Giacomo Galeazzi, La Stampa 20/6/2010, 20 giugno 2010
E IL VATICANO NON FAR BARRICATE PER IL CARDINALE
Che la bufera fosse in arrivo la Segreteria di Stato vaticana lo sapeva da tre giorni. «Non sarà un nuovo caso Marcinkus, la responsabilità è personale ed è il cardinale Crescenzio Sepe a dover rendere conto ai pm della sua gestione di Propaganda Fide», mettono le mani avanti Oltretevere. Man mano che dalla procura di Perugia piovono informalmente in Curia aggiornamenti inquietanti sul coinvolgimento nell’inchiesta G8 dell’ex «papa rosso» e attuale arcivescovo di Napoli, nei Sacri Palazzi torna a circolare come una maledizione lo spettro del «banchiere di Dio» coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano e accusato dai giudici italiani di essere implicato attivamente nello scandalo finanziario.
L’uomo della finanza pontificia non fu arrestato perché godeva dell’immunità vaticana, ma soprattutto perché nel 1982 la Santa Sede fece quadrato a sua difesa. Giovanni Paolo II, infatti, riconosceva al capo dello Ior il merito di aver sostenuto in Polonia la resistenza anticomunista di Solidarnosc. «Stavolta la musica è diversa», chiariscono al Palazzo Apostolico. Il porporato campano non riceverà da Roma lo stesso appoggio incondizionato dell’arcivescovo americano per il quale erano appostate agli ingressi della cittadella papale le volanti della polizia incaricate di condurlo in carcere. Parallelamente agli interrogatori a Perugia dei collaboratori di Sepe (tra gli altri, Francesco Silvano, suo braccio destro al comitato per il Giubileo e al ministero delle Missioni) in Vaticano vogliono vederci caso sui presunti conti allo Ior della «cricca». Oggi Sepe guida un’arcidiocesi e fa parte del Sacro Collegio.
La Curia di una città non è area extraterritoriale, però i cardinali godono di alcune «guarentigie», cioè esenzioni e diritti particolari, come la «libertà di comunicazione» con il Vaticano. Tra la procura umbra e la Segreteria di Stato si dipana il filo delle prerogative giuridiche garantite ai «principi della Chiesa» dai rapporti Italia-Santa Sede secondo il Concordato. Quindi, i cardinali «sono sempre e in ogni caso esenti dalla giuria» e «l’autorità giudiziaria deve informare l’autorità ecclesiastica dei procedimenti penali promossi a carico di ecclesiastici». E ciò sembra spiegare l’attivismo con cui da mercoledì in Segreteria di Stato si accredita la linea del rinnovamento e della discontinuità tra vecchia e nuova gestione.
Per la magistratura avere a che fare con un cardinale è una questione di estrema delicatezza. Né lui né la sua abitazione né il suo ufficio possono essere sottoposti a misure di giurisdizione e i suoi documenti non possono essere sequestrati. Indagare un porporato è complicato, soprattutto se la Santa Sede ritiene che sia stato ingiustamente coinvolto.
Stavolta, però, pur senza strappi o pubbliche dichiarazioni, il Vaticano sta prendendo le distanze dall’ imbarazzante vicenda. In mezzo ci sono «consultori» di Propaganda Fide, come il Gentiluomo di Sua Santità Balducci, Pasquale Lise e Silvano. Ma soprattutto Sua Eminenza. Benedetto XVI non apprezza le rivelazioni che stanno emergendo. La sua «allergia» agli affari consumati all’ombra del Cupolone è nota. In occasione del Giubileo (il cui organizzatore era Sepe) l’allora cardinale Ratzinger si definì «in difficoltà in una struttura celebrativa permanente», citando lo scrittore Giovanni Papini per denunciare il rischio che l’Anno Santo (nel 2000 come mezzo secolo prima) si tramutasse «nella sarabanda degli interessi e degli agi moderni, in una vasta speculazione turistica, in una specie di kermesse euforica e mammonica». Anche per questo in Segreteria di Stato fanno notare che la gestione è cambiata e che eventuali responsabilità, ove mai fossero provate, ricadono su chi ha guidato la Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli dal 2001 al 2006. Tradotto: sull’attuale arcivescovo di Napoli Sepe.
«Cautela» e «disponibilità a collaborare per l’accertamento della verità» sono le parole d’ordine tra i collaboratori di Ratzinger: ci si trova di fronte a fatti che «vanno tutti verificati» e su cui la «magistratura ha il dovere di fare chiarezza». In ogni caso, la pulizia, il rigore e la trasparenza invocati da Benedetto XVI non riguardano solo le vicende di pedofilia ma anche la gestione della macchina di Curia. Sepe è stato per un quinquennio il «dominus» del dicastero più ricco della Santa Sede, con un patrimonio di 9 miliardi, dopo aver organizzato 240 eventi giubilari. «Bisogna chiederne conto a chi sa», precisano in Curia.