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 2010  giugno 24 Giovedì calendario

CASO POMIGLIANO, SCHEDA SULLA STATUTO DEI LAVORATORI


In lavorazione per 15 anni, lo Statuto dei lavoratori italiani, approvato nel maggio del 1970 è la legge attuativa dei principi costituzionali in materia di lavoro. Applicabile alle aziende con oltre 15 dipendenti, sancisce innanzitutto la libertà
di opinione del lavoratore
e l’indipendenza dell’attività lavorativa da molte forme di controllo. Afferma poi il diritto allo sciopero e alla malattia.
Al nascere, lo statuto fu affiancato dalla scala mobile, un sistema di aggiornamento automatico della retribuzione all’aumento del costo della vita. "La scala mobile protesse soprattutto i redditi più bassi e non permise che il divario tra ricchi e poveri si allargasse troppo, come avvenne altrove", spiega Claudio Lucifora, docente di Economia presso l’università Cattolica di Milano. Nel 1984 Bettino Craxi la ridusse di 4 punti percentuali per contenere il livello di inflazione. Nel corso del decennio seguente fu limata ulteriormente fino alla sua abolizione. Da allora il divario tra redditi alti e bassi è esploso.
Nel 1993 i sindacati Cgil, Cisl e Uil, la Confindustria e il Governo Ciampi firmarono un epocale accordo sulla politica dei redditi, sugli assetti contrattuali e sul sostegno alle aziende. Il risultato principale fu l’introduzione della contrattazione integrativa a livello aziendale, richiesta soprattutto dagli imprenditori
del Nord che avevano bisogno
di alzare i salari per attrarre manodopera qualificata.
Nel 1997 il cosiddetto pacchetto Treu cambiò per la prima volta in modo radicale il mercato del lavoro. Si affacciò il concetto di flessibilità lavorativa, ovvero l’idea che un lavoratore non fosse legato al proprio posto di lavoro a tempo indeterminato, ma potesse mutarlo più volte nell’arco della vita.
Per aumentare l’occupazione, Tiziano Treu introdusse poi una serie di contratti a tempo determinato come l’apprendistato, il tirocinio e, soprattutto, il lavoro interinale, fino a quel momento istituto sconosciuto nell’ordinamento italiano del lavoro. E per incentivare un rapporto più stretto tra livello salariale e produttività defiscalizzò la parte variabile dello stipendio.
Cinque anni dopo, nel 2003, la legge Biagi, voluta dal governo di Silvio Berlusconi, cercò di organizzare quello che era ormai diventato uno scenario da Far West all’interno del mondo lavorativo giovanile. La portata della legge fu paragonabile a quella dello statuto, ma partiva da un presupposto concettuale diverso. Il principio della tutela del lavoratore (che implicava la rigidità del mercato del lavoro) venne definitivamente sostituito con quello di flessibilità, vista come unico mezzo per arginare la disoccupazione crescente.
Sempre nel 2003 un referendum per l’introduzione dell’articolo 18 (sulla tutela dal licenziamento senza giusta causa) nelle aziende con meno di 15 dipendenti non raggiunse il quorum.
Nel marzo 2010 il parlamento
ha tentato di introdurre la riforma dell’articolo 18 affidando a un arbitrato la risoluzione delle controversie lavorative, ma il presidente Napolitano non ha firmato la legge, chiedendone un riesame.