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 2010  giugno 20 Domenica calendario

LE STAR DEL CARAVAGGIO

Sono soltanto ossa. Però, le venerano come una star. Aprono alle dieci per farle vedere, e alle nove c’è già gente che aspetta, qui fuori, davanti al Municipio. Bisogna andar su in ordine, entrare nella sala che sta di fronte a quella dei matrimoni, guardarle dentro questa teca e poi far domande ai professori e alle cinque ragazze che stanno davanti. Questo è il Caravaggio, questo pezzo di cranio, questo femore, questi otto brandelli chiusi nel vetro, questo reperto numero cinque del cimitero San Sebastiano di Porto Ercole, e questo nome che da solo evoca le sue tinte, e tutta la tragicità della sua vita. E questo è il suo pubblico, Jacopo che è partito di corsa nella notte, con quattro amici, da Palermo, per venirlo a vedere, o Kate Hodgson, 52 anni, Londra, che è arrivata da Firenze e adesso sta qui che stringe un libretto in mano con la vita del Caravaggio, o questa ragazza che gli lascia un mazzo di rose prima di andarsene via, dopo aver visto solo questi piccoli frammenti ossei, questi antichi pezzi di vita. Quello che affascina, forse, è il nome che gli hanno dato, come dice Gerard Lapie, che vive a Parigi. «O l’incredibile misterioso fascino della scienza». Perché in fondo molti quelli che passano di qui chiedono sempre la stessa cosa: come fate a essere sicuri che sia lui, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio?
Il primo che entra è un signore di Ravenna, Piero Gulmanelli, che aspettava da un po’. Alla fine, hanno deciso di aprire prima, alle 9 e mezzo. E anche Gulmanelli chiede perché sono sicuri. Allora il professor Massimo Andretta rifà tutta la storia, e dice che questi resti sono stati ritrovati a Porto Ercole, dove si suppone che lui sia stato sepolto nel 1610, e dagli esami fatti corrisponde l’altezza, e corrispondono altri dati somatici. Inoltre, in queste ossa è stata rinvenuta un’alta quantità di piombo, e la biacca, usata dai pittori, era a base di carbonato basico di piombo. Alla fine hanno fatto l’esame del Dna: per questo possono dire che sia proprio lui. «Abbiamo rintracciato ben 25 persone che si chiamano Merisi o Merisio», spiega il vicesindaco di Ravenna, Gianantonio Mingozzi, «e tutti i dati confrontati lo confermano». Elisabetta Cilli, una delle 5 ricercatrici che ha svolto questo studio, aggiunge che «anche tratti del cromosoma y sono in comune». Per ora i dubbi sono solo di Maurizio Marini, uno studioso dell’artista: «Non credo che siano le sue spoglie. Manca il riscontro con il dna della madre, una Aratori». E’ una voce così isolata che di fatto se lo contendono già tutti. Ha cominciato Matteo Salvini, Lega Nord: «La sacrosanta e naturale sepoltura del Caravaggio è a Milano». Ha continuato il sindaco Letizia Moratti: «Ha ragione Salvini». Ora è venuto il turno di Arturo Cerulli, il primo cittadino del Monte Argentario: «E’ fuori discussione: le ossa di Caravaggio devono restare qui, a Porto Ercole, dove è morto». Oggi, quelli che passano davanti a queste spoglie chiedono perché non debba restare invece qui, a Ravenna. «Perché noi vogliamo restarne fuori», risponde Mingozzi. «Ci interessa lo stile della ricerca scientifica. Noi ci vogliamo caratterizzare solo per il lavoro fatto».
