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 2010  giugno 19 Sabato calendario

[3 Art.] QUATTRO PALLOTTOLE PER RONNIE- New York - I rigagnoli di sangue che colano attraverso la tuta scura vengono raccolti da una bacinella di metallo posta sotto il patibolo, mentre l’odore acre della polvere da sparo riempie l’aria

[3 Art.] QUATTRO PALLOTTOLE PER RONNIE- New York - I rigagnoli di sangue che colano attraverso la tuta scura vengono raccolti da una bacinella di metallo posta sotto il patibolo, mentre l’odore acre della polvere da sparo riempie l’aria. Sono le 24 e 17 in Utah, e il medico legale del carcere di Draper si avvicina a Ronnie Lee Gardner, tira su il cappuccio che gli era stato assicurato sul viso, facendone intravedere la bocca mezza aperta. Con due dita sente il battito sulla parte sinistra del collo, poi sulla destra. « morto», dice guardando le autorità del penitenziario statale che hanno assistito all’esecuzione, la prima dopo 14 anni in Utah condotta con la fucilazione. Era stato lo stesso Gardner, condannato a morte nel 1985 per duplice omicidio, a preferire il plotone di esecuzione all’iniezione letale. La sua volontà è stata rispettata. L’omicida, 49 anni di cui più della metà trascorsi dietro le sbarre, viene svegliato a mezzanotte in punto nella cella da dove si trova in via provvisoria da qualche giorno, sembra calmo, la testa è rasata di fresco e i baffi curati, è scalzo e indossa una tuta scura. Arriva nella camera delle esecuzioni, viene fatto sedere su una sedia poggiata su una predella: le braccia e le gambe vengono legate, il corpo e la testa assicurati allo schienale. Il volto è coperto da un cappuccio nero, mentre all’altezza del cuore viene posto un cerchio bianco su cui i cinque fucilieri volontari devono puntare. Per loro sono stati scelti Winchester calibro 30, ma uno è caricato a salve, nessuno saprà mai con sicurezza se avrà ucciso. Il plotone si schiera dietro un muro di mattoni a circa otto metri da Gardner, i fucili puntati attraverso due feritoie orizzontali. «Hai qualcosa da dire?», gli viene chiesto. «No, nulla», risponde. A mezzanotte e un quarto parte l’ordine di far fuoco, i quattro colpi centrano il circolo bianco, il sobbalzo dell’uomo viene frenato dalle cinghie, i pugni si aprono lentamente, per alcuni istanti sembra che si muova ancora. «Non eravamo sicuri che fosse morto, i gomiti tremavano», racconta Sandra Yi reporter di Ksltv presente alla fucilazione. L’incertezza dura poco, sino a quando il medico legale non dichiara il decesso. «Ronnie Lee Gardner non ucciderà più nessuno», commenta a caldo il procuratore generale dello Stato, Mark Surtleff, contrario a ogni clemenza. L’unica richiesta di Gardner ad essere stata accettata è quella del plotone di esecuzione. L’uomo del resto si era ormai rassegnato, sembrava quasi affrontare l’appuntamento con la morte con serenità, come rivelano le ultime ore trascorse in carcere. Mercoledì viene trasferito dalla sua cella di due metri per quattro in una provvisoria vicino alla camera delle esecuzioni dove è sorvegliato 24 ore su 24. Legge «Divine Justice» di Davide Baldacci e guarda la trilogia del «Signore degli Anelli». Incontra un paio di volte il suo avvocato e un vescovo mormone, entrambi lo trovano rilassato. L’ultimo pasto risale invece a martedì: «Ha chiesto 48 ore per digerire», racconta il personale penitenziario. Il menù? Bistecca, aragosta, torta di mele, gelato alla vaniglia e 7UP, esattamente come lui aveva richiesto. Alla vigilia dell’esecuzione davanti alla prigione decine di persone, tra cui molti familiari, organizzano una veglia indossando magliette col numero 14873, la matricola di Gardner. Ma lui non ha voluto nessuno, forse per evitare altri dolori ai familiari. «La gente pensa che l’iniezione letale sia il modo di morire più umano solo perché si tratta di farmaci, ma forse le pallottole creano meno sofferenze», dice Deborah Demo esperta di medicina legale di Fordham University. «Nessun uomo può sopravvivere a una raffica di calibro 30 a così breve distanza», aggiunge Gary DeLand ex direttore delle carceri dell’Utah. 1985, la cattura Ronnie Gardner preso dopo aver ucciso il giudice Burdell in un tentativo di evasione dall’aula del tribunale dove veniva processato per l’omicidio, mesi prima, di un barista 23 aprile, dal giudice Gardner di fronte al giudice Reese del Tribunale di Salt Like City, che gli annunciava il rifiuto dell’ultimo ricorso e gli sottoponeva la scelta tra fucilazione e iniezione letale 17 giugno, la veglia Brandie Gardner, la figlia di Gardner, durante la veglia di preghiera organizzata all’esterno del carcere