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 2010  giugno 06 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

7 maggio 1898
Cannonate in Galleria
La tassa sul pane scatena la rivolta dello stomaco. Vanamente le persone di buonsenso suggeriscono al governo di cercare altrove (per esempio nel taglio delle spese militari) quei 24 milioni che mancano al bilancio. Ovunque il popolino si solleva in tumulti che hanno la parvenza di un tornado: esplodono all’improvviso e all’improvviso si spengono per poi riaccendersi con violenza ancora maggiore. in questo clima tempestoso che Milano commemora i 50 anni delle Cinque Giornate: festeggerà le vecchie barricate erigendone di nuove. La miccia è l’arresto di tre operai socialisti, sorpresi a distribuire dei manifestini di Turati. Cantando l’inno dei lavoratori, centinaia di dimostranti circondano la Questura e ne rompono i vetri a sassate. La polizia spara: sul terreno restano tre morti. I rivoltosi indicono uno sciopero generale per il 7 maggio, con il corollario di tram devastati e palazzi dei «sciuri» saccheggiati. Scioperano anche le donne, le sigaraie di via della Moscova.
Il comandante della piazza d’armi milanese, Fiorenzo Bava Beccaris, proclama lo stato d’assedio. Si spargono le voci più assurde (addirittura un’invasione di anarchici dalla Svizzera!) e il generale perde la testa. In sella al suo cavallo al centro di piazza Duomo, ordina ai soldati di sparare ad alzo zero su «qualunque assembramento umano superiore a tre persone». Un massacro nel cuore di Milano, che raggiunge l’apice dell’isteria quando Bava Beccaris si convince che i capi dei sovversivi sono riuniti in un convento di frati. Lo fa spianare a cannonate, ma fra i calcinacci - invece degli anarchici - spuntano quaranta mendicanti con i piatti della minestra in mano… Il resoconto finale dei disordini è tutt’altro che una burla: 80 morti secondo le autorità, oltre 300 per i socialisti, i cui capi vengono arrestati. Finisce in carcere anche un sacerdote, don Albertario, con l’accusa di «aver suscitato l’odio di classe». Ossessionate dai complotti, le Autorità attribuiscono troppo peso ai leader politici della rivolta, che è in larga parte disorganizzata e spontanea, come tutte le ribellioni dettate dall’appetito.
L’effetto delle cannonate milanesi si fa sentire anche a Roma. Il primo ministro Di Rudinì passa la mano al generale Pelloux, comandante della piazza militare di Bari, che a differenza di Bava Beccaris ha gestito con sapienza i tumulti della «primavera calda». Pelloux revoca le misure straordinarie contro la stampa e mette in libertà i politici reclusi, fra i quali Turati e la Kuliscioff . Ma nel giugno del 1900 perde le elezioni e si dimette, lasciando palazzo Chigi al presidente del Senato, l’ottantenne Saracco. Toccherà a lui gestire la prossima crisi: il regicidio.