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 2010  giugno 24 Giovedì calendario

ANCORA BUFERA SU ALITALIA


Michael O’Leary, il pittoresco capo di Ryanair, dice che nel 2010 la sua compagnia low cost punta a superare Alitalia per diventare la numero uno in Italia. La scommessa del manager irlandese, un tipo che spesso le spara grosse, questa volta potrebbe rivelarsi neppure troppo azzardata. La sfida si gioca intorno a quota 22 milioni di passeggeri trasportati l’anno e dai dati dei primi mesi, tenendo presente l’effetto vulcano (quello islandese), Ryanair ha tutte le carte in regola quantomeno per accorciare le distanze rispetto all’ex compagnia di bandiera.
Alitalia seconda sul mercato domestico? Poco male, visto che, tutto sommato, c’è in palio solo un titolo poco più che onorifico. Il guaio grosso, piuttosto, è un altro. Il fatto è che la società guidata da Roberto Colaninno rischia a breve di finire il carburante, quello finanziario. Nei giorni scorsi hanno fatto scalpore le parole del presidente Colaninno: "Nel 2011 Alitalia si salva o servono altri soldi". Ma il manager mantovano, che ama apparire schietto fino alla brutalità, ha semplicemente riassunto i termini di una situazione che appare evidente a un’analisi anche superficiale dei dati sull’andamento della compagnia. Vediamo. Dopo aver archiviato un 2009 in rosso per 326 milioni, Alitalia ha doppiato la boa del primo trimestre dell’anno con una perdita operativa (cioè senza tener conto di oneri finanziari e tasse) di 125 milioni. Il dato è migliore di quello registrato nello stesso periodo del 2009 (210 milioni di deficit), quando però la gestione fu nettamente penalizzata dalla difficile ripartenza della compagnia dopo il salvataggio a spese dell’erario pubblico.
E il resto dell’anno? Il secondo trimestre è cominciato male. Ad aprile le ceneri del vulcano islandese sono costate "alcune decine di milioni di ricavi in meno" (parole di Colaninno). Poi va tenuto conto dell’effetto carburante: nel 2009 Alitalia aveva fatto scorta a prezzi inferiori a 60 dollari al barile, mentre in questi mesi si viaggia tra 75 e 80 dollari. Come dire che la bolletta finale potrebbe aumentare di 150 milioni nell’arco dei dodici mesi, almeno secondo quanto previsto a gennaio dall’amministratore delegato Rocco Sabelli. Infine, dal bilancio 2010 verrano a mancare proventi per una cinquantina di milioni garantiti l’anno scorso dallo Stato in cambio dell’assunzione di alcune migliaia di cassintegrati. Tirando le somme, tra maggiori oneri e minori ricavi, si aprirebbe un buco di almeno 200 milioni rispetto al 2009, anche se fonti di Alitalia spiegano che gli effetti dell’aumento del prezzo del petrolio sarebbero stati in parte neutralizzati (con quali costi?) mediante contratti di copertura.
Al momento comunque, sembra difficile ipotizzare un netto miglioramento dei conti. All’orizzonte non si vede una decisa ripresa economica con conseguente incremento del traffico aereo. E poi, come segnalano alcuni analisti, c’è un’incognita supplementare che va tenuta presente. Di che si tratta? Ecco: nel quarto trimestre del 2009 Alitalia ha fatto segnare una performance che ha stupito molti addetti ai lavori. In pratica, la società ha chiuso quasi in pareggio (solo 16 milioni di perdita operativa) un periodo dell’anno di solito tutt’altro che favorevole per le compagnie. Merito dell’ottimo andamento dei ricavi che tra ottobre e dicembre hanno quasi raggiunto lo stesso livello dei tre mesi estivi. Possibile? A ben guardare si scopre che il trasporto passeggeri ha fruttato poco più di 610 milioni sugli 807 milioni di fatturato messi a bilancio nel trimestre finale. La differenza, pari a 200 milioni, sarebbe quindi riconducibile ad attività diverse dal trasporto passeggeri.
Come si spiega questo andamento anomalo dei ricavi, un andamento che non ha riscontri in nessun altro periodo del 2009? Alitalia spiega che quei 200 milioni sono stati realizzati grazie a voli cargo e charter, accordi commerciali, manutenzione e altro per conto terzi e, infine, il cosiddetto "traffico venduto e non volato", cioè i biglietti pagati e non utilizzati ma non rimborsabili. Resta il fatto che il valore di queste voci, presenti anche negli altri trimestri, è aumentato in modo anomalo nell’ultimo periodo dell’anno. E a questo punto gli analisti si chiedono se sarà possibile ripetere l’exploit. Nel dubbio c’è chi arriva a ipotizzare che la perdita netta nel 2010 per Alitalia potrebbe essere compresa tra i 250 e i 300 milioni. Come dire che in un paio d’anni di attività la compagnia avrebbe bruciato quasi la metà dei mezzi propri e nei primi mesi del 2011 il denaro in cassa scenderebbe sotto il livello dei 200 milioni considerato da Sabelli una sorta di soglia di sicurezza. In pratica, come preannunciato da Colaninno, servirebbero altri soldi.
E gli azionisti, la pattuglia di imprenditori-soci arruolati da Silvio Berlusconi e coordinati da Banca Intesa che hanno finanziato il salvataggio di Alitalia? Molti di loro vedono come il fumo negli occhi anche la semplice ipotesi di nuovi esborsi di denaro a breve. E forse in cuor loro sperano che Air France, forte del suo 25 per cento, approfitti della situazione per salire in maggioranza. Nessuno degli azionisti ha però finora manifestato pubblicamente la propria preoccupazione. Anzi no. Un socio, almeno uno, l’ha messa addirittura per iscritto. la Pirelli di Marco Tronchetti Provera, che nel bilancio 2009 ha svalutato del 15 per cento il valore della propria quota Alitalia. Tronchetti pessimista. O forse troppo ottimisti gli altri.