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 2010  giugno 19 Sabato calendario

DA ROZZO A GENIO

senza cambiare idea
«Ci troviamo a Pontida, luogo consacrato dalla volontà e dal giuramento per la libertà dei nostri avi, per sottolineare che oggi inizia il ciclo politico costituente per rinnovare l’organizzazione dello stato italiano». Umberto Bossi iniziava così nel 1991 il suo discorso-fiume sul pratone padano. In quell’anno il Senatur lanciò la Repubblica del Nord. Da pochi mesi era nata la Lega Nord, al congresso immerso nella neve di Pieve Emanuele. Federalismo, autonomia, lotta alle mafie e al centralismo, riforma della costituzione, divieto di correnti nel partito...A rileggere il discorso conclusivo di Bossi, eletto per la prima volta segretario federale, sembra di sentire il Bossi di questi giorni. Idee chiare e parole pesanti. Già 19 anni fa si capiva qual era il piano padano. Una coerenza quasi incredibile, nonostante le accelerate e le frenate prima con Berlusconi e poi con la secessione. Eppure allora liquidavano il Carroccio come un’associazione di rozzi e ignoranti, di gente «col cranio lungo», sintetizzava il leader dal palco di Pieve Emanuele. Ora il Senatur è invece un genio, un fine politico e abile mediatore. Basta però rileggere il discorso finale per capire perché la Lega è oltre l’11% .
NESSUNA DISTRUZIONE
Cominciamo dal dna bossiano: il federalismo. «L’autonomismo, quello che noi chiediamo e che rappresenta lo spirito della nostra battaglia, non può intendersi provocatoriamente in senso distruttivo. Esso va inteso piuttosto sottolineava Bossi come sintesi di
una serie di tante forze sociali ed economiche, di tante volontà, di tante fedi, che rappresentano la volontà di creazione di nuove strutture». Niente paura, dunque. L’Italia non si tocca. Solo che fatta così non può andare avanti. Riforme. Subito. Infatti le cose che sostiene Berlusconi in questi giorni sono le stesse del Senatur: «Non hanno fatto il presidente eletto dalla gente, altrimenti c’era il difensore della Costituzione. Questo sistema è espressione dei partiti e tutto viene deciso dai partiti stessi. Il Parlamento e il governo sono pieni di correnti, sono deboli. Non c’è un responsabile. Chi comanda è braccato o ingabbiato dai partiti e dalle correnti». Non sembra il Cavaliere che parla? «Noi invece attaccava il leader le-
ghista non siamo come i partiti. Il nostro movimento è temprato come acciaio inossidabile al molibdeno. Guardate le foto che questi signori scattano qui a questo congresso, voi non lo avete capito, ma tra cinquanta o cento anni, quando i vostri pronipoti andranno ad aprire l’album di famiglia... capiranno che questo è stato un momento storico».
NIENTE CORRENTI
Se il Carroccio non è stato travolto dal caso Patelli, dal primo tradimento berlusconiano, dalla deriva Milosevic è perché è stato scolpito come un monolite. «Non siamo gente da correnti. Non le vogliamo semplicemente. Non vogliamo le piccole baronie locali. Non vogliamo giochi di prestigio o cose simili che fermerebbero il presente». A leggere queste parole e a vedere invece cos’è il PdL si può intuire dove il premier deve ancora lavorare. Lo stesso Bossi, 19 anni fa, sapeva che un partito è forte solo se rispetta delle regole ferree: «Oggi è nata la Lega Nord, ma prima che diventi funzionante, che abbia un’organizzazione e quindi un potere che si traduca in peso politico, occorre creare, appunto, l’organizzazione. Adesso non c’è niente. come una patacca con su scritto Lega Nord. Si tratta di costruire».
NON SIAMO RAZZISTI
E la costruzione del consenso è passata sì dal federalismo, ma anche dall’obiettivo sicurezza con la parallela lotta ai clandestini.
«Queste immigrazioni di massa sono viste come carta di smeriglio per omologare l’Europa, per fare il progetto di grande mercato europeo e dell’Europa centralista che hanno in mente pochi e grandi potentati». Basta. «Non siamo razzisti, ma bisogna ricollegare l’immigrazione a una richiesta specifica di un datore di lavoro. Il ministro degli Esteri, invece di farsi cotonare i capelli, dovrà far funzionare meglio i consolati e le ambasciate...». La Bossi-Fini non è quindi frutto del caso.
Non sono inventate nemmeno le pressioni di Bossi sull’agricoltura («Il governo deve trattare un’autentica politica agricola con l’Europa, con fede e voglia, alla luce del sole»), sulle banche («vogliamo che non vi siano disparità provocate dalla suddivisione fra gruppi privilegiati e parco buoi, siamo per l’azionariato popolare») e la Rai («chiediamo uno scorporo, soprattutto dei tg, con poli di riferimento non solo a Roma, ma anche a Milano»).
Bossi insomma sembra quello di 19 anni fa. Con più responsabilità, certo, ma anche con più esperienza. Le idee le aveva chiare anche in quella Pontida del ”91: «Dobbiamo cambiare la Costituzione perché lo Stato nazionale tradizionale è al contempo sia troppo piccolo, sia troppo grande. troppo piccolo se si considera la dimensione del mercato interno. invece troppo grande come unità di gestione della finanza pubblica per cui ne derivano economie afflitte da dirigismo e poco efficienti, dove le lobbies economiche riescono facilmente ad ottenere provvedimenti favorevoli dal governo».