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 2010  giugno 21 Lunedì calendario

LE VERITA’ IMPOSSIBILI - I

giorni della memoria stanno diventando sempre più frequentemente commemorazioni di misteri insoluti. Quando parleremo di Ustica, nei prossimi giorni, lo faremo ancora una volta elencando la lista delle ipotesi che nessuna sentenza, nel corso degli ultimi anni, sembra avere definitivamente eliminato. Ci siamo ormai abituati. Dall’assassinio di Salvatore Giuliano nel 1950 alle stragi terroristiche degli anni di piombo, dal caso della Loggia P2 a quello dello spionaggio sovietico in Italia (il « dossier Mitrokhin » ) non esiste vicenda italiana su cui sia calato definitivamente il sipario della verità.
Vi sono state sentenze di tribunale, ma i tre gradi di giudizio producono spesso verdetti contraddittori, come è accaduto recentemente per le vicende di Genova durante il G8 del 2001. Abbiamo un sistema «garantista» che protegge in ultima analisi l’imputato. Ma là dove un tribunale corregge frequentemente un altro e il colpevole di oggi può essere l’innocente di domani, o viceversa, nessuna sentenza appare agli occhi della pubblica opinione, soprattutto in casi politicamente controversi, un punto fermo, una verità indiscutibile.
Quando un tribunale assolve e l’altro condanna, molti italiani, inevitabilmente, giungono alla conclusione che all’origine di ogni evento vi siano responsabilità coperte da un protettore occulto. E il Paese continua a vivere nell’impressione di galleggiare su un mare di segreti.
Gli scandali, gli intrighi e la credulità della pubblica opinione, sempre pronta a sospettare il peggio, appartengono alla fisiologia di tutte le democrazie. Se il presidente della Repubblica francese non fosse un monarca, la presidenza Mitterrand avrebbe prodotto un considerevole numero di «casi».
Non soltanto in Italia, inoltre, quando occorre fare luce su un avvenimento, le indagini possono sembrare interminabili. Per l’accertamento dei fatti accaduti a Londonderry, in Irlanda del Nord, il 30 gennaio 1972 (il massacro di Bloody Sunday), sono state necessarie due pubbliche indagini. La seconda, decisa da Tony Blair, è durata dodici anni e ha smentito la prima, ma le sue conclusioni, rese pubbliche negli scorsi giorni, sono nette e non verranno verosimilmente contestate. Forse l’esempio britannico può aiutarci a capire perché la ricerca della verità sia più complicata in Italia che altrove.
La Commissione sul massacro di Londonderry è stata presieduta da Lord Mark Saville, un uomo che ha passato la sua vita nelle aule dei tribunali, dapprima come avvocato poi come giudice, ed è oggi membro, con altri nove magistrati, della Corte Suprema, istituita un anno fa. Accanto a lui vi erano, tra gli altri, un giudice neozelandese e un giudice canadese.
La commissione istituita da Gordon Brown sulla guerra irachena è presieduta da John Chilcot, un «mandarino» che ha passato buona parte della sua carriera pubblica negli alti gradi del ministero dell’Interno. In Italia, invece, le Commissioni sono generalmente parlamentari, vengono composte con evidenti dosaggi politici e diventano spesso il luogo in cui ogni partito sostiene l’ipotesi che maggiormente coincide con la sua visione ideologica dell’avvenimento o, peggio, che maggiormente conviene ai suoi interessi. Nei casi più controversi sarebbe meglio seguire l’esempio britannico e affidare le indagini a un collegio di personalità indipendenti, possibilmente giunte alla fine di una onorata carriera. Credo che gli italiani sarebbero maggiormente disposti ad accettare le loro conclusioni.
Sergio Romano