Paolo Rastelli, Corriere della Sera 19/06/2010, 19 giugno 2010
EINAUDI, LE TASSE E LA «RESISTENZA» DEI CONTRIBUENTI
«La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco». Ennesima dimostrazione che in Italia il passato non passa mai, Luigi Einaudi scriveva queste parole sul Corriere della Sera del 22 settembre 1907. Lo scenario era allora quello che conosciamo benissimo oggi: da una parte contribuenti e commercialisti impegnati a inventare «le forme più complicate e artifiziose» per pagare il meno possibile, dall’altra «gli agenti fiscali che devono usare la maggiore accortezza per spogliare della corteccia posticcia» le dichiarazioni dei redditi. Tasse di bollo, imposte di registro, prelievi su beni mobili e immobili, imposte di successione: i campi di battaglia tra Stato e cittadini erano quelli di sempre. Einaudi da buon liberale vecchio stampo era certamente contro l’evasione («la frode degli uni costringe l’erario a gravare la mano su quelli che frodare non possono») ma non era dispiaciuto di ciò che chiamava «la vivace resistenza dei privati» nei confronti delle «altissime aliquote». Se tutti pagassero senza fiatare, argomentava l’economista, «la Finanza si adagerebbe sulle alte quote, paga dei guadagnati allori. Invece la frode persistente la costringe a riflettere» se non le convenga abbassare le aliquote. La riflessione, posto che sia iniziata, deve essere ancora in corso.
Paolo Rastelli