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 2010  giugno 19 Sabato calendario

TULLIO PERICOLI

Si respira un´aria di calma apparente e di assenza di provocazione, nella mostra di Tullio Pericoli dedicata al volto e al paesaggio e allestita negli spazi dell´Ara Pacis (visitabile sino al 19 settembre, catalogo Skira a cura di Federica Pirani, testi di Bodei, D´Amico, Pirani). Nulla qui è gridato, imposto, forzato. Il tratto riconoscibile della sua pittura richiama insieme la leggerezza e la matericità. E´ un equilibrio, quello che egli realizza, che non teme rotture e non precipita nel disordine: la materia, il colore denso che la rapprende, sembra offrirsi all´occhio di chi guarda come la solida base di un mondo che l´artista conosce benissimo e ama.
I paesaggi qui non nascono a caso. Appartengono alla colline picene, a quegli squarci di terreno ondulato, rugoso, macchiato, con i quali l´artista a lungo ha convissuto. Ad essi, sembra suggerirci l´artista, spetta il compito di rinnovare un patto ancora possibile tra l´uomo e la natura. Da tempo questo patto è stato, con brutalità e violenza, rotto. Le ferite inferte alla natura appaiono difficili da rimarginare. Eppure se non potessimo, anche solo per un istante, immaginare che sia ancora possibile porvi qualche forma di rimedio verrebbe meno la stessa presenza umana come progetto dotato di senso.
L´arte non può redimere, ma può testimoniare che quanto accade, o esiste da sempre, ha una storia visiva, che Pericoli vive e narra come il riflesso di qualcosa di originario che ancora non ci ha abbandonati. Il mondo c´è, continua ad esserci, ci ricorda l´artista. Quel mondo malgrado tutto è ancora il migliore antidoto alla finzione e al falso. Non si capirebbe la stretta connessione, che Pericoli mette in atto, tra la pittura del paesaggio e quella del volto se non si avesse chiaro il passaggio continuo dell´uno nell´altro.
Disposti come fossero su un´isola, nascosti da un gioco di muri che in parte li separano dal resto delle opere, i volti ritratti ci appaiono come il necessario contrappunto del paesaggio. Non è casuale che Pericoli abbia per la prima volta forzato i confini del volto, dilatandolo, ingigantendolo, fino a trasformarlo in una singolare mappa geologica, del tutto simile al paesaggio.
Sicché nei volti di Beckett, di Pasolini, Saviano degli amici che l´artista ha voluto ritrarre (Caracciolo, Scalfari, Calasso, Magris, Botta, Gregotti, Testori, Loi, Bassetti, Pollini), affiorano le medesime sinuosità e asprezze che ritroviamo nei suoi paesaggi. E´ curioso che tra quelli dipinti siano assenti i volti di donne. Eppure meravigliosi erano, per citare alcuni nomi, i ritratti della Woolf, della Morante, della Yourcenar che egli disegnò in passato.
Pericoli è un uomo schivo e colto. Ma è soprattutto un artista che lavora fuori dagli odierni schemi. Nel panorama dell´arte contemporanea egli vive defilato. Si direbbe che la sua pittura sia indenne da tutti i discorsi, fin qui svolti e risaputi, sulla morte dell´arte, sul ready made, sulla trans e post avanguardia. Il suo linguaggio può dunque apparire senza la necessaria sperimentazione, può non provocare lo sconcertante disorientamento che molta arte, alimentando il mercato, oggi produce. E´ la ragione per cui la sua pittura può trarre in inganno. Apparendoci a volte ilare, fantasiosa, ottimista. Dotata di certezze che possono trasmetterci un senso di rasserenante benessere. Quasi che i suoi lavori vengano eseguiti in assenza di dramma e al riparo dalle tragedie.
In realtà, Pericoli è perfettamente consapevole di ciò che accade nel mondo: dei suoi conflitti, della sua paradossalità, del suo decadere. Egli non ne ignora l´esistenza, semmai la ricomprende segretamente nella sua pittura. Nulla, perciò, è davvero come appare. Sotto l´elegante policromia dei paesaggi scorgiamo un labirinto di segni e di linee che cattura e sprofonda l´occhio di chi osserva. Ne intimidisce le certezze. Ne alimenta l´inquietudine. Improvvisamente una visione dall´alto, del tutto simile a una cartografia, si trasforma in una serie di dettagli insoliti che nascono soprattutto dall´uso del rosso e del nero.
Analogamente i volti che egli ritrae hanno, dietro l´apparente verosimiglianza con gli originali, una potenza metamorfica essenziale. Già negli schizzi a matita, ma poi nella serie dei Beckett, per finire con lo straordinario grido pittorico che è il Pasolini - tanto scimmiesco, nel muso appena accennato, da apparirci in evoluzione darwiniana - Pericoli destruttura la sua arte, la rimette in discussione con gli stessi strumenti con cui in precedenza l´aveva legittimata.
Non si tratta qui di dire tutto e il suo contrario. Ma sotto questa mostra, sotto i lineamenti che la definiscono, occorre anche leggere i tormenti, le ansie, e le inquietudini che albergano in chi la realizza. Le passioni, le emozioni, che Pericoli ci trasmette sono la trama invisibile del suo mondo: l´ironia e la paura, la felicità e il dolore, l´incertezza e la forza: tutto rivive attraverso le sue linee e i suoi colori. Pericoli ne conosce il destino, o almeno uno dei possibili. E lo racconta come fosse ancora una parte del nostro vivere umano.