Paolo Conti, Corriere della Sera 21/06/2010, 21 giugno 2010
IL GIURISTA: UN CARDINALE PUO’ AVVALERSI DI IMMUNITA’ E «SEGRETO PROFESSIONALE»
«Il significato di quella frase mi pare chiaro. Cioè che ora l’autorità giudiziaria italiana deve informare ufficialmente la Segreteria di Stato della Santa Sede che si sta iniziando un procedimento contro un alto ecclesiastico. Non c’entra la Conferenza Episcopale. Parliamo di un arcivescovo nonché cardinale... l’unica sua autorità superiore è il Pontefice, quindi l’interlocutore è la Segreteria di Stato».
Il professor Enrico Vitali, docente di Diritto ecclesiastico e canonico all’università Statale di Milano, decifra così la frase di padre Federico Lombardi, portavoce vaticano («bisognerà tenere anche conto degli
aspetti procedurali e dei profili giurisdizionali impliciti nei corretti rapporti tra Santa Sede e Italia, che siano eventualmente connessi a questa vicenda»). Un’espressione solo superficialmente criptica ma che rinvia direttamente alla lettera del Concordato tra Italia e Santa Sede.
Qual è la condizione giuridica di un cardinale, professore?
«Un cardinale è in effetti una strana figura. Nel Concordato del 1929 venne equiparata ai principi di sangue reale. Infatti nelle cerimonie in teoria i cardinali dovrebbero precedere tutte le autorità, fatta eccezione per il Capo dello Stato e il presidente del Consiglio. Godono anche della cittadinanza vaticana, ma a patto che risiedano nella Città del Vaticano e in Roma».
Il cardinale Sepe ha un passaporto della Santa Sede...
«Evidentemente deriva dalla sua antica condizione di Prefetto di Propaganda Fide, uno dei dicasteri vaticani».
Facciamo un’ipotesi. Un cardinale come Sepe può essere formalmente convocato per un interrogatorio?
«Facendo valere la sua condizione speciale, potrebbe chiedere che l’interrogatorio si svolga in un luogo terzo o addirittura presso il suo stesso domicilio».
Sempre in pura teoria: potrebbe essere arrestato?
«Escludo che qualcosa del genere possa accadere, anche per l’assoluta mancanza di un pericolo di fuga. Ma inseguendo sempre le ipotesi e le congetture, Sepe potrebbe nel caso sostenere che all’epoca dei fatti contestati non era arcivescovo di Napoli ma Prefetto di Propaganda Fide. Ora, l’articolo 15 del Concordato del 1929, tuttora vigente, attribuisce a quel palazzo le stesse immunità che si riconoscono, secondo il diritto internazionale, agli agenti diplomatici di Stati esteri. E quindi, sempre in teoria, potrebbe sostenere che quanto possa essere avvenuto tra quelle mura è di assoluta e totale pertinenza dello Stato Vaticano e non riguarda minimamente la Repubblica Italiana». Viene in mente lo Ior... «Infatti. Ai tempi, la Santa Sede sostenne che Pellegrino de Strobel e Marcinkus erano "soggetti esponenziali di un ente centrale della Chiesa", quindi completamente esenti da qualsiasi ingerenza dello Stato italiano».
Ci sono poi altri fattori da tenere nel conto?
«Certamente. Per esempio l’articolo 4, al punto 4, del Concordato attuale del 1984 recita: "Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o su materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero". Una sorta di segreto professionale, insomma. Ed è evidente che in quel "ragione del loro ministero" ci si può inserire, volendo, un po’ tutto. E l’articolo fa il paio con l’articolo 200 del Codice italiano di procedura penale secondo il quale i ministri dei culti non sono obbligati a deporre su quanto conosciuto sempre in ragione del loro ministero...».
Lei come pensa che procederà tutta la vicenda?
«La vedo improntata, per ora, al totale fair play. Credo che il cardinale Sepe si sottoporrà all’interrogatorio se saranno osservate tutte le formalità richieste. Non vedo polemiche, come accadde nel caso del cardinal Giordano che si ritrovò la Finanza in casa...». Cosa accadde, in quel caso? « Molto semplicemente che c’era l’obbligo del preavviso. E che gli italiani se ne erano dimenticati...».
Paolo Conti