Vittorio Feltri, il Giornale 18/6/2010, 18 giugno 2010
LA POLITICA DEL GAMBERO
Riferiscono le cronache, anche televisive, che Berlusconi è stufo marcio di fare il politico che non può fare politica e di fare il governante che non può governare. Stufo marcio e desideroso di mandare tutti, ma proprio tutti, gli inquilini del Palazzo al diavolo. Dobbiamo ammettere di essere stupiti. Non del fatto che sia stufo ma che non si sia stufato prima. Al suo posto nessuno al mondo avrebbe retto quanto lui a tante rotture di scatole. Chiunque, durante i diciassette anni dell’era berlusconiana, ha provato a sgambettarlo, a tendergli tranelli, a chiedergli l’impossibile, a esasperarlo con polemiche quasi sempre infondate. Il Cavaliere ha sopportato pazientemente, mai rinunciando al dialogo, alla trattativa. Pur non essendo Giobbe, è riuscito a rammendare ogni strappo nei rapporti di partito e a presentare la sua coalizione agli elettori come un blocco granitico, convincendoli a votare centrodestra perché, nonostante tutto, ne valeva la pena. vero che le torture inflittegli da amici e avversari e perfino famigliari talvolta hanno dato l’impressione di mandarlo al tappeto.Ma solo l’impressione. In realtà l’uomo non ha mai piegato le ginocchia. Naturalmente ha avuto dei momenti di depressione, specialmente quando i suoi sforzi non hanno prodotto risultati; momenti brevi come un sospiro, però. Nel senso che se lui la sera va a letto con il morale sotto i piedi, la mattina si alza con la voglia di ricominciare da capo a tessere la tela. Ed è ancora lì a tessere che sembra Penelope, cocciuto e fiducioso.
Fiducioso in chi, non si sa, visto che ogni suo interlocutore anziché aiutarlo a risolvere la montagna di problemi in cui si dibatte, gliene pone di nuovi. Non c’è solo la minoranza parlamentare a rendere difficile l’esistenza a Silvio. Questo sarebbe niente. Dall’opposizione uno sa cosa attendersi, mazzate. I guai più grossi, è noto, gli sono venuti e gli vengono dalla magistratura politicizzata che, quanto a testardaggine, non è inferiore a lui. Le perquisizioni a Mediaset e Fininvest e satelliti vari sono state centinaia. I procedimenti giudiziari non si contano. Idem le cause, i processi, i rinvii, i lodi, le liti, le convocazioni. Lui dice che è una persecuzione. Come si fa a dargli torto?
Della moglie Veronica si è scritto fino alla nausea e preferiremmo non insistere: basti ricordare la lettera che la signora inviò a la Repubblica , anziché a lui, da cui partì un filone inedito e inesauribile di disgrazie. L’ultima è di ieri. L’accordo (anche economico) circa il divorzio fra Berlusconi e consorte è saltato. Tutto da rifare, conti compresi. Transeat.
Poi ci sarà l’appello della sentenza sulla bega con De Benedetti per la proprietà Mondadori. Poi ci sarà l’appendice del pasticcio Mills. Rinuncio alla completezza d’elencazione per non esagerare con i rammemorativi e vengo alle questioni politiche che, oltre al premier, interessano i cittadini. Anche qui evito rievocazioni pignole, e mi butto sul presente che è torbido, ma sempre meglio del futuro che si annuncia tempestoso.
Il governo gode di una maggioranza ampia e in astratto potrebbe fare ciò che gli garba. In astratto. In pratica è paralizzato perché gliene succede una al dì, se non due. Trascuriamo le vicende piccanti, le escort, roba vecchia e monotona come il tacchettio delle passeggiatrici notturne d’antan. Prendiamo piuttosto il terremoto dell’Aquila. Il presidente fece miracoli: soccorsi tempestivi, case, casette in sostituzione delle tende, record di rapidità ed efficienza. Gli applausi ci furono, ma durarono poco, bruscamente interrotti dall’inciampo della Protezione civile che, in una settimana, fu declassata da macchina esemplare a carcassa, per di più covo di ladri. Bertolaso è ancora in sella, ma in assetto precario, ballonzola e finirà per le terre. Sottolineo che la Protezione civile di oggi è la stessa di ieri; ma ieri era intoccabile perché serviva la sinistra; oggi si può sputacchiare perché serve la destra. Sta di fatto che L’Aquila non è più assistita con lo stesso entusiasmo dell’immediato dopo terremoto. E la ricostruzione ne soffre.
Il caso Spatuzza sappiamo come si è concluso. Per un mese ha tenuto le prime pagine e le aperture dei telegiornali; i titoli dicevano: Berlusconi mafioso. Tutte storie poi smontate. Intanto però hanno rallentato l’attività politica seria, infangando l’infangabile. Non si era ancora spenta l’eco delle polemiche sui pentiti e convertiti per convenienza, e già si attaccava con la lagna di Ballarò e di Annozero sulla crisi e i morti di fame resuscitati davanti alle telecamere.
