Teodoro Chiarelli, La Stampa 18/6/2010, 18 giugno 2010
ITALIANI IN CINA BUSINESS
& LOVE
Vivono e lavorano qui, nelle megalopoli di Pechino, Shanghai o Chongqin, ma anche in realtà minori, sconosciute in Italia. Si sono integrati in un modello sociale tanto diverso dal nostro e ora fanno anche il grande salto: si sposano con ragazze cinesi e mettono al mondo figli con occhi a mandorla e carnagione mediterranea. Quasi sempre sono figli di imprenditori partiti venti o trent’anni fa alla volta della Cina per fare affari e hanno finito per creare nuove attività e sviluppare aziende.
Matrimonio misto significa integrazione razziale, dove persone di diverse culture e tradizioni contribuiscono a capire meglio i rispettivi mondi, con benefici evidenti in ogni aspetto della vita sociale ed economica. Anche questo uno strumento per rafforzare le relazioni tra i due Paesi e rendere ancora più forte il made in Italy in tutta l’Asia. E quegli industriali che tanti anni fa hanno rischiato i loro capitali per un’avventura in Cina, oggi si ritrovano nonni di bambini di coppie miste, fieri di avere nipotini cinesi.
Ermanno Vitali ha 31 anni, è vicedirettore generale della Faam (azienda marchigiana leader nella produzione di batterie industriali per trazione e stazionarie) ed è sbarcato in Cina nel 2006. Suo padre Federico, 57 anni, fondatore dell’azienda, da oltre vent’anni fa la spola fra il quartier generale di Monterubbiano, in provincia di Fermo, e questo grande Paese. «Mi ha sempre parlato con entusiasmo della Cina - racconta Ermanno - senza nascondere naturalmente i suoi grandi problemi. Così dopo la laurea e dopo aver vinto una borsa di studio in Inghilterra, quando ho saputo del progetto di aprire uno stabilimento a Yixing, nello Jiangsu, fra Shanghai e Nanchino, mi sono candidato senza dirgli nulla. Ed eccomi qua».
Un’esperienza dura, ma nello stesso tempo esaltante. «Abbiamo iniziato la costruzione nell’ottobre del 2006 ed esattamente un anno dopo è stato inaugurato lo stabilimento. Abbiamo 70 addetti e fatturiamo una decina di milioni di euro. L’87% delle vendite sono sul mercato cinese, il resto nel Sud Est asiatico. Il nostro obiettivo è arrivare entro il 2015 a coprire il 20% del mercato cinese e di fatturare almeno 55 milioni di euro». Progetti ambiziosi in Cina, come ambiziosi sono i piani di sviluppo del gruppo Faam, una delle tante medie aziende italiane capaci di competere con successo sui mercati internazionali. «Anche per questo - commenta Federico Vitali - il nostro sistema imprenditoriale meriterebbe ben altra attenzione da parte di chi ci governa».
Il gruppo Faam fattura oggi 100 milioni di euro e occupa 330 persone. Ha una tecnologia vincente nelle batterie al litio e ha firmato un accordo con Magneti Marelli che prevede lo sviluppo congiunto dei prodotti e la loro commercializzazione entro la seconda metà del 2010. L’intesa propone sul mercato globale un Power Train tutto italiano per i veicoli elettrici. «Abbiamo programmato forti investimenti - prosegue Federico Vitali - Stiamo ragionando con Marelli di realizzare insieme uno stabilimento per arrivare nel giro di pochi anni a un fatturato di un miliardo di euro. Il mercato c’è e noi vogliamo costituire un’offerta competitiva e di alto contenuto tecnologico in un settore che riveste un’importanza strategica primaria nello scenario della mobilità sostenibile del prossimo futuro e nell’area della propulsione ibrida ed elettrica».
Gusto della sfida che ha caratterizzato anche il figlio Ermanno, che si è trovato catapultato in una realtà così diversa come quella cinese. «All’inizio è stata dura - racconta -. Non riuscivo ad abituarmi al cibo. La città aveva un milione e mezzo di abitanti, ma non c’era neppure un italiano. Quattro anni fa non esisteva un McDonald’s né un altro ristorante occidentale. E meno che meno svaghi e divertimenti di tipo occidentale». Una vita da recluso, tutta lavoro e ancora lavoro. Inevitabile imparare un po’ di lingua per sopravvivere e scappare in qualche weekend a Shanghai o Nanchino.
E proprio in un locale di Nanchino Ermanno conosce una graziosa ragazza che parla inglese. «Ho poi scoperto che faceva la giornalista per il quotidiano economico di Pechino The Observer - racconta -. Ci siamo risentiti al telefono, abbiamo iniziato a vederci e ci siamo innamorati. Si chiama Yen, che significa Limpida, e ha la mia età. Oggi lavora a Nanchino in una società di consulenza italiana. Sposarci ci è sembrato naturale. Difficoltà a capirci, culture troppo diverse? Tra me e lei nessun problema». E i genitori? «Mio padre ha reagito con entusiasmo, mia madre aveva qualche dubbio. I genitori di lei, dopo le diffidenze iniziali, mi hanno accolto benissimo. Poi, con l’arrivo un mese fa di Isabella, l’entusiasmo è diventato totale e generale». Il più scatenato sembra proprio nonno Federico: «Che mio figlio sposasse una cinese non mi ha assolutamente meravigliato. Sono contento che sia un cittadino del mondo. Il futuro è qui, dove si ha il coraggio di guardare avanti e pensare al futuro. Sì, sono orgoglioso di avere una nipotina nata in Cina».
Il figlio Ermanno annuisce: «Consiglio a tutti i giovani che ne hanno l’opportunità di venire qui in Cina a trascorrere 5-10 anni della loro vita. Un’esperienza straordinaria, hai l’opportunità di conoscere gente di tutto il mondo e crearti un bagaglio di esperienze inimmaginabile altrove. Bisogna venirci con un po’ di pelo sullo stomaco, perché in molte aree ci sono ancora carenze di igiene e di pulizia e sul fronte dei diritti umani i problemi non mancano. Ma i cinesi sono molto simili a noi, condividono valori come l’amicizia, la famiglia, il rispetto degli anziani e la cultura. Io dico sempre: venite in Cina con un foglio bianco, cancellate tutti i pregiudizi, non ve ne pentirete».
Lui, l’Ermanno da Monterubbiano, a rientrare nelle Marche per ora non ci pensa proprio. «Ho davanti almeno altri 3 anni di lavoro qui. L’Italia può attendere».