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 2010  giugno 19 Sabato calendario

PERCH COS DIFFICILE NEGOZIARE CON CUBA

Durante un incontro con i giovani dei Club della Libertà, Berlusconi ha detto che sta trattando il rilascio di 150 prigionieri politici di Cuba. Con chi sta trattando? Ha parlato di «Castro», ma a Cuba i Castro sono due. Faceva riferimento a 150 prigionieri, quando i detenuti politici (che peraltro il governo cubano considera solo mercenari al soldo degli Usa) sono circa 200. Ammesso che il premier riesca dove non é riuscito né Zapatero, né il Papa, né Obama, quale sarebbe la contropartita che l’Italia si appresterebbe a concedere? Forse lo sdoganamento definitivo presso i partner dell’Ue del regime di Fidel Castro che nel 2003 definì il premier italiano «Burlersconi» e «pagliaccio» e fece sfilare un milione di persone contro la nostra Ambasciata all’Avana?
Domenico Vecchioni
domenicovecchioni@yahoo.it
Caro Vecchioni, nella stessa occasione il presidente del Consiglio ha detto anche: «Il colonnello Gheddafi ha promesso di consegnare, solo a me, il cittadino svizzero trattenuto in Libia». Il governo di Tripoli ha riconosciuto il ruolo di Berlusconi nella soluzione del caso e anche gli svizzeri sembrano attribuirgli qualche merito. Sappiamo che il presidente del Consiglio crede all’importanza degli interventi personali nella politica internazionale ed è molto orgoglioso delle amicizie che avrebbe stretto con alcuni uomini di Stato, da Putin a Erdogan. Ma i Castro (Fidel e Raul) non appartengono alla cerchia dei suoi amici. Le perplessità espresse nella sua lettera sono quindi giustificate. La liberazione di un certo numero di prigionieri politici dimostrerebbe inoltre, al di là delle possibili contropartite, che il regime ha imboccato la strada delle riforme. Ma i segnali, per il momento, non sono incoraggianti.
Verso la fine della presidenza Bush, Raul Castro aveva pronunciato discorsi da cui sembrava emergere, sia pure con grande prudenza, la prospettiva del cambiamento. All’inizio del suo mandato, Barack Obama ha fatto qualche apertura (troppo modesta a mio avviso) che Cuba avrebbe potuto raccogliere e incoraggiare. Ma il regime si è rinchiuso nella sua fortezza e ha alzato i ponti levatoi. I prigionieri politici sono sempre in carcere, le «Damas blancas» manifestano silenziosamente per i loro congiunti senza alcun risultato, e i blogger, come ha spiegato Rocco Cotroneo ai lettori del Corriere (16 giugno), vivono in regime di libertà sorvegliata.
Le spiegazioni, a mio avviso, sono due. In primo luogo anche a Cuba, come nella Corea del Nord, esiste una folta nomenclatura di «aparatchiki» che non intendono rinunciare allo status di cui godono. In secondo luogo Cuba èmeno isolata, paradossalmente, di quanto fosse dopo la fine della guerra fredda e il crollo dell’Unione Sovietica. Può contare sull’amicizia di quel fronte anti-americano che si è costituito durante la presidenza Bush. Può contare, in particolare, sul sostegno di due potenze latino-americane, Venezuela e Brasile, che le garantiscono aiuti energetici e solidarietà internazionale. Non escludo che Raul Castro abbia intenzioni riformatrici e possa diventare il possibile interlocutore di un uomo politico occidentale. Ma è sorvegliato a vista dal fratello Fidel e prigioniero della nomenclatura. Spero che il presidente del Consiglio lo sappia.
Sergio Romano