Massimo Gaggi, Corriere della Sera 18/06/2010, 18 giugno 2010
ORA WALL STREET SCOPRE LA BONTA’. PIU’ FILANTROPIA PER FARSI PERDONARE - A
New York, come ogni anno, con l’estate fioriscono le attività filantropiche. Che, da un paio d’anni a questa parte, vedono protagoniste assolute le banche di Wall Street. Soldi in beneficenza, gli istituti di credito ne hanno sempre devoluti un bel po’, ma da quando la crisi finanziaria del 2008 e le polemiche sui «superbonus» dei manager li hanno resi assai impopolari, i banchieri hanno cambiato marcia: spingono i loro dipendenti a partecipare come volontari a ogni tipo di attività filantropica nel tentativo di migliorare l’immagine pubblica del loro istituto.
Bank of America, che nel 2009 ha devoluto 800 mila ore di lavoro del personale ad attività di volontariato, ha lanciato la «Sfida del milione di ore», spingendo i suoi 280 mila dipendenti a tagliare questo traguardo entro la fine del 2010. A volte partecipare a programmi di questo tipo può perfino aiutare la carriera. Alla banca HSBC, ad esempio, la partecipazione ad attività filantropiche non incide in linea generale sulle valutazioni professionali, ma un funzionario che guida un gruppo di cento volontari nella pulizia di un parco o di una spiaggia, può veder spuntare nel suo profilo una nota che sottolinea la sua capacità di leadership.
Tra le banche più impegnate nelle attività filantropiche c’è sicuramente la Goldman Sachs, quella che ha visto più rapidamente deteriorarsi la sua reputazione: nell’indice di gradimento dei marchi periodicamente redatto dalla «Reuters», la grande banca d’affari di Wall Street è scesa addirittura sotto la BP della marea nera nel Golfo del Messico.
Il settimanle «New York Observer» ha appena pubblicato un elenco di attività di volontariato che i dipendenti della banca si sono impegnati a svolgere nelle prossime settimane: assistenza agli animali abbandonati di Williamsburg, il nuovo quartiere degli artisti a nord di Brooklyn; una puntata in un istituto per ciechi del New Jersey dove verrà organizzato un party a base di gelati; una giornata coi bambini delle famiglie povere di Brooklyn a pescare nel laghetto del Prospect Park. Ci hanno provato già l’hanno scorso, nota con una punta d’ironia il giornale: non presero nemmeno un pesce e un bambino cadde nel lago.
Nessuno è obbligato a partecipare - spiega su fins.com, un sito della Dow Jones specializzato nell’analisi delle carriere finanziarie, Sidharth Kakkar, ex analista di Goldman - aggiungendo, però, che la spinta a entrare nei Communty Team Works dell’istituto è piuttosto energica. Parallelamente Goldman ha destinato per quest’anno alla sua fondazione filantropica ben 500 milioni di dollari, il quadruplo dei 130 stanziati nel 2008.
Anche le fondazioni di Citigroup e JP Morgan Chase sono in piena stagione filantropica, mentre la Morgan Stanley ha organizzato una specie di torneo: squadre di dipendenti volontari competono tra loro cercando di offrire l’idea migliore nel campo dell’assistenza. A chi vince vanno 25 mila dollari per sviluppare il proprio progetto. Fino a qualche tempo fa i campioni della filantropia erano gli operatori dell’energia e le industrie manifatturiere che cercavano di far dimenticare i guai combinati sul piano ambientale. Nulla di nuovo: l’America è piena di musei, biblioteche e teatri fatti edificare da miliardari che volevano vedere il loro nome impresso nel marmo e che avevano da farsi perdonare un passato di capitalisti particolarmente rapaci: i Carnegie, i Rockefeller, i Vanderbilt. Ora tocca gli ex titani di Wall Street.
Massimo Gaggi