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 2010  giugno 21 Lunedì calendario

CANTAMI, O SQUALO LA CRISI FUNESTA

Quando si raccontano da soli, gli investment bankers vogliono assicurare di essere persone di sentimenti umani come noi, temporaneamente traviate dall’avidità di denaro. Quando a raccontarli sono altri, i finanzieri di Wall Street e della City di Londra esemplificano una disumanità contemporanea che potrebbe prometterci anche di peggio per il futuro. A quasi tre anni dall’inizio della crisi, trovano il loro posto nella letteratura i discendenti moltiplicati e molto peggiorati - tra cocaina, aerei privati, fiumane di alcol, gipponi e maschilismo - di quelli che nei tempi di un crac di Borsa retrospettivamente assai piccolo, nel 1987, Tom Wolfe aveva rappresentato nel Falò delle vanità, e Oliver Stone aveva proposto sullo schermo con Wall Street.
Presto di Wall Street vedremo il seguito, con Michael Douglas invecchiato e l’economista Nouriel Roubini quasi nella parte di se stesso. Nella letteratura è tuttavia da Londra che arrivano i testi più interessanti per capire quanto il capitalismo disgreghi oggi le virtù morali che ne sorressero l’inizio. Sarà che nella vecchia Europa risultano più robusti, rispetto all’America, gli anticorpi contro il fascino di Mammona; come paiono anche testimoniare le e-mail di Fabrice Tourre, il trentenne francese preso di mira dall’indagine su Goldman Sachs, in confronto a quelle intercettate ai suoi colleghi americani (lui, perlomeno, confida alla fidanzata qualche dubbio). Oppure la finanza londinese era cresciuta in modo talmente spropositato da dover raschiare il fondo del barile dei giovani talenti, risucchiando non solo dalla Gran Bretagna ma da tutta l’Europa anche personaggi anomali, potenziali apostati.
Sì, anche loro, qualche volta, hanno un romanzo nel cassetto. Un manager di hedge fund, Alex Preston, è riuscito a pubblicarlo con una casa editrice prestigiosa come Faber & Faber: This Bleeding City (Questa città che sanguina), 2010. Laureato in lettere a Oxford, appassionato di Fitzgerald a cui addirittura ruba il nome del suo protagonista, nipote dello storico della letteratura Samuel Hynes, il trentunenne Preston pare distante dal cliché del finanziere, eppure nella finanza continua a lavorare, per giunta nel potentissimo e oscuro gruppo Carlyle. Il Charlie Wales del suo romanzo si macchia di colpe umane gravi, insensibilità di fronte alla crisi depressiva di una collega, trascuratezza quasi fatale nei confronti del figlio, benché sogni un tranquillo domani in campagna; condivide tutti i vizi e gli stravizi dei suoi colleghi seppur sembri meno ipnotizzato dai guadagni.
Preston sostiene che la saggistica non ha colto il senso vero della crisi «perché noi comprendiamo il mondo attraverso narrazioni, e le nostre vite sono plasmate dai miti con cui le avvolgiamo»; «è inutile spiegare che cosa sono le Abs o i Cdo o i Siv se non sappiamo che cosa c’era dentro la testa della gente che se li scambiava, ovvero l’avidità che li guidava, e quanto in fretta si sono spaventati». Il suo romanzo, modesto nella scrittura, in effetti aiuta a capire anche al di là delle intenzioni. Ha dentro un enorme vuoto: Véronique, l’amata perduta a causa del lavoro, resta sfuggente, un personaggio appena abbozzato. Il Charlie del finale, che avanza inaridendosi verso l’età matura, ha i tratti ingenui con cui i giovani si immaginano l’età matura.
Nessuno dei personaggi di This Bleeding City è squallido fino in fondo; e i colleghi di lavoro di Preston non pare l’abbiano preso male. Al contrario, ha fatto scandalo il satirico, sferzante Cityboy (Ragazzo di città) - per chi vuole, un corso accelerato di slang e turpiloquio -, memorie pochissimo travestite dell’analista finanziario Geraint Anderson, 38 anni, già dipendente di Société Generale, Commerzbank e Dresdner Kleinwort. Lui sì che c’era finito per sbaglio, un hippy figlio di un politico di sinistra, nipote di missionari anglicani; ed è all’apparenza sincero nel raccontare come è caduto nella trappola, cocaina e sgambetti ai colleghi compresi.
Nato come rubrica anonima su un quotidiano gratuito - la rivelazione dell’identità, compiuta al momento giusto nel miglior stile dell’insider trading finanziario, servì di ottimo lancio al libro - Cityboy abbonda di personaggi allo stesso tempo ributtanti e ridicoli. Racconta orge, sbronze, partite di golf e scherzi tipo caserma in un mondo macho quanto quello degli sceicchi arabi. Ma anche questo libro involontariamente svela quanto debole sia la pretesa dimensione umana dello spietato finanziere, se si riduce al sogno di oziare, da hippy un po’ invecchiato, sulla spiaggia di Goa (magari sostituendo alla cocaina la meno dannosa marijuana).
Quando invece a raccontare sono gli altri, scrittori di mestiere, la tentazione della «favola morale» è forte. Questo appunto rimprovera Alex Preston a Sebastian Faulks, autore di A Week in December (Una settimana di dicembre, Hutchinson 2009): il finanziere lì protagonista è «un cattivo da fumetti». una allusione maligna al fatto che Faulks si sia anche cimentato con un romanzo di James Bond 007, accurato rifacimento di Ian Fleming (Non c’è tempo per morire, Piemme 2009), e ha del vero. Come scrittore Faulks vale più di Preston e sa perfino narrare in parole semplici una colossale operazione di insider trading; tuttavia ha dato scarse sfumature al suo protagonista John Veals, insensibile verso la moglie e i figli adolescenti quanto pronto a rovinare tutto il pianeta per guadagnare 12 miliardi di sterline.
Va invece sul leggero Peter Torday (noto in Italia per diversi romanzi, tra cui La pesca al salmone nello Yemen, Rizzoli 2007): sceglie come protagonista un ex militare che nella finanza c’è capitato, anche lui, per caso, senza capirne nulla, e lo descrive mentre combina guai immensi, tra cui mandare in rovina il suo migliore amico e rischiare la pelle in un intrigo spionistico. Il suo The Hopeless Life of Charlie Summers (La vita disperata di Charlie Summers) pone come figure parallele un piccolo imbroglione di provincia e il fondatore di un hedge fund, con un finale a sorpresa che rivela una superiorità morale del primo. Un po’ facile, come morale della favola? Forse sia da fuori sia da dentro lo sguardo resta ancora sfocato.