Niente spettacoli, dice lui. Però, come si possono chiamare altrimenti queste code? Succede persino che le tre coppie che ieri mattina dovevano sposarsi in Municipio finiscono tutte per mettere il naso dentro alla sala consiliare dove sono esposte le misere spoglie, perché erano spariti i parenti e gli amici: erano andati tutti lì, da questa strana nuova star, davanti a un femore, a un pezzo di cranio, alla parte inferiore dell’apparato dentale. Le ossa sono esposte come in un trionfo della morte, così barocco e postmoderno, anche senza l’immagine dei corpi abbandonati allo strazio di certi quadri del pittore, fra drappi e pose teatrali. Ci sono soltanto otto poveri, antichi frammenti, racchiusi con ordine quasi sacrale dentro questa piccola teca in plexigas sopra un telo rosso. C’è la scienza al posto della tragedia umana e dei suoi colori, non ci sono tinte fosche, non ci sono chiari e scuri, ma solo lo studio algido dei resti di una vita. Eppure, il richiamo sembra lo stesso e in due ore appena sono arrivate quasi novecento persone, ed erano già in coda al mattino presto, tanto che non solo hanno dovuto anticipare l’apertura alle nove e mezzo, ma hanno pure dovuto chiudere mezz’ora dopo, perché ce n’erano altre che aspettavano in fila quando il tempo era già scaduto. Moltissimi giovani, bambini delle elementari accompagnati dalla maestra (alla scuola Mordani il tema era dedicato a questa mattinata), molte coppie, tanti francesi e qualche inglese come James Harcourt, Birmingham, Inghilterra, che racconta di essere arrivato a Ravenna per la tomba di Dante, e di aver saputo «per caso, in albergo, delle ossa del Caravaggio». Lo dice lui: «Non mi aspettavo di veder tanta gente».
Come per la mummia di Otzi, che richiama ancora mucchi di turisti in Alto Adige, ci deve essere il fascino del passato a ispirare tanta passione, oltre al mistero naturale di quel che resta dopo la morte. Sta di fatto che in Comune, dove hanno conservato una attentissima cartella stampa, certificano la bellezza di «196 servizi televisivi andati in onda su emittenti di vari paesi del mondo nella sola giornata di mercoledì, dopo l’annuncio che queste ossa erano quelle di Caravaggio». E gli articoli, soprattutto sui giornali internazionali, «sono stati addirittura 922», aggiunge Mingozzi. Allora, qualcosa di spettacolare c’è. Così, come in un film, l’ultima visitatrice è rimasta in silenzio a guardare le povere spoglie e poi, prima di uscire, ha posato un mazzo di fiori sulla teca. Anche questo è un modo per salutare la vita. Erano rose rosse.
La vita violenta del genio
Il suo volto gli italiani lo hanno tenuto in tasca dal 1983 all’avvento dell’euro: stampato sui fogli da centomila lire. Michelangelo Merisi, o Merisio, detto il Caravaggio, è stato il primo grande pittore barocco. Nato nel 1571, forse a Milano, da genitori di un piccolo centro del Bergamasco (Caravaggio, appunto) la sua vita fu estremamente vivace, e non solo dal punto di vista artistico. Coinvolto in risse e violenze venne arrestato più volte, soprattutto durante il periodo romano. All’apice del successo, sotto il suo primo mecenate, il cardinal Francesco Maria Del Monte, fu costretto a fuggire da Roma nel 1606, dopo aver ucciso un uomo per un diverbio seguito a un fallo nel gioco della pallacorda (per alcuni biografi quello fu, in realtà, il suo secondo omicidio). Condannato alla decapitazione (che poteva essere eseguita da chiunque lo riconoscesse per strada e che divenne un tema ricorrente della sua opera) riparò prima a Napoli, quindi a Malta e infine in Sicilia. Rivoluzionò lo stile del tempo introducendo uno sfrontato naturalismo e un innovativo uso della luce che, in modo teatrale, portava in primo piano i volumi dei corpi, facendoli uscire dal buio della scena. Ma Caravaggio fu anche uno dei primi «personaggi»; una «star» nota oltre che per l’immenso genio artistico, per gli eccessi della vita privata.