Era il periodo preelettorale, in cui tutto è buono allo scopo di raccattare voti, perciò bisognava comprendere. Terminato lo spoglio delle regionali, ci si è accorti che il vituperato centrodestra aveva vinto. Come mai? Le conversazioni telefoniche di Berlusconi intercettate e trascritte sui giornali, scandali e scandaletti, le liste elettorali bocciate per vizi formali, le turbolenze in Rai, la crisi e i suoi effetti sul fantasioso incremento della mortalità per i media: nulla ha indebolito il consenso nazionale per il governo. E allora? E allora non si capisce perché il premier non sia in grado di andare avanti per la sua strada programmatica e di realizzare le riforme (vocabolo tanto logoro da essere stucchevole). Quella della Giustizia, di cui si parla da secoli, non c’è e se c’è dorme in qualche cassetto. Non si realizza. Perché? Siamo costretti ad ammetterlo: nella maggioranza non c’è accordo.
Gianfranco Fini è amico di magistrati nemici di Berlusconi. Ergo. O la riforma si fa come piace al presidente della Camera, cioè come non può piacere al Cavaliere perché gradita ai suoi nemici, oppure non si fa. Non dimentichiamo che il pallino a Montecitorio ce l’ha in mano il cofondatore e aspirante affondatore del Pdl.
Ci si rassegni: la Giustizia è intangibile. Lo si è constatato in occasione del taglio (minimo) agli stipendi dei dipendenti pubblici: è stato fatto per tutti tranne loro, quelli della Casta giudiziaria.
Riforme istituzionali. Non se ne accenna nemmeno. Sono tabù. Perché? Col casino che regna non è opportuno - dicono - imbarcarsi in una simile impresa. Che è anche disperata data la riluttanza della sinistra a negoziare per non infilarsi nel tunnel referendario. Tutto fermo.
La Grecia crolla, schiacciata dal debito pubblico.Ripercussioni gravi sull’euro. Emergenza. Vertice europeo. Berlusconi con un guizzo suggerisce un rimedio. Accolto. I Paesi Ue convengono: ridurre le spese. Tutti devono tagliare, anche l’Italia.Tremonti provvede e fa (bene) ciò che può. Gli saltano addosso. Protestano le Regioni. I sindaci sono furibondi e si recano da Napolitano, piangono. I governatori si aggrappano a Berlusconi e gli strappano una promessina. Il motto è: facciamo pure i sacrifici, purché non si inizi da me.
Le Province. Il progetto è: aboliamone alcune. Ok. Aboliamole. Quante, va bene dodici? Sì, dodici. Anzi no. Diciamo otto. Forse è meglio quattro. No. Meglio zero. Quindi. Zero.
Si può andare avanti in questo modo? No, ma si può andare peggio. Infatti, la legge sulle intercettazioni, dopo una accelerazione al Senato, si è arenata alla Camera. Cribbio, perché? Fini pensa sia opportuno non avere fretta e riflettere ancora. Il tema - aggiunge - è delicato. Che sia delicato è evidente. Ma iscriverlo nell’ordine del giorno oggi o a settembre, cosa cambia? Cambia che, tergiversando, può finire nel dimenticatoio.
Non entro nel merito della legge che, per molti versi, non condivido: dico soltanto che se una maggioranza non riesce ad approvare un provvedimento (per altro somigliante a quello che la sinistra aveva predisposto con le stesse finalità) concordato e sottoscritto da tutti, qualcosa non funziona nella medesima maggioranza. Si dirà: Fini rema contro. Se è vero questo, che si fa? Credevo che in democrazia se uno è contro cento non potesse prevalere.
Fini ha un ruolo istituzionale, non politico, sicché fa quello che ritiene giusto fare? Se il suo ruolo non è politico, perché parla in continuazione di politica?
Insomma. Per un motivo o per un altro Berlusconi deve soccombere. Esattamente come nella seconda metà della legislatura 2001-2006, quando Follini (ora nel Pd guarda caso) era vice di Silvio e si inventò una parola magica: discontinuità. Significato? Impedire al governo di governare. La discontinuità ebbe un clamoroso successo, tant’è che alle elezioni del 2006 vinse Prodi. Fini però non è Follini. Sicuramente no. Però si comporta come lui. E non so quale dei due si offenda di più per questo gemellaggio. Sta di fatto che il clima odierno nel Palazzo è folle. Anzi Follini. E Berlusconi non ne può più di agitarsi quale falena prigioniera in un lampione dove si brucia le ali.
Invece di agitarsi spenga il lampione.