Paolo Granzotto, il Giornale 16/6/2010, 16 giugno 2010
[LETTERE] GLI ITALIANI SONO FIGLI DI TROPPI PADRI QUINDI SONO ORFANI
Caro Granzotto, discutendo tra amici siamo arrivati allo scontro sul: «Siamo o no, o quanto, figli del nostro passato. Come individui e come popolo? » Ha senso citare Petrarca: «Italia mia benché il parlar sia indarno... », o l’Alighieri: «... nave senza nocchiero in gran tempesta »,o Gioberti che sosteneva l’Italia essere un’astrazione, un desiderio, non un fatto, per trovarvi le possibili primogeniture del nostro presente? Oppure basta risalire al 1993, al 1945, o magari al 1919 e, perché no al 1861? La contraddittoria, angosciante complessità dell’Italia 2010: i nostri difetti e i nostri pregi, così come li abbiamo sotto gli occhi, a parte l’angolazione scelta per vedere, di quanti padri è figlia? La stima che abbiamo in lei come persona e come esperto «informato dei fatti», ci induce a ricorrere al suo parere.
Giancarlo Coppini, Moreno Lupi
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Per dire come sia facile dispensarci babbi e mamme, basti ricordare che per una certa parte della sinistra, quella più tetragona (ex trinariciuta), noi siamo figli della Resistenza. Ce n’è per tutti, insomma. I più gentili ci vogliono figli del Rinascimento: tanto, chi si direbbe contrario a una simile, sontuosa paternità? I più maliziosi, invece, ci vorrebbero figli del «Franza o Spagna purché se magna » e qui bisognerebbe recitare il noto adagio del Divo Giulio e cioè che a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca. Basta il Palio di Siena - sotto questo punto di vista meritevolmente trasmesso in diretta dalla tv - , però, per farci sentire rampolli dell’Italia dei Comuni. Uno storico vanto nazionale, chissà poi perché, avendo messoci nel sangue il virus del campanilismo e dello strapaese, che ha nel risvolto della medaglia il disprezzo per quanti stanno all’ombra di altri campanili. Il Duce sosteneva che eravamo figli di Roma e a loro volta i romani sostenevano che eravamo figli di quel pirla del pio Enea. Bella roba: figli di quello che se la diede a gambe (d’accordo,col padre Anchise- cugino di Priamo, tanto per dire- a cavacecio, ma questo non gli salva l’onore)mentre aveva giurato di difendere le mura di Troia fino alla morte. Che sedusse e quando gli venne a noia il sollazzo abbandonò Didone, povera donna. Figli di un tal vigliacco e mascalzone? Eh, cari Coppini e Lupi, chi lo sa, chi lo sa...
Molto affermata è l’opinione che da branco sciolto diventammo famiglia, ovvero fratelli, sulle note del «Piave mormorava... », nelle trincee del Carso,sulle rive dell’Isonzo e sull’altipiano di Asiago.
E ciò alla faccia dei pacifisti, ovviamente. La cosa curiosa è che nessuno, almeno fino a ora,ha avanzato l’ipotesi che il carattere, il temperamento e in generale l’identità degl’italiani sia stata forgiata a Solferino o a Bezzecca, a Teano o, magari, a Lissa.Ebbe più successo nell’Italia post unitaria il richiamo agli eventi che videro protagonista Ettore Fieramosca o andando più indietro nel tempo, Giovanni da Procida. E se è per questo nemmeno Papa Leone I detto il Magno,colui che fermò sul Mincio quell’iradiddio di Attila, scherza. A proposito di barbari, seguita ad aver consenso, quanto meno nella Padania e dintorni, la tesi d’una figliolanza longobarda. Alla quale si contrappone l’orgoglio meridionale di dirsi eredi di sangue di Federico II, lo Stupor mundi ( vanto soprattutto dei siciliani e delle siciliane di biondo capello e d’occhio azzurro,anche se oggi l’Elnet Satin fa miracoli).Insomma,cari amici, di babbi (e di mamme) ne abbiamo che la metà basta e questo forse vuol dire che siamo orfani. Che siam venuti su come tanti Martinitt, quindi con un notevole talento nell’arte di arrangiarsi e di arrangiare le cose, una spiccata attitudine, vulgo «bernoccolo », al fai-da-te, ben predisposti al lampo di genio e consustanzialmente vocati all’anarchia. Buoni ci stiamo, come la storia insegna, solo sotto bastone. Forse per questo siamo un grande e simpatico popolo. Anzi, proprio per questo.