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 2010  giugno 14 Lunedì calendario

SALGONO A 170 I TAVOLI DI CRISI AZIENDALE

Non c’è solo Pomigliano. Sono arrivati a 170 i tavoli di crisi aziendale aperti al ministero dello Sviluppo. E aumentano di mese in mese. Anche se «ci sono segnali di ripresa» e alcuni casi vengono risolti, come quello dell’Alcoa, «spesso le situazioni critiche si aggravano, perché, esaurita la cassa integrazione ordinaria, si passa a quella straordinaria», dice il responsabile dell’unità di crisi del ministero, Giampiero Castano. I 170 tavoli riguardano aziende che nell’insieme hanno quasi 400 mila lavoratori. Di questi, secondo le tabelle ministeriali, uno su quattro rischia di perdere il posto, per la precisione 109.278. Ma le vertenze seguite riguardano imprese con almeno 150-200 dipendenti, spiega il capo della task force, e quindi sono escluse quelle piccole. Dal monitoraggio sono anche esclusi grandi gruppi come Fiat, Telecom e le imprese già in amministrazione straordinaria, per cui, dice Castano, tenendo conto di tutto, cassa straordinaria, mobilità, chiusure, si può parlare di 200-250 mila posti a rischio.
 il conto della crisi finanziaria internazionale che si sta scaricando sempre di più sull’occupazione. Ecco perché, sottolinea il capo dell’unità di crisi, «se non ci fosse il rilancio dello stabilimento Fiat di Pomigliano, sarebbe un disastro, non solo per questa fabbrica ma per tutto l’indotto, con gravi conseguenze sul settore e sull’area». Per questo Castano, in passato segretario nazionale della Fiom-Cgil, si augura che alla fine prevalga il senso di responsabilità. L’indotto auto, la componentistica sono in grave sofferenza. Dalla Ergom (500 posti a rischio in Piemonte, Campania e Lombardia) alla Rieter (400 in Lombardia, Piemonte e Veneto), dalla Oerlikon (1.200 in varie regioni del Nord) alla Speedline di Venezia (100), dalla V.M. di Cento (300) alla Grimeca di Rovigo (800).
La crisi ha colpito duramente anche il tessile tradizionale (filatura, tessitura, stampaggio, tintura), ma anche parte dell’abbigliamento e del made in Italy di lusso. Si va dal gruppo Miroglio (750 posti a rischio tra Alba e Taranto) a Mariella Burani (1.500 in Emilia, Toscana e Lombardia), dalla Ittierre (1.500 in vari stabilimenti) alla Golden Lady (350 in Lombardia ed Emilia), dalla Legler ( 1.200 in Sardegna e Lombardia) alla Adelchi di Lecce (700).
Situazioni gravi anche nel comparto degli elettrodomestici. Ancora senza prospettive il gruppo Antonio Merloni, dove è in gioco il posto di 4 mila lavoratori tra Marche, Umbria ed Emilia. In difficoltà pure l’Indesit, spiega Castano, che dopo la chiusura dello stabilimento di None in Piemonte, vede altre due fabbriche a rischio, a Brembate e in provincia di Treviso. Stessa sorte per la Videocon di Anagni, che produceva televisori.
Molto in difficoltà la chimica di base, dove rischiano di saltare 4.500 posti di lavoro in tutto il territorio, e altri 4 mila sono in bilico nella farmaceutica. Le emergenze vanno dalla Nuova Pansac alla Basell, dall’Eni-Ineos di Marghera alla Montefibre di Venezia, alla Vinyls di Porto Torres, dove gli operai hanno messo in atto forme clamorose di protesta («l’isola dei cassintegrati» all’Asinara). In pericolo tutto il distretto del mobile imbottito tra Puglia e Basilicata, con 5 mila posti a rischio su 15 mila. E non si salvano neppure i settori dove negli ultimi anni si erano creati più posti di lavoro, dai call center all’information technology. Tra i gruppi ex Eutelia, Omnia Network, Phonemedia e altri ci sono almeno 20 mila lavoratori che potrebbero restare a spasso e che, tra l’altro, dice il responsabile dell’unità di crisi, sono almeno in parte difficilmente ricollocabili, come accade per tutti i dipendenti che perdono il posto intorno ai 45-50 anni. Preoccupa anche la sorte dell’Italtel, l’ultima grande azienda italiana di telecomunicazioni, mentre la crisi non risparmia neppure la siderurgia, dalla ex Lucchini a Piombino al gruppo Riva a Taranto, conclude Castano.
Che fare? Tre cose: «Mantenere gli ammortizzarti sociali, soprattutto quelli in deroga, che funzionano da pronto soccorso. Sostenere le piccole e medie imprese, che hanno bisogno di accesso al credito, bonus fiscali e altre agevolazioni. Puntare finalmente sui settori nuovi, dalle energie rinnovabili, alla nuova chimica, ai motori ecologici, con azioni di politica industriale che finora sono mancate».
Enrico Marro