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 2010  giugno 23 Mercoledì calendario

MARIA LUISA BUSI


Sbracciata, con i capelli al vento e un paio di pantaloni larghi, tipo thailandese, Maria Luisa Busi si aggira per la cucina di casa sua, e mi prepara il caffè. Dopo di me, arriverà la troupe di una Tv sudcoreana, prima c’è stata France 2. Tutti incuriositi dal «gran rifiuto» della conduttrice del primo telegiornale della Tv di Stato italiana, che ha scelto di non andare più in video per impossibilità di aderire alla linea editoriale del suo direttore, Augusto Minzolini. Questo non è solo il giorno in cui intervisto Maria Luisa Busi, è anche il giorno in cui in Parlamento viene votata la legge sulle intercettazioni. Nessun dubbio, per l’inviata e ormai ex conduttrice del Tg1: « una legge bavaglio: apprezzo molto quei post-it che ha usato la Repubblica per indicare gli articoli che non leggeremmo».
46 anni, circa la metà vissuti da mezzobusto, oggi Busi parla a figura intera. Ci tiene a sottolineare che lo fa in quanto membro del Consiglio nazionale della Federazione della Stampa, il sindacato dei giornalisti. Ci tiene perché vuole evitare che la sua vicenda passi per uno scontro personale. Ci tiene perché, dice, il suo non è stato un atto di coraggio, ma un atto doveroso. Parla di: responsabilità del giornalista, autorevolezza del servizio pubblico, bisogno di pluralismo. Termini magari un po’ fuori moda, che d’improvviso tornano d’attualità se la rassicurante madonnina delle otto di sera, a sorpresa, si trasforma in pasionaria (anche se la definizione non le piace per niente: avevate dubbi? Busi è la pacatezza in persona).
Figlia di un agente di commercio oggi in pensione, è arrivata alla Tv per caso, passando da piccole radio ed emittenti private. Dice: «Non ho una biografia interessante o una vita speciale da raccontarle». Intanto, con gesti rapidissimi, avvita la caffettiera. Infine sospira, evidentemente tesa: «Non creda che tutta questa attenzione mi esalti. Non vedo l’ora che questo momento finisca».

Signora Busi, lei però se l’è cercata. Andandosene, ha scritto una lettera polemica contro la direzione, l’ha affissa in bacheca, ha detto di non voler più mettere la sua faccia a sostegno di un telegiornale che non condivide.
«Non è stato un gesto impulsivo. Ho iniziato ad avere delle perplessità dopo uno dei primi editoriali di Minzolini, quello sulla vicenda D’Addario, in cui si giustificava il fatto che il Tg1 non se ne era occupato perché si trattava di questioni personali del presidente del Consiglio».
 passato un anno.
«Pare un secolo, vero? Poi c’è stata la nostra notizia scorretta su Mills: i telespettatori ancora aspettano la rettifica del Tg1 (nei titoli e nel lancio della notizia sull’avvocato David Mills, condannato in primo e secondo grado per corruzione e falsa testimonianza in favore di Silvio Berlusconi, si è parlato di ”assoluzione”, quando in realtà la Cassazione ha ribadito che il reato è stato commesso ma ha annullato la condanna per prescrizione, ndr). seguita la raccolta di firme pro-direttore. Chi non l’ha firmata è stato messo all’angolo, chi l’ha firmata è stato promosso».
L’aveva firmata la maggioranza, però.
«Una maggioranza di precari e di capiredattori. E comunque la proporzione era 90 a 60».
Sempre maggioranza è.
«Già. Ma, quando c’è stato il voto sindacale, a scrutinio segreto, quelle proporzioni si sono ribaltate. Tutto è molto più complicato di come sembra».
Altroché. A leggere i giornali di destra, la redazione del Tg1 è un soviet in cui il direttore è ostaggio di giornalisti fortemente sindacalizzati, a sentir la sinistra ci si convince che è un luogo in cui i giornalisti sono costretti a NON fare il proprio lavoro per sopravvivere. Dove sta la verità?
«Il Tg1 è sempre stato un luogo plurale, in cui hanno convissuto anime diverse che però, sempre, in qualche modo trovavano equilibri e dialogo. Il risultato era un prodotto, magari ingessato, magari noioso, mai però parziale o governativo».
