato per colpa del lavoro: la tristezza, quando è così forte, è una malattia. Acceca».
Jethro Cave, figlio del musicista Nick Cave, uno dei modelli più richiesti del mondo in questo momento, capelli rasati ai lati e lunghissimo ciuffo nero, sguardo torbido come quello del papà e gli zigomi della mamma, modella anni ”80: «Tom era uno allegro, una persona positiva, bella. Maimi sarei aspettato che succedesse a lui».
Tom, australiano, ventuno anni, una copia di Gomorra in inglese piena di orecchie nello zainetto: «E’ una vita che richiede impegno, dal di fuori vedono solo i riflettori, i servizi sulle riviste di moda, ma si lavora duro e ci si sposta sempre. E’ un mestiere per gente seria, quello che pensano al di fuori è tutto sbagliato, qui quelli pigri non emergono e se Tom ce l’aveva fatta è perché era uno serio. E’ una vita di impegno, senza orari, si guadagna ma non si timbra il cartellino. Lavorare in una fabbrica o fare il contadino è senz’altro molto peggio, però. Siamo privilegiati. Ma si suicidano un po’ tutti, in tutte le categorie intendo, privilegiati e non. Solo che se capita a uno di noi fa più impressione, forse».
L’agenzia milanese che seguiva Tom e che nelle ore immediatamente successive non ha rilasciato dichiarazioni «per una questione basilare di rispetto» e in segno di lutto ha listato di nero il sito internet con una lettera per Tom : «Era un modello che lavorava benissimo, protagonista di un’escalation pazzesca che era rimasto, nonostante il successo, una persona di grande educazione e sensibilità, a cui tutti volevamo bene. E’ incredibile che adesso suo padre sia qui per riportarlo a casa, alle prese con le pratiche della burocrazia per organizzare il funerale in Francia. La moda non c’entra niente in questa storia, va ripetuto senza vittimismi ma senza paura: manca da troppe parti il rispetto per una tragedia che lascia ammutoliti».
Giorgio Armani: «Questo è unmondo troppo legato alla giovinezza, come se la vita finisse a 22 anni. Bisogna far capire ai giovani che la vita è bella anche dai 23 anni in poi. Le delusioni ci sono sempre, anche quelle d’amore, ma si devono affrontare senza tragedie. La giovinezza è un momento magico, dà la sensazione di essere belli e onnipotenti. Poi arrivano le delusioni della vita, i legami, il lavoro... ma la vita continua, val la pena di viverla. Questi ragazzi sono un po’ figli miei... Quelli nuovi che arrivano qui per le sfilate, mi chiedono consiglio, anche sul lavoro li vedi spesso incerti. Certo sarebbe bello potersi occupare di tutti, ma sono tanti».
Matteo Persivale