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 2010  giugno 18 Venerdì calendario

LA POLITICA DEL GAMBERO

Riferiscono le cro­nache, anche tele­visive, che Berlu­sconi è stufo mar­cio di fare il politico che non può fare politica e di fare il governante che non può governare. Stufo marcio e desideroso di mandare tutti, ma pro­prio tutti, gli inquilini del Palazzo al diavolo. Dob­biamo ammettere di esse­re stupiti. Non del fatto che sia stufo ma che non si sia stufato prima. Al suo posto nessuno al mondo avrebbe retto quanto lui a tante rotture di scatole. Chiunque, durante i di­ciassette anni dell’era berlusconiana, ha prova­to a sgambettarlo, a ten­dergli tranelli, a chieder­gli l’impossibile, a esaspe­rarl­o con polemiche qua­si sempre infondate. Il Ca­valiere ha sopportato pa­zientemente, mai rinun­ciando al dialogo, alla trattativa. Pur non essen­do Giobbe, è riuscito a rammendare ogni strap­po nei rapporti di partito e a presentare la sua coali­zione agli elettori come un blocco granitico, con­vincendoli a votare cen­trodestra perché, nono­stante tutto, ne valeva la pena. vero che le torture in­flittegli da amici e avver­sari e perfino famigliari talvolta hanno dato l’im­pressione di mandarlo al tappeto.Ma solo l’impres­sione. In realtà l’uomo non ha mai piegato le gi­nocchia. Naturalmente ha avuto dei momenti di depressione, specialmen­te quando i suoi sforzi non hanno prodotto risul­tati; momenti brevi come un sospiro, però. Nel sen­so che se lui la sera va a letto con il morale sotto i piedi, la mattina si alza con la voglia di ricomin­ciare da capo a tessere la tela. Ed è ancora lì a tesse­re che sembra Penelope, cocciuto e fiducioso.
Fiducioso in chi, non si sa, visto che ogni suo in­terlocutore anziché aiu­tarlo a risolvere la monta­gna di problemi in cui si dibatte, gliene pone di nuovi. Non c’è solo la mi­noranza parlamentare a rendere difficile l’esisten­za a Silvio. Questo sareb­be niente. Dall’opposizio­ne uno sa cosa attender­si, mazzate. I guai più grossi, è noto, gli sono ve­nuti e gli vengono dalla magistratura politicizza­ta che, quanto a testardag­gine, non è inferiore a lui. Le perquisizioni a Media­set e Fininvest e satelliti vari sono state centinaia. I procedimenti giudiziari non si contano. Idem le cause, i processi, i rinvii, i lodi, le liti, le convocazio­ni. Lui dice che è una per­secuzione. Come si fa a dargli torto?
Della moglie Veronica si è scritto fino alla nau­sea e preferiremmo non insistere: basti ricordare la lettera che la signora in­viò a la Repubblica , anzi­ché a lui, da cui partì un filone inedito e inesauri­bile di disgrazie. L’ultima è di ieri. L’accordo (an­che economico) circa il divorzio fra Berlusconi e consorte è saltato. Tutto da rifare, conti compresi. Transeat.
Poi ci sarà l’appello del­la sentenza sulla bega con De Benedetti per la proprietà Mondadori. Poi ci sarà l’appendice del pasticcio Mills. Rinun­cio alla completezza d’elencazione per non esagerare con i ramme­m­orativi e vengo alle que­stioni politiche che, oltre al premier, interessano i cittadini. Anche qui evito rievocazioni pignole, e mi butto sul presente che è torbido, ma sempre meglio del futuro che si annun­cia tempestoso.
Il governo gode di una maggio­ranza ampia e in astratto potrebbe fare ciò che gli garba. In astratto. In pratica è paralizzato perché gliene succede una al dì, se non due. Tra­scuriamo le vicende piccanti, le escort, roba vecchia e monotona co­me il tacchettio delle passeggiatrici notturne d’antan. Prendiamo piut­tosto il terremoto dell’Aquila. Il pre­sidente fece miracoli: soccorsi tem­pestivi, case, casette in sostituzione delle tende, record di rapidità ed ef­ficienza. Gli applausi ci furono, ma durarono poco, bruscamente inter­rotti dall’inciampo della Protezio­ne civile che, in una settimana, fu declassata da macchina esemplare a carcassa, per di più covo di ladri. Bertolaso è ancora in sella, ma in as­setto precario, ballonzola e finirà per le terre. Sottolineo che la Prote­zione civile di oggi è la stessa di ieri; ma ieri era intoccabile perché servi­va la sinistra; oggi si può sputacchia­re perché serve la destra. Sta di fatto che L’Aquila non è più assistita con lo stesso entusiasmo dell’immedia­to dopo terremoto. E la ricostruzio­ne ne soffre.