Minzolini dice che vuole svecchiare.
«Non sono contraria a uno svecchiamento, proprio io che beneficiai di un cambio generazionale quando, a trent’anni, mi trovai a sostituire Paolo Frajese. Il problema è che nella scelta delle notizie, di fatto, il giornale di Minzolini sceglie di non raccontare più il Paese. Ogni giorno, pur di non dare conto della realtà, viene dedicato spazio a notizie che dire leggere è poco. Il risultato è la rappresentazione di un Paese finto, come fosse di plastica».
Su queste famose notizie «leggere» – dalla tintura dei capelli di Schumacher all’ultima novità nel mondo delle piante bonsai – i comici del Trio Medusa hanno costruito un repertorio su cui campano da mesi. Che effetto le fa guardare questa presa in giro?
«Mi fa vergognare come un’assassina. Io ho provato a combattere certe scelte, senza successo».
Racconti.
«In qualche caso in riunione questi pezzi sono stati contestati ma, a volte, me li sono trovata davanti senza poter far nulla. Una volta arrivai in studio dal trucco e trovai improvvisamente in scaletta un pezzo di un minuto e quindici secondi – che in televisione sono un’eternità – su certi cigni rimasti imprigionati dal ghiaccio in Ucraina. Nella stessa edizione si dedicavano solo venti secondi allo sciopero generale in Sardegna».
Lei è un volto del Tg1 da oltre vent’ anni. Mai un problema, in passato?
«Ho avuto quindici direttori prima di Minzolini, e un disaccordo così non c’era mai stato. Soprattutto, non mi era mai successo nulla di simile a quello che mi è capitato a L’Aquila, in febbraio. Sono stata insultata al grido di ”vergogna, vergogna”, da normali e pacifici cittadini, perché ero lì a rappresentare il Tg1. Lì ho capito che la misura era colma».
Si dice che lei abbia fatto il beau geste di abbandonare la conduzione perché sapeva che l’avrebbero allontanata comunque, a breve, come è accaduto a Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Piero Damosso.
«Non è così, non c’erano nemmeno voci di corridoio in questo senso. Anzi. Due mesi dopo l’insediamento di Minzolini, allarmata dall’andazzo, fui io ad andare a chiedergli di togliermi dalla conduzione. E fu lui a dirmi di restare, perché il marketing della Rai non avrebbe mai approvato una cosa simile».
Minzolini ha anche dichiarato che stava progettando di spostarla alla conduzione delle 13.
«Se è per questo, ha anche detto che io accompagnavo le notizie ”facendo le facce”. Se non gli andava come conducevo alle 20, non gli sarebbe andata bene nemmeno alle 13, le pare? Ribadisco: sono io che ho scelto di andarmene».
Che cosa farà?
«Resto alla Rai, con la mia qualifica di inviato, e continuerò a fare quello che ho fatto sempre: proporre servizi per gli Speciali. Certo, va detto che la maggior parte delle mie proposte, da settembre a oggi, sono state ignorate. Niente da fare per servizi sulla crisi, sui precari della scuola, su Termini Imerese, sul Sulcis, sulle donne costrette ad andare all’estero per fare la fecondazione assistita. Mi hanno bocciato anche una storia, con una testimonianza fortissima, sull’eutanasia».
Adesso, che cosa teme per il suo futuro?
«Da quando è morta mia madre io non temo più nulla. stata malata otto mesi, l’ho curata in casa e, nel frattempo, ero incinta della mia seconda figlia (Luce, 3 anni; dal marito Riccardo Chartroux, giornalista del Tg3, aveva prima avuto Beatrice, 6, ndr). Sono andata a lavorare fino al settimo mese, alla faccia di chi ha scritto su Panorama che sono una fannullona. Io non ho paura che mi caccino perché non ce n’è motivo, ma assisto con enorme dispiacere allo sgretolamento di quella che considero la mia azienda, l’azienda di tutti gli italiani».
Non dica che se le proponessero di andare a Sky o a La7 non ci andrebbe.
«Prenderei in considerazione le offerte, si capisce. Ma credo che cercherò di fare altro. Non penso che presenterò ancora un telegiornale».
L’hanno accusata di fare un uso privato della Tv pubblica.
