Goffredo Buccini, Corriere della Sera 18/06/2010, 18 giugno 2010
LE MILLE VITE DEL CARDINALE «IN FILA PER CHIEDERGLI UN LAVORO»
Dicono che se lui passa nei paraggi della Real Cappella del Tesoro, il sangue di San Gennaro si agiti nelle ampolle anche fuori dalle date canoniche. Le napoletane gli donano braccialetti e orecchini ad ogni visita parrocchiale perché diventino, tramite suo, aiuti per i poveri.
Crescenzio Sepe, l’ultimo padre di Napoli’ stavolta anche un papà spirituale per questa città pur sempre orfana’ impartisce a ciascuno, rigorosamente in dialetto, la benedizione che gli dava sua mamma quando, bambinetto di Carinaro, nel casertano, s’avviò al seminario di Aversa: A Maronna t’accumpagna, la Madonna ti accompagni. Ma chissà se adesso gli bastano tanto amore, tanto prestigio e tutte le benedizioni d’una vita. «Sono serenissimo», ha detto il cardinale ai suoi dopo l’ultima emersione, sui giornali di ieri mattina, del fiume carsico che lo tormenta da settimane, i piaceri alla «cricca», il gentiluomo pontificio Balducci e la sua cattiva compagnia d’affaristi, il patrimonio immobiliare della Propaganda Fide (di cui fu «Papa Rosso» prima di venire a Napoli) forse svenduto, la casa di Bertolaso, le illazioni d’un mondo profano che un principe della Chiesa lascerebbe volentieri fuori dal portone di Largo Donnaregina.
«Il cardinale ed io siamo serenissimi, va bene?», ripete dunque nelle stanze della Curia napoletana, con voce in verità molto indispettita, il suo braccio destro, Gennaro Matino.
Dicono che proprio la mancata promozione di Matino a vescovo ausiliario sia stata il segno mandato da Roma a Sepe che ne aveva spinto la candidatura, una bocciatura per interposta persona dopo gli anni del riscatto napoletano, cominciati a luglio 2006. Contadino e teologo, popolano e diplomatico della Santa Sede, capace di usare con la sua gente i toni di Masaniello e l’attenzione di Achille Lauro, il cardinale è forse a un nuovo bivio delle sue molte vite.
In Largo Donnaregina tanti telefoni suonano a vuoto. Francesco Silvano, il piemontese «ministro dell’economia» che Sepe si è tirato dietro dal Giubileo romano, è «via per motivi personali». Il cardinale si obbliga a vivere una giornata qualsiasi, in «tranquillità». Accoglie i tredici decani che comandano sulle parrocchie, parla amabile come sempre dei piccoli problemi quotidiani, e a sera dice messa nel seminario arcivescovile di Colli Aminei. Sì, un giorno qualunque, in cui nessuno ci mette la faccia, eppure voci di dentro sussurrano di «scoraggiamento», «delusione», «sconcerto». Chi ha vissuto la repentina caduta di Michele Giordano, il predecessore sommerso da accuse odiose come l’usura, da cui è poi uscito assolto, sente scricchiolii sinistri. I destini dei due cardinali, curiosamente, si incrociano nel Giubileo del 2000, quando Sepe è segretario del Comitato Vaticano, e Giordano consulente ecclesiastico dell’«Unione cristiana imprenditori e dirigenti».
Negli occhi dei napoletani, naturalmente, c’è altro. «In nome della vita si apre stasera l’asta di beneficienza voluta da Crescenzio Sepe», ha scritto don Matino ogni anno sulle colonne del giornale cittadino.
Ad ogni asta, regali e amore. «Mi fido di ciò che farà per i bambini poveri di Napoli», disse un vedovo al cardinale, donandogli la fede sua e quella della moglie morta. «Non rubate la speranza», era, appena due anni fa, il titolo del libro che Sepe aveva scritto per Mondadori. Bisogna sapere tutto questo per capire lo stato d’animo dei napoletani. Perché, certo, un cardinale è potere e relazioni, e nel vasto mondo di Sepe ci sono imprenditori lanciati come il presidente del Napoli De Laurentiis e Gianni Punzo del Cis di Nola, o risorti come Corrado Ferlaino, che dal patrimonio ecclesiastico avrebbe anche rilevato qualche immobile; ci sono i politici della sua terra casertana, anche quelli sotto briscola come Nicola Cosentino. Ma ci sono, soprattutto, gli appelli contro i clan, la raccolta dei coltelli per toglierli dalle mani dei ragazzi di vita napoletani, quelle parole sempre calde e ispirate: «Dio non ha voltato le spalle a Napoli... Basta con l’omertà». Questo manager della Chiesa è venuto a Napoli forse inseguito dall’odor di uno scandalo che stava per esplodere e tuttavia cambiando gesti e parole ha cambiato se stesso, ha teorizzato la scomunica dei camorristi, riempito il vuoto lasciato dal bassolinismo, gli ideali smarriti del rinascimento partenopeo con lettere di «incitamento morale» ai preti di frontiera. Gli hanno creduto. Dicono che uno di quei preti, Luigi Merola, già combattivo parroco di Forcella, l’abbia proprio rimosso. Ma don Luigi non la racconta così: «Il cardinale mi ha dato un’occasione per crescere, domani celebro la prima messa all’Arenella nella villa confiscata al boss Brancaccio. No, io spero che si chiarisca tutto presto, Sepe ha l’appoggio di tanti sacerdoti, di tanta gente». Tanti, sì, tanti hanno voluto credergli. Come il sindaco di Carinaro, Mario Masi, che gli fu compagno di seminario: «Lui ce l’ha fatta, io non ho resistito. Grande uomo. Quando torna qua, non lo lasciano in pace, il paese ha bisogno, vengono a chiedergli il lavoro, fanno la fila. Ma che può fare un povero cardinale?». Già. Che può fare?
Goffredo Buccini