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 2010  giugno 19 Sabato calendario

SORPAVVIVERE ALLA TERAPIA DI COPPIA

Monica aveva 19 anni quando ha conosciuto Massimo. Poi, l’amore, il matrimonio, due bambini e una discreta tranquillità. Fino al 2007: a 36 anni Monica ha capito di essere in crisi. Probabilmente, tempo fa, avrebbe cercato di risolvere tutto da sola. Oggi, quando lui o lei (o tutti e due) sono in crisi sempre più spesso scatta la terapia di coppia: un territorio neutro in cui parlare apertamente, guidati da una terza persona, l’analista. Come ha fatto Monica: «Forse mi ero concentrata troppo sui bimbi. Ma non mi sentivo più considerata. Io emio marito ci siamo ritrovati a non stare più bene insieme. Siamo andati in terapia: venti sedute e sembrava che andasse meglio». Monica e Massimo, alla fine, hanno deciso di separarsi. Ma il percorso fatto non è stato inutile: «Mi è servito per capire che la mia vita non era sbagliata in assoluto. Ma probabilmente lo era diventata con lui».
La terapia di coppia è frequentatissima da chi spera che con l’aiuto di un professionista si possa di nuovo fare ciò che, misteriosamente, all’inizio della storia era così naturale: capirsi. Se prima l’analisi era un momento personale, negli anni il lettino dell’analista è diventato sempre più largo. Da una striminzita chaise-longue è ormai un comodo matrimoniale. Perché? «Una crescita individuale diversa crea problemi di comunicazione. Le persone mi sentivo destabilizzata». Lo stesso per Alberto e Paola: «Ci arrabbiavamo ma dopo quattro mesi ci eravamo riavvicinati. Forse io, pur essendo legato a lei, non la vedevo più come la mia compagna». Da cosa dipende allora il successo o il fallimento della terapia? Andolfi spiega che «se si è determinati a finire la storia è difficile tornare indietro». Eppure Monica assicura: «A inizio terapia non avevo prevenzioni». E Alberto: «Noi volevamo capire: se c’era il cadavere della nostra storia allora volevamo vederlo». A volte la rottura è inevitabile. Dal 1996 al 2006 in Italia per l’Istat i divorzi sono aumentati del 51 per cento e le separazioni del 39. Più quelle delle coppie di fatto. Sbaglia chi crede che lasciarsi sia più semplice che restare insieme. La verità, dice Andolfi, è che «nella coppia c’è chi cresce e chi rimane fermo. Spesso chi decide chiedono aiuto ma spesso troppo tardi. Oppure uno sente di stare male e l’altro no», spiega Manuela Tomisich, docente all’Università Cattolica di Milano e esperta in terapia di coppia. Ma la terapia aiuta a «risintonizzarsi»? Fa davvero bene il confronto? Dirsi tutto non rischia di essere il colpo definitivo per una relazione già traballante? Germana Agnetti, psichiatra e psicoterapeuta esperta in coppia, sottolinea: « importante stabilire la comunicazione attorno ai nodi problematici». «Le cose non dette fanno più male della verità. Non dire ciò che si prova rende falsa la vita», ribadisce il professor Maurizio Andolfi, cattedra alla Sapienza e direttore dell’Accademia di psicoterapia della famiglia a Roma.
Alberto e Paola sono andati in terapia per sette mesi. Sono insieme da 16 anni ma si conoscono fin dal liceo. Poi è nata la loro bambina, Viola, che oggi ha cinque anni e mezzo «e sono saltati gli equilibri: abbiamo dovuto rivedere il contratto», scherza Alberto. «In passato avevamo avuto altre storie, estemporanee e dichiarate. Da quando è nata Viola non ci sono più stati tradimenti finché ho iniziato un’altra relazione, scoperta da Paola». Non è una rarità. Andolfi ha individuato quattro situazioni che portano alla rottura: «Figlio, lavoro, amante, suocera». Ammette Alberto: «Da quando è nata la bimba sentivo Paola distante ». Catia, 49 anni, di Bologna, crede nella terapia. Tanto da averla fatta due volte: prima con il marito poi con il nuovo compagno. «La terapia aiuta a capire noi stessi e l’altro. E a mantenere un sentire positivo verso il rapporto di coppia» .
Le sedute costano dai 60 ai 160 euro e spesso sfociano in discussioni. Un salasso per litigare? «Il professionista deve organizzare un contesto a-conflittuale», spiega Agnetti. Nel caso di Monica eMassimo non sempre è stato possibile: «Abbiamo litigato tanto in seduta. Uscivo piangendo, di separarsi è una persona che soffre perché ha più consapevolezza di essere in un rapporto che non funziona. Non deve prevalere la logica del vincitore-vinto». Altrimenti dolore e frustrazioni montano in una rabbia che rischia di travolgere tutto. Per evitarlo, quando l’addio è deciso, esiste il mediatore familiare. «Aiuta a portare avanti compiti propri degli adulti, come l’essere genitori», dice Tomisich. Alberto e Paola hanno dirottato la terapia in mediazione. Ma come far funzionare nel tempo una relazione? Tomisich scandisce: «Comunicazione, condivisione e confronto». Capito questo, ci si può magari rituffare in una nuova storia. Un secondo matrimonio, anche. Che poi funzioni omeno, come ricorda il poeta Samuel Johnson, resta comunque il trionfo della speranza sull’esperienza.
Chiara Maffioletti