Il caso Spatuzza sappiamo come si è concluso. Per un mese ha tenu­to le prime pagine e le aperture dei telegiornali; i titoli dicevano: Berlu­sconi mafioso. Tutte storie poi smontate. Intanto però hanno ral­lentato l’attività politica seria, in­fangando l’infangabile. Non si era ancora spenta l’eco delle polemi­che sui pentiti e convertiti per con­venienza, e già si attaccava con la lagna di Ballarò e di Annozero sulla crisi e i morti di fame resuscitati da­vanti alle telecamere.
Era il periodo preelettorale, in cui tutto è buono allo scopo di raccatta­re voti, perciò bisognava compren­dere. Terminato lo spoglio delle re­gionali, ci si è accorti che il vitupera­to centrodestra aveva vinto. Come mai? Le conversazioni telefoniche di Berlusconi intercettate e trascrit­te sui giornali, scandali e scandalet­ti, le liste elettorali bocciate per vizi formali, le turbolenze in Rai, la crisi e i suoi effetti sul fantasioso incre­mento della mortalità per i media: nulla ha indebolito il consenso na­zionale per il governo. E allora? E allora non si capisce perché il pre­mier non sia in grado di andare avanti per la sua strada programma­tica e di realizzare le riforme (voca­bolo tanto logoro da essere stucche­vole). Quella della Giustizia, di cui si parla da secoli, non c’è e se c’è dorme in qualche cassetto. Non si realizza. Perché? Siamo costretti ad ammetterlo: nella maggioranza non c’è accordo.
Gianfranco Fini è amico di magi­strati nemici di Berlusconi. Ergo. O la riforma si fa come piace al presi­dente della Camera, cioè come non può piacere al Cavaliere perché gra­dita ai suoi nemici, oppure non si fa. Non dimentichiamo che il palli­no a Montecitorio ce l’ha in mano il cofondatore e aspirante affondato­re del Pdl.
Ci si rassegni: la Giustizia è intan­gibile. Lo si è constatato in occasio­ne del taglio (minimo) agli stipendi dei dipendenti pubblici: è stato fat­to per tutti tranne loro, quelli della Casta giudiziaria.
Riforme istituzionali. Non se ne accenna nemmeno. Sono tabù. Per­ché? Col casino che regna non è op­portuno - dicono - imbarcarsi in una simile impresa. Che è anche di­sperata data la riluttanza della sini­stra a negoziare per non infilarsi nel tunnel referendario. Tutto fer­mo.
La Grecia crolla, schiacciata dal debito pubblico.Ripercussioni gra­vi sull’euro. Emergenza. Vertice eu­ropeo. Berlusconi con un guizzo suggerisce un rimedio. Accolto. I Paesi Ue convengono: ridurre le spese. Tutti devono tagliare, anche l’Italia.Tremonti provvede e fa (be­ne) ciò che può. Gli saltano addos­so. Protestano le Regioni. I sindaci sono furibondi e si recano da Napo­­litano, piangono. I governatori si ag­grappano a Berlusconi e gli strappa­no una promessina. Il motto è: fac­ciamo pure i sacrifici, purché non si inizi da me.
Le Province. Il progetto è: abolia­mone alcune. Ok. Aboliamole. Quante, va bene dodici? Sì, dodici. Anzi no. Diciamo otto. Forse è me­glio quattro. No. Meglio zero. Quin­di. Zero.
Si può andare avanti in questo modo? No, ma si può andare peg­gio. Infatti, la legge sulle intercetta­zioni, dopo una accelerazione al Se­nato, si è arenata alla Camera. Crib­bio, perché? Fini pensa sia opportu­n­o non avere fretta e riflettere anco­ra. Il tema - aggiunge - è delicato. Che sia delicato è evidente. Ma iscri­verlo nell’ordine del giorno oggi o a settembre, cosa cambia? Cambia che, tergiversando, può finire nel di­menticatoio.
Non entro nel merito della legge che, per molti versi, non condivido: dico soltanto che se una maggioran­za no­n riesce ad approvare un prov­vedimento (per altro somigliante a quello che la sinistra aveva predi­sposto con le stesse finalità) concor­dato e sottoscritto da tutti, qualcosa non funziona nella medesima mag­gioranza. Si dirà: Fini rema contro. Se è vero questo, che si fa? Credevo che in democrazia se uno è contro cento non potesse prevalere.
Fini ha un ruolo istituzionale, non politico, sicché fa quello che ri­tiene giusto fare? Se il suo ruolo non è politico, perché parla in conti­nuazione di politica?
Insomma. Per un motivo o per un altro Berlusconi deve soccombere. Esattamente come nella seconda metà della legislatura 2001-2006, quando Follini (ora nel Pd guarda caso) era vice di Silvio e si inventò una parola magica: discontinuità. Significato? Impedire al governo di governare. La discontinuità ebbe un clamoroso successo, tant’è che alle elezioni del 2006 vinse Prodi. Fi­ni però non è Follini. Sicuramente no. Però si comporta come lui. E non so quale dei due si offenda di più per questo gemellaggio. Sta di fatto che il clima odierno nel Palaz­zo è folle. Anzi Follini. E Berlusconi non ne può più di agitarsi quale fale­na prigioniera in un lampione dove si brucia le ali.
Invece di agitarsi spenga il lam­pione.