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 2010  giugno 17 Giovedì calendario

STRETTAMENTE RISERVATO

In piena guerra venne creata, dalla fusione di tre preesistenti organi­smi che si occupavano della sicurezza naziona­le, una branca di intelli­gence britannico, denominata Special Operations Executive (SOE), cui venne affidato il com­pito di gestire le covert opera­tions e dirigere i movimenti di resistenza armata nei territori occupati dai tedeschi.Anche al­­l’Italia questo organismo riser­vò una grande attenzione e cer­cò di stabilire contatti con qua­si tuttiisettori dell’opposizione al regime, dall’antifascismo azionista sino alla fronda istitu­zionale.
Il ruolo svolto dai servizi se­greti inglesi per la destabilizza­z­ione del regime fascista e i rap­porti stabiliti con ambienti del­la Resistenza in Italia sono stati oggetto, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta,in coin­cidenza con l’apertura degli ar­chivi inglesi, di numerosi e rigo­rosi studi, ma anche, purtrop­po, di servizi giornalistici sem­plicistici, fondati sull’utilizza­zione acritica di documenti spesso di seconda mano. Ai la­vori di Massimo De Leonardis su La Gran Bretagna e la Resi­stenza Partigiana in Italia ( Else­vier, 1988), di Tommaso Piffer su Gli Alleati e la Resistenza ita­liana (Il Mulino, 2010), di Mau­ro Canali su Leo Valiani e Max
Salvadori. I servizi segreti ingle­si e la Resistenza ( Nuova Storia Contemporanea , 2010) si ag­gi­unge ora un importante volu­me di Mireno Berrettini, dal tito­lo La Gran Bretagna e l’antifa­scismo italiano. Diplomazia clandestina, intelligence, opera­zioni speciali (Le Lettere) in li­breria a fine mese. Si tratta del­la prima parte di una meticolo­sa ricerca sulla politica della Gran Bretagna nei confronti della resistenza partigiana in Italia fino al 1945, effettuata da uno studioso che ha setacciato gli archivi inglesi e quelli italia­ni con un rigore metodologico e una intelligenza critica che gli hanno consentito di evitare il ri­schio di semplificazioni e gene­ralizzazioni.
Uno dei risultati più significa­tivi del lavoro stanell’aver colto l’esistenza di una pluralità di li­nee politiche e di approcci stra­tegici nei confronti dell’antifa­scismo italiano all’interno dei vari organismi di intelligence e di altri settori dell’amministra­zione britannica. Le posizioni, per esempio, di Baker Street (cioè dello Special Operations Executive) e quelle del Foreign Office erano spesso divergenti e alcune iniziative, studiate o sponsorizzate all’interno del­l’una o dell’altra struttura, era­no addirittura ascrivibili all’atti­vismo individuale e circoscrit­to di alcuni funzionari. Vi era, poi, in linea generale, una valu­tazione profondamente diver­sa da parte di Baker Street e del Foreign Office nei confronti del­l’atteggiamento da riservare all’ Italia.
Lo Special Operation Service, in realtà, aveva cominciato a in­­teressarsi in maniera davvero concreta dell’Italia (anche se erano state coltivate da tempo, senza grandi successi, relazio­ni con il fuoruscitismo negli Sta­ti Uniti), più o meno, a partire dal marzo 1943, quando cioè l’ormai prevedibile vittoria in Africa settentrionale rendeva non solo plausibile ma addirit­tura prioritaria la prospettiva di uno sbarco nelle isole italiane e di una avanzata lungo la peniso­la che avrebbe dovuto conclu­dersi con la capitolazione di Ro­ma.
L’attivismo del SOE,per la ve­rità, veniva guardato con per­plessità dal Foreign Office, dal War Cabinet e da altri ambienti istituzionali per più motivi. In primo luogo, perché le opera­zioni iniziali messe in piedi dal SOE, dai tentativi di «recluta­menti » fra i prigionieri alle atti­vità sovversive imbastite duran­te il primo triennio di guerra, non avevano dato risultati sod­disfacenti. In secondo luogo, perché certe «simpatie» italia­ne al­l’interno del SOE confligge­vano con l’indirizzo politico, so­stanzialmente «punitivo», adot­tato dal Foreign Office e fatto proprio dall’intero War Cabi­net nei confronti dell’Italia. Al SOE, in sostanza, si lasciava ma­no libera solo per avviare cauti sondaggi operativi con quanti si dimostravano disponibili a collaborare con gli inglesi.
Ambiguità e incertezza, in­somma, caratterizzarono, per molto tempo, i contatti segreti con l’antifascismo.Dalla secon­da metà del 1942 e all’inizio del 1943 crebbero fortemente le quotazioni del maresciallo Ba­doglio. Il Foreign Office nutriva scarsa considerazione per il conte Sforza, leader naturale dell’emigrazione antifascista ma senza seguito nella peniso­la, e aveva, invece, un «occhio di riguardo» per Badoglio, visto come personalità «critica» nei confronti del regime e, certo, più forte. Si prestò attenzione ­e ve n’è traccia in rapporti infor­mativi - a voci di una possibile assunzione del potere da parte del Principe di Piemonte assisti­to da un triumvirato composto da Badoglio, Bottai e Grandi, al punto che si decise di provare a stabilire un collegamento con Badoglio, destinato poi a falli­re.
Più consistenti furono i con­tatti del SOE col partito d’Azio­ne a ridosso del 25 luglio e, poi, tra il 25 luglio e l’8 settembre 1943. Essi si concretizzarono nelle «missioni», ricostruite in dettaglio da Berrettini, del con­sole di Lugano, Filippo Carac­cio duca di Melito, e di Ugo La Malfa a Londra. Sempre nel­l’estate del 1943, il SOE, grazie all’interessamento di Dulles, aprì un contatto con l’industria­le Adriano Olivetti, ritenuto par­ticolarmente adatto per la sua ascendenza ebraica e per le sue assicurazioni di antifascismo, testimoniate,malgrado l’affilia­zione al Pnf nel 1933, da una se­rie di attività contrarie al regi­me e dalla sua contiguità con gli ambienti di Giustizia e Liber­tà. Olivetti fornì agli inglesi un quadro prezioso della «fronda» moderata che andava da Bado­glio a Ivanoe Bonomi, dalla Principessa di Piemonte al ma­resciallo d’Italia Enrico Cavi­glia fino al generale Cadorna, tuttavia considerato troppo le­gato a Umberto. La collabora­zione fra il SOE e l’industriale non portò grandi frutti perché gli interlocutori avevano visio­ni diverse: Olivetti pensava a una soluzione politica - giunse persino a giocare la carta del «coinvolgimento» della Santa Sede come possibile interme­diario di colloqui tra la Fami­glia Reale italiana e il governo britannico - laddove, invece, il SOE si era convinto che si doves­se ormai puntare sulle azioni sovversive e su una «non oppo­sizione » all’invasione.
Dalla ricostruzione, effettua­ta con puntigliosa cura da Ber­rettini, di covert operations , «di­plomazie clandestine» (Emilio Lussu e Pietro Badoglio), «mis­sioni » (Caracciolo, La Malfa, Olivetti) e via dicendo emerge un quadro pieno di chiaroscuri centrato sull’immagine di un antifascismo, in particolare il fuoruscitismo, spesso velleita­rio e di una Gran Bretagna pri­gioniera di pregiudizi e stereoti­pi sugli italiani. Ma emerge an­che il fatto che, alla lunga, nel dopoguerra, le relazioni privile­giate con gli inglesi, stabilite in quel periodo, avrebbero dato i loro frutti.