«E perché? Perché avrei commentato qualche notizia in diretta, invece di limitarmi a leggere il gobbo, come avrebbe voluto Minzolini? L’uso privato della Tv pubblica è ben altro: è accettare compensi e regali da parte di aziende private per indossare gioielli o andare a presentare convention, tutte cose che io ho sempre rifiutato perché lo considero un preciso dovere del giornalista del servizio pubblico».
Lei non si è mai vista sui rotocalchi. Non partecipa ai talk show. Perché questo basso profilo?
«Sono riservata di natura. Non mi sono mai sentita ”vedette”. Credo che questa mia condotta mi abbia permesso di avere un matrimonio felice e una famiglia serena. E che mi abbia portato la lucidità necessaria per prendere la decisione di cui stiamo parlando. Guardi che la Tv può essere terribile: cambia le persone che ci lavorano, e induce tutti quelli che la guardano a voler apparire».
Detto da una che ci ha lavorato per così tanto tempo, fa specie.
«Ricorda quando, nel 2002, crollò la scuola di San Giuliano e morì una ventina di bambini? Io andai a fare un servizio ed ebbi un’esperienza molto amara. Persino nel dolore devastante come quello della perdita di un figlio, le madri venivano a tirarci per la giacca pur di essere intervistate. come se la gente pensasse: se non farò casino, se non urlerò alle telecamere la mia rabbia, nessuno mi ascolterà».
Infatti è così. Il servizio sui precari che non va in onda rende silente, e dunque vana, la loro protesta.
«Si confondono troppo spesso comunicazione e informazione. Se faccio informazione sui precari, non sto facendo politica. Se informo i cittadini sulla crisi economica, faccio giornalismo, non sono un gufo che rema contro le sorti del Paese».
Qualcuno dei suoi quindici ex direttori si è fatto vivo con lei, in questi giorni?
«Sì: ho sentito Gianni Riotta, Gad Lerner e Albino Longhi. E ho avuto solidarietà da un mucchio di altra gente. Colleghi e no. Ha visto Facebook? Io neanche ci sono su Facebook, ma mio marito mi ha fatto vedere che sono nati diversi gruppi spontanei che mi sostengono».
Ha mai avuto la sensazione, negli anni, di essere stata messa a quella scrivania per il suo aspetto fisico?
«L’intenzione altrui può anche essere stata questa. Ma quando muore il Papa e devi andare in diretta, o quando ti capita di avere in studio Woody Allen e iniziano a bombardare il Kosovo e tu devi trovare modo di tenere insieme queste due cose, la bellezza serve a poco».
Perché non c’è mai stata una donna direttore del Tg1?
«Se è per questo, ci sono anche solo 2 caporedattrici contro 13 caporedattori, e c’è anche un notevole divario salariale tra uomini e donne. Le uniche file di donne che si sono ingrossate in questi anni sono quelle delle precarie. Ma questo non succede solo al Tg1. In Italia ci sono anche solo due donne rettore d’università».
Tutta colpa degli uomini?
«No, in egual misura è anche colpa delle donne, incapaci di fare lobby».
Lidia Ravera, sull’Unità, ha scritto che Laura Chimenti, la collega che l’ha sostituita alla conduzione del Tg1, «è bella ma vuota dentro». Commento?
«Conosco Laura e le auguro buona fortuna».
Quando lei iniziò a condurre il Tg1 si alternava con Lilli Gruber. Rivalità?
«Ci hanno provato gli altri a mettere zizzania, a creare una contrapposizione mediatica. Ma io e Lilli siamo sempre andate d’accordo, ci sentiamo ancora».
Facciamo che, per magia, in questa cucina, adesso si materializzi la scrivania del Tg1. Che cosa direbbe?
«Quello che non ho detto, l’ultimo giorno di conduzione, per evitare ulteriori polemiche».
Cioè?
«Saluterei i telespettatori. ”Buona sera, questo è l’ultimo telegiornale che conduco. Vi auguro un buon futuro”».

P.S. La sera stessa di questa intervista, Augusto Minzolini, nel presentare il nuovo studio del Tg1, ha detto: «Il telegiornale non è servile ma ha quell’orgoglio nazionale che a troppi manca». Ho mandato un sms a Maria Luisa Busi. «Pensa si riferisse a lei?».
Risposta: «Ma si figuri! Non sono mica così presuntuosa».