Valerio Cappelli, Corriere della Sera 21/06/2010, 21 giugno 2010
LUNETTA SAVINO
Lo scetticismo, certi umori corrosivi, l’onnivora curiosità per la vita, la timidezza scontrosa. Ventotene ridà voce al cinema di Germi, il maestro dei delitti d’onore, il narratore delle mutazioni sociali negli anni del boom. Il 31 luglio al festival della piccola isola si svolgerà il Premio «Pietro Germi». Vinse l’Oscar, morì povero e dimenticato da tutti. La figlia, Linda, affiancando il lavoro di riscoperta che avviò il critico Mario Sesti nel libro Tutto il cinema di Pietro Germi, ha esaudito il desiderio di un premio dedicato al padre, nel festival diretto da Loredana Commonara. I vincitori della prima edizione sono Sergio Rubini e Lunetta Savino interprete di Mine vaganti. Il regista Ferzan Ozpetek si è ispirato all’autore di Divorzio all’italiana. A Lunetta è successa la stessa cosa: «Prima di girare Mine vaganti, ho visto tre volte Signore e Signori. Ho ripensato a Germi soprattutto per il mio personaggio, quando la famiglia si confronta con la città. Il perbenismo, la paura di essere giudicati, cosa possono pensare gli altri del figlio gay».
Lei è barese, il film è ambientato a Lecce.
«Due città molto diverse. Da bambina non amavo andare a Lecce dove abitava una sorella di papà e per me era tutto pesante, anche l’architettura barocca così carica. Lecce è colta, mentre la borghesia barese ostenta di più la ricchezza, è sguaiata ma vitale». Bari: Petruzzelli e D’Addario. «Mi è difficile parlare del Petruzzelli, una storia che ferisce. Gli amici mi prendevano in giro: c’era un Savino di Forza Italia indagato. Quanto alla D’Addario e le escort, le eroine nazionali, che tristezza. Ma è importante sapere. Il mio percorso artistico è stato lungo, faticoso. La gavetta è preziosa».
vero che, prima di Concetta di un Medico in famiglia, stava pensando di piantare tutto?
«Avevo presentato domande per l’insegnamento. Meno male che non sono andate in porto. Non arrivavano le proposte, ero sola, con un figlio piccolo. A teatro venne fuori la proposta per Prova orale per membri esterni. Ci misi due mesi per decidere. Venivo dal teatro serio. Ho recitato quel monologo per sei anni, dal 1995 al 2000 sono stata la professoressa Alda Santi Bocconi del Centre Pompinou, il Centro sperimentale di pompinologia. Mi vedevo sdoppiata, a me piacciono i contrasti. Parlavo di argomenti scabrosi, davo lezioni sull’arte della fellatio con la severità di una prof di mametatica. Indossavo un tailleur rosa molto Almodòvar, la borsetta piena di
ortaggi. Enrico Lucherini, il press agent, mi chiese di fare lo spettacolo a casa sua. C’era mezzo cinema italiano».
Quando lasciò Bari per Roma?
«A 19 anni. Mi sono trovata nella Roma dell’Alberichino e dell’avanguardia teatrale, fine anni ”70. Era una città difficile per una del Sud, a Roma ci si muove meglio quando le cose sono accadute. Andai a Bologna che è più raccolta. Mi fu di grande aiuto. Studiai al Dams. Ma prima, a 14-15 anni, i corsi al teatro universitario di Bari. Ho avuto una famiglia stimolante. Ero pigra negli sport, mi propose mamma i corsi di recitazione. Nelle fiction mi fanno fare la casalinga, donne nelle regole, invece appartengo a una famiglia di tutt’altro genere, anticonformista».
Le fiction hanno mangiato la sua carriera al cinema?
«Se mi guardo intorno, le attrici della mia generazione non hanno tutte queste occasioni. Di cinema ce n’è poco, la torta è piccola e i ruoli che ho avuto in tv sono buoni. Mi vedrete su Canale 5 in
Due mamme di troppo e a teatro in Bene mio core mio di Eduardo che non si fa dal 1983, l’ultima volta con Isa Danieli».
Fellini le disse che ha occhi da tigre.
«Da tigre buona, disse. Un incontro fantastico. Mi congedò così: Guarda che bell’incedere. Io avevo partorito da poco e non mi sentivo così in forma. I grandi uomini hanno la capacità di farti sentire una regina, una volta ogni tanto bisogna andarli a trovare. Meglio che andare in analisi».
Da ragazza aveva poster in camera di qualche attrice?
«Ero più rockettara, Patty Pravo, Caterina Caselli. Ora sulla scrivania ho una foto di Anna Magnani che mi guarda».
Valerio Cappelli