Francesco Alberti, Corriere della Sera 20/06/2010, 20 giugno 2010
PROTESI ORTOPEDICHE RUBATE E VENDUTE. L’INCHIESTA SULLE TOMBE VIOLATE
All’ingresso di via Delle Gavette, mentre l’incombere di un temporale incupisce il profilo ottocentesco dell’immenso cimitero di Staglieno, un cartello regala briciole di humour nero: «Vietato introdurre cose irriverenti». Irriverenti come? Forse come un vaso stracolmo di denti d’oro rubati a uno scheletro? O come una bacinella piena di femori, con tanto di protesi chirurgiche agganciate? Oppure una collezione di dentiere, ma solo se di materiale pregiato? O monili, anelli, collanine? Quanto ci può essere di irriverente, moralmente irriverente, nell’anima di uomini che non esitano a infilare le mani e la loro ingordigia tra i poveri resti di un defunto, selezionandone le ossa e gli oggetti di valore, di qua i denti, di là le protesi, mercificando i ricordi in un magazzino dell’orrore che fa un po’ Auschwitz e tanta follia? «La cripta B è in fondo al viale, vada pure, se ci tiene... », indica con una smorfia un operaio con pettorina. E’ tutto il giorno che la gente vuole sapere, e si scandalizza, di questa storia di sciacalli che depredavano salme riesumate. La cripta B non è distante dal Pantheon. Ma lontano da occhi indiscreti. Cipressi secolari. I boschi della Val Bisagno ad attutire i rumori. E poi statue e sculture, che pare di essere in un museo a cielo aperto. Hemingway, che nel suo girovagare finì anche sui 36 ettari di questo cimitero monumentale dove riposano le spoglie illustri di Mazzini, De Andrè, Parri e Sanguineti, ne parlò come «una delle meraviglie del mondo». Però non era stato nella cripta B. Adesso ci sono solo gatti che si fanno le unghie sui marmi, ma fino a poco tempo fa era questo il posto della contrattazione: i becchini arrivavano con gli ori strappati ai morti e il ricettatore con una busta piena di contanti. Poche parole, uno sguardo: lo scambio indecente.
L’inchiesta è agli inizi. Si va dal vilipendio di tombe, alla sottrazione e distruzione di cadaveri, fino al peculato e al furto di arredi artistici. «Per il momento non ci sono indagati» affermano in Procura, colti in contropiede dal Secolo XIX, che ieri ha sbattuto a nove colonne l’indagine. In mano agli inquirenti non mancano però gli elementi per arrivare a dare presto un volto ai protagonisti del macabro traffico. I carabinieri della compagnia Portoria, che hanno avviato le indagini sulla base di segnalazioni anonime «molto dettagliate» (probabilmente i parenti di qualche defunto depredato), hanno sottoposto ai magistrati una rosa di sospetti: si tratta di 7 dipendenti comunali (4 tumulatori e 3 ispettori) che, per il tipo di mansione che facevano (la riesumazione ventennale delle salme e il trasferimento negli ossari), avrebbero avuto la possibilità di fare questo sporco lavoro. Un dossier fotografico, che conferma l’esistenza del «magazzino» dove gli oggetti dei morti venivano selezionati per poi essere venduti a blocchi, offre inoltre indizi importanti per risalire alle singole responsabilità.
Tutt’altro che improvvisato il lavoro degli sciacalli. Le salme venivano depredate e ogni oggetto di valore era sottoposto a specifico trattamento. Dalle protesi ortopediche veniva ricavato il titanio.
Dalle bare, l’alluminio. Da chiarire, invece, che fine abbiano fatto le protesi dentali. Gli investigatori non escludono che «alcune possano essere state riciclate sul mercato nero»: rivendute, cioè. Nei mesi scorsi un’indagine dei Nas portò alla luce un giro di dentisti
Un’ipotesi rivoltante, se confermata. Il direttore del cimitero, Claudio Romani, non se l’aspettava: «Ho 50 persone alle mie dipendenze, il nostro è come un paese: tutti sanno tutto di tutti». Un paesino movimentato, comunque, visto che da mesi la Procura sta indagando anche su un giro di presunte mazzette per velocizzare le tumulazioni. La mette invece sul sindacale il direttore generale del Comune, Mariangela Danzì: «Avevamo segnalazioni. Questi lavoratori, sempre a contatto con la morte, sono a rischio di abbrutimento psicologico. L’unica risposta, forse, è una rotazione del personale...».
Francesco Alberti