Massimo Gaggi, Corriere della Sera 13/06/2010, 13 giugno 2010
L’INFORMAZIONE (SACRA) NEL MODELLO USA
L’ex sindaco di Dallas Don Hill sta scontando una condanna a 18 anni di carcere per tangenti insieme alla moglie (9 anni) e a diversi funzionari municipali. L’accusa’ aver ottenuto illecitamente 5 milioni di dollari, taglieggiando vari operatori economici, soprattutto costruttori’ è stata provata attraverso una montagna di intercettazioni.
E poi ci sono i riscontri di molte transazioni finanziarie, senza che le vittime di questi episodi di concussione denunciassero apertamente l’imputato in aula.
una vicenda fra tante: i casi di sindaci, governatori, deputati e senatori che scontano lunghe pene detentive per episodi più omeno gravi di corruzione, negli Usa sono decine. Indagini in genere ampiamente supportate da intercettazioni telefoniche o ambientali. A volte sono stati filmati anche incontri tra il sospettato e agenti federali travestiti da corruttori. L’Fbi, se ha in mano indizi importanti, non solo non si ferma davanti ai membri del Congresso, ma può arrivare a perquisire le loro case, come nel caso di William Jefferson, il deputato democratico della Louisiana nel cui freezer, nel 2006, furono trovati 90 mila dollari in banconote, avvolti nella carta stagnola.
In quel caso i federali per la prima volta fecero addirittura irruzione negli uffici del Congresso, suscitando ondate di proteste tra i parlamentari. Jefferson resistette, rifiutò di dimettersi. Nel 2008, però, non è stato rieletto, nel 2009 è stato processato e pochi mesi fa ha subito una condanna a 13 anni di carcere: la pena più lunga mai comminata a un parlamentare Usa per corruzione.
Non c’è dubbio alcuno che negli Stati Uniti le indagini giudiziarie per le quali vengono predisposte intercettazioni siano assai meno numerose che in Italia e che i testi delle conversazioni non vengano quasi mai pubblicati dalla stampa. Ma, come dimostra il caso Blagojevich (l’ex governatore dell’Illinois che cercò di «vendere» il seggio senatoriale lasciato libero da Obama una volta eletto presidente) di cui si è parlato molto anche in Italia, l’approccio è molto pragmatico. Non ci sono divieti: se gli inquirenti lo ritengono opportuno e utile a sostenere i passi successivi dell’indagine, possono rivelare in tutto o in parte i contenuti delle intercettazioni. Quelli pertinenti al caso in esame.
Confrontare Italia e Usa in questo campo non è semplice. Ci sono profonde differenze storiche e politiche e poi, ad esempio, negli Usa il ricorso alle intercettazioni nelle inchieste giudiziarie è relativamente limitato, mentre è molto diffusa e «invasiva» la sorveglianza elettronica per la tutela della sicurezza nazionale, soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre 2001. Da qui, tra l’altro, la maggiore diffidenza della stampa Usa per questo strumento utilizzato prevalentemente da strutture governative e di intelligence al di fuori di ogni controllo: negli anni di Bush e Cheney si è scoperto che nelle pieghe delle esigenze di segretezza si creava uno spazio per abusi. Anche nei confronti della stampa.
Detto questo, alcune notazioni generali possono risultare utili:
1) Il lavoro dei giornalisti negli Usa è molto più tutelato che in Italia: il Primo Emendamento della Costituzione federale vieta qualunque limite alla libertà di parola e di stampa, oltre a tutelare pienamente quella religiosa e di associazione. Inoltre, in caso di processi per diffamazione, nel sistema giudiziario Usa l’onere della prova grava sul possibile diffamato, non sul giornalista che viene condannato solo se quello che ha scritto si rivela platealmente falso o se un errore fattuale, magari