Vanity Fair n.24 23/6/2010, 23 giugno 2010
COLD CASES
Maggio 2010. Danilo Restivo, 38 anni, viene arrestato in Inghilterra con l’accusa di aver ucciso, il 12 novembre 2002, la sua vicina di casa a Bournemouth, nel Sud del Paese, dove l’uomo, originario di Potenza, si è trasferito. La donna, una sarta di nome Heather Barnett, 48 anni, è stata orribilmente mutilata nella sua abitazione. Prima di fuggire, l’assassino le ha messo in una mano una ciocca di capelli.
Una ciocca di capelli incastra Danilo Restivo anche per l’omicidio di Elisa Claps, 16 anni, scomparsa a Potenza il 12 settembre 1993 e ritrovata mummificata nel sottotetto della chiesa della SS. Trinità lo scorso 17 marzo. La ragazza era andata in quella chiesa proprio per incontrare Restivo, che doveva darle un regalo.
L’autopsia ha stabilito che Elisa è stata assassinata il giorno della scomparsa con almeno 13 colpi al torace. L’assassino ha presumibilmente tentato di stuprarla: lo dimostrano i pantaloni e le mutandine abbassati sui fianchi, e il reggiseno tagliato sul davanti. Il corpo è rimasto coperto per 17 anni da tegole e materiali da costruzione, che però non ci sono più. Chi li ha tolti? E quando?
Giugno 2010. Tre mesi dopo il ritrovamento del cadavere di Elisa Claps, si cerca ancora di dare una risposta a queste domande. Al centro dei sospetti ci sono i sacerdoti della chiesa nel centro di Potenza, che, si dice, avrebbero visto il corpo già a gennaio. La madre di Elisa chiede di sapere tutta la verità. Intanto, dall’Inghilterra arriva la conferma che la ciocca di capelli trovata nelle mani di Heather Barnett non appartiene a Elisa.
«Il caso Claps ha avuto il merito di accendere l’attenzione mediatica sui cold case, i ”casi freddi”», dice Andrea Grassi, 43 anni, dirigente dell’Unità delitti insoluti (Udi) della Polizia, che unisce le risorse della Scientifica con quelle del Servizio centrale operativo (Sco) per tentare di dare una soluzione a omicidi e delitti rimasti avvolti nel mistero. «Sulla stampa e in Tv non si parla d’altro. Il risultato è che spesso si ha l’impressione che le indagini su persone scomparse o omicidi vengano improvvisamente riaperte dopo che per anni nessuno se n’era curato. Ma non sempre è così. Nell’ultimo anno noi abbiamo riesaminato oltre cento casi, 25 sono stati riaperti e sei risolti».
«Il caso Claps è una di quelle indagini che non si sono mai fermate», aggiunge Fabio Giobbi, 44, l’altro dirigente dell’Unità delitti insoluti in forza allo Sco. Il motivo sono anche le tante segnalazioni, depistaggi e falsi avvistamenti succedutisi nel tempo. Come quando, pochi mesi dopo la scomparsa di Elisa, si disse che la ragazza era in Albania. O ancora, nel 2004, che era stata uccisa e il corpo sciolto nell’acido.
«Per anni», spiega Giobbi, «si è investigato su segnalazioni provenienti da tutto il mondo. C’è stato un lento accumulo di indizi, poi corroborati dalle informazioni provenienti dall’Inghilterra dopo il delitto Barnett. Sopralluoghi su sopralluoghi. Nel dicembre del 2008 abbiamo cercato il corpo nei pozzi di Rifreddo (nella ditta di un amico del papà di Restivo, ndr). Ogni volta si trovavano oggetti sui quali fare accertamenti: poi scoprivamo che non avevano niente a che vedere col caso, ma erano accertamenti che comunque andavano fatti». E intanto qualcuno sapeva che Elisa era morta in quella chiesa, e taceva.
’Aveva cambiato vita”
«A volte, invece, bastano una nuova testimonianza, una lettera o una telefonata, anche anonime, per risolvere o riaprire un’indagine», dice Andrea Grassi.
accaduto, per esempio, nel caso di Ottavia De Luise, la ragazzina di 11 anni scomparsa il 12 maggio 1975 a Montemurro (Potenza) mentre rientrava a casa dopo aver giocato con la cugina.
Per 35 anni nessuno l’ha cercata. L’inchiesta era stata archiviata come scomparsa volontaria, nonostante fosse ormai risaputo che la ragazzina subiva abusi da parte di alcuni anziani del paese.
Nelle scorse settimane, grazie a una lettera anonima in cui è indicato anche il luogo dove Ottavia sarebbe stata uccisa e sepolta, sono stati trovati dei resti in un pozzo. Si pensava fosse il suo corpo, ma era solo la carcassa di un animale.
«Evitiamo di riaprire i casi impossibili, per non generare false aspettative», dice Giobbi. «Spesso, però, a proporci nuovi spunti sono i familiari delle vittime».
Come la mamma di Alessandra Sandri, 11 anni, scomparsa a Bologna il 7 aprile 1975 mentre andava a scuola. Una registrazione agghiacciante, in cui si sente la voce di un vicino di casa che interroga la ragazzina, dimostra che la piccola era vittima di un gruppo di pedofili. Nonostante questo, le ricerche all’epoca furono interrotte: Sandra, si diceva, aveva «deciso di cambiar vita».
Nel 1982 due bolognesi furono condannati per aver abusato della bambina. E adesso, dopo 35 anni, uno dei due uomini è stato reinterrogato (l’altro è morto), sono state individuate altre vittime dei pedofili e gli esperti della Scientifica stanno cercando il corpo di Sandra Sandri lungo il fiume Savena, dove avvenivano gli stupri.
«Le ricerche si fanno con il georadar, ma non sappiamo se il cadavere è davvero lì», dice Fabio Giobbi. E spiega: «Il ritrovamento del corpo è importante anche per le indagini, perché, come nel caso Claps, può aiutarci ad arrivare all’arresto degli assassini».
«Tutto ciò che viene repertato sul luogo del crimine è utile, anche dopo anni», aggiunge un investigatore. «In questo momento stiamo valutando in segreto, per non allarmare i colpevoli, circa 2.500 reperti relativi a 100 delitti commessi in tutta Italia, da Roma a Lecce. Grazie a nuove tecniche di laboratorio siamo in grado di ricavare informazioni che 15-20 anni fa erano impensabili». Come le impronte palmari o il Dna che, spiega, «ormai si ricava anche da microscopici frammenti di pelle».
Proprio il Dna ha incastrato, dopo vent’anni, l’assassino della baby-sitter Anna Laura Pedron, 21, seguace di una setta chiamata «Telsen Sao», i cui adepti erano convinti di poter fare viaggi astrali.
La ragazza fu uccisa il 2 febbraio 1988 a Pordenone, nella casa della famiglia dove lavorava. Il delitto fu scoperto dalla madre del bimbo che, tornata a casa, trovò la porta chiusa a chiave dall’interno e chiamò i pompieri. «Anna Laura era sul letto, seminuda», racconta Andrea Grassi. «Era stata soffocata con un cuscino dopo un tentativo di violenza sessuale».
Le indagini all’inizio si concentrarono sulla setta, senza risultato. Fino a due anni fa, quando nelle tracce di sangue trovate nell’appartamento fu individuato il Dna di David Rosset, all’epoca quattordicenne. «I due ragazzi erano amici, lei lo fece entrare e lui tentò un approccio sessuale», ipotizzano gli investigatori. «Anna Laura lo respinse, e fu uccisa». Il processo a Pordenone è appena entrato nel vivo.