Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 15 Martedì calendario

DiRupo Elio

• Morlanwelz (Belgio) 18 luglio 1951. Politico. Leader socialista, vincitore (36%) nella parte francofona del Belgio alle elezioni del giugno 2010 • «[...] è considerato il più aperto al dialogo con i fiamminghi [...]» (Andrea Bonanni, ”la Repubblica” 14/6/2010) • «[...] figlio gay di un minatore abruzzese [...]» (Ivo Caizzi, ”Corriere della Sera” 8/10/2007) • «Zorro e il sergente Garcia, o ”Gli Intoccabili”: alla televisione guardava quei programmi. Lo ha raccontato lui stesso, in una intervista di quando ancora non era nessuno, o quasi: ”E la prima televisione l’ho vista che avevo 12 anni, a casa di un vicino un po’ meno povero di noi”. Adesso, su quegli stessi schermi televisivi, Elio Di Rupo ci abita quasi ogni giorno. Con i suoi cravattini rossi a farfalla, tassativi («Il papillon – disse una volta’ è un riflesso della mia personalità: essere serio, senza mai prendermi sul serio”), e le camicie verdi, le giacche blu, i capelli a spiovere sugli occhiali. Ha una casa piena di libri d’arte. Non ha una famiglia sua: e da anni, i media in Belgio e all’estero chiacchierano su una sua presunta omosessualità. [...] Lui lascia starnazzare, per così dire. Ma quando, nel 1996, un tizio lo accusò pubblicamente di comportamenti pedofili e quasi gli rovinò la carriera (Di Rupo era vice-premier, le accuse si dimostrarono poi tutte false), la sua risposta fu secca: ”Certe bassezze insopportabili, e l’ignominia, non hanno nulla a che vedere con rapporti liberi fra adulti consenzienti. E poi è giusto tirare un confine fra vita privata e politica...”. All’inizio, lo credevano un visionario romantico. Non lo era proprio: come dimostra la sua carriera politica iniziata a 17 anni, quando si innamorò di Carlo Marx e decise di mettersi in marcia verso il partito socialista vallone e verso il lontano Parlamento; ma anche di laurearsi in Chimica, nel caso che il Parlamento avesse tenuto le porte sbarrate. In Chimica si laureò davvero, ma quegli altri timori non si avverarono: aveva visto giusto lui. [...] Però la sua infanzia poverissima e tormentata, quella non l’ha mai dimenticata né nascosta. Dentro c’è molto di Charles Dickens, cioè di Oliver Twist, di Edmondo De Amicis (il socialista De Amicis) e di Mark Twain, cioè di Huckleberry Finn. Il padre e la mamma, contadini mezzadri abruzzesi, partirono da San Valentino in Abruzzo Citeriore, provincia di Pescara, e arrivarono in Belgio come tanti altri, in fuga dalla povertà: [...] La famiglia si stabilisce a Morlanwelz, cittadina vallona (tremila italiani su 18mila abitanti). Il padre va subito nelle miniere di carbone, e solo un anno dopo muore. La madre resta sola con 7 figli, e 3 vengono mandati in un orfanotrofio. ”A differenza di altri figli di immigrati, siamo cresciuti impregnati di cultura belga perché la pubblica assistenza ci seguiva in tutto – dirà un giorno Di Rupo’ io sono fiero di essere belga e di avere radici italiane”. Ma era dura, durissima: a 11 anni, colpito da una malattia psicosomatica che poi si accerterà legata agli stress sociali della famiglia, Di Rupo lascia la scuola per un anno. Riprende un anno dopo, quando un insegnante gli dice: ”Di Rupo, tu vali qualcosa”. [...]» (Luigi Offeddu, ”Corriere della Sera” 15/6/2010) • Già vicepremier e ministro delle Telecomunicazioni, nel 1994 rifiutò di incontrare il collega Pino Tatarella in quanto ”postfascista”: «[...] figlio di un minatore immigrato a Charleroi nel ’49, subito dopo l’infame accordo che assicurava al Belgio braccia italiane a buon prezzo, in cambio di carbone a basso costo per l’Italia. [...] ”Io sono un esempio vivente di persona povera, senza genitori, che ha potuto diventare vice-primo ministro grazie a una società che garantisce la libertà, la democrazia e l’eguaglianza delle possibilità. Non voglio condannare l’Italia, che amo ed in cui ho le mie radici, ma l’arrivo al Consiglio dell’Unione europea di un ministro neo, o post-fascista, è un momento storico estremamente importante che non può essere banalizzato [...]”» (Fabio Squillante, ”La Stampa” 31/5/1994).