di Salt Lake City, dove decine di persone si sono radunate, ciascuna con una candela in mano Francesco Semprini, La Stampa 19/6/2010 LA MORATORIA ONU GUADAGNA CONSENSI- Parte l’offensiva diplomatica per il rinnovo della moratoria delle Nazioni Unite sulla pena capitale e l’obiettivo è spingere l’America di Barack Obama ad allontanarsi dalla sempre più sparuta pattuglia di nazioni contrarie. E’ l’apertura a San Francisco dell’Assemblea Generale della Coalizione mondiale contro la pena di morte ad inaugurare la campagna che punta ad ottenere in autunno il rinnovo da parte delle Nazioni Unite della risoluzione sulla moratoria della pena capitale con una maggioranza superiore a quelle registrate del 2007 e del 2008. Allora a votare a favore furono rispettivamente 102 e 104 Paesi - con 56 e 48 contrari - ma negli ultimi due anni si è registrata un’accelerazione in favore della moratoria su più fronti: in Africa la pena capitale è stata abolita in Burundi, Ruanda, Togo e Gabon; in Asia Centrale è rimasto solo il Turkmenistan a praticarla; in Cina, Kenya e Pakistan il numero delle esecuzioni è considerevolmente diminuito. Ma le novità di maggiore interesse arrivano dagli Stati Uniti: New Jersey e New Mexico l’hanno abolita, in 10 Stati americani sono state votate leggi a favore della moratoria. Senza contare che in California c’è una situazione paradossale con oltre 700 condannati a morte che hanno di fronte a loro un periodo-medio di attesa di 23 anni prima dell’esecuzione sollevando così i dubbi dei giuristi sulla costituzionalità di essere condannati a morte senza poter essere uccisi, visto che si può morire prima di vecchiaia. Quanto sta avvenendo in più zone del mondo sembra dimostrare che la tendenza verso la moratoria è irreversibile. Se in autunno dovesse essere confermato il voto negativo dato dall’amministrazione Bush nel 2008, l’America si troverebbe alleata ad un gruppo di Paesi sempre più piccolo nel quale spiccano l’Iran, il Sudan, l’Arabia Saudita e la Cina. L’intento dei promotori del rinnovo della risoluzione Onu è di guadagnare un consistente numero si voti positivi, contando sul fatto che fra i 192 Paesi membri dell’Onu 103 l’hanno abolita, 141 non vi ricorronno più e 38 non la usano da oltre dieci anni, riducendo il numero delle nazioni che la applicano a 58. Maurizio Molinari, La Stampa 19/6/2010 DOMANDE- Quattro domande a Mario Marazziti (portavoce della comunità di Sant’Egidio), a tre anni dalla moratoria all’Onu sulla pena di morte, sono davvero diminuite le esecuzioni? «Nel mondo è in atto una riduzione che non ha precedenti: 26 Paesi eseguono ancora condanne a morte, mentre 141 non ne fanno più (103 hanno abolito del tutto la pena di morte. Le nazioni con più esecuzioni lo scorso anno sono state Cina (1.718 note, ma almeno 5 mila), Iran (346), Arabia Saudita (102), Stati Uniti (37), Pakistan (36). Sembrano cifre altee ma sono i dati più bassi della storia. Negli Anni 70 solo 23 Paesi avevano già abolito la pena di morte, abrogandola dagli ordinamenti o cessando di ricorrervi». Però negli Usa il boia torna in azione... «Anche lì è in forte declino: nel 2009 si è toccato il numero più basso di esecuzioni dalla reintroduzione della pena capitale, nel 1976. Il culmine si era avuto nel 1994, con un totale di 328. Nel 2009 si è scesi a 106, dopo 7 anni di continua riduzione: il maggior calo si è registrato nel Texas e nella Virginia, due Stati capofila nell’uso della pena di morte». Nel suo libro «Non c’è giustizia senza vita» quale data prevede per l’abolizione totale? «Il 2015. Coincide con la scadenza fissata dieci anni fa dai Paesi dell’Onu negli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. La pena di morte non è un deterrente efficace contro il crimine e si basa sulla legittimazione della cultura della morte. Spesso è accompagnata da discriminazione sociale, razziale, etnica: con molti errori giudiziari. Ogni esecuzione crea nuove vittime, senza restituire la vita a chi ha subito una perdita. La giustizia che ne risulta è una vendetta statale in cui si uccide anche a nome di chi non vuole». Eppure ci sono ancora i plotoni di esecuzione... «Sono uno strumento di giustizia proprio di uno stato infantile e primitivo, senza umanità, basato sull’istinto. Il caso Gardner conferma la necessità di un cambiamento anche nell’opinione pubblica, là dove la pena di morte è ancora praticata: servono nuovi modi di comunicare il messaggio abolizionista. La violenza va combattuta e non legittimata al livello più alto, quello dello Stato. Il cambiamento che c’è nel mondo può diventare un ponte anche con gli Usa. Gia. Gal., La Stampa 19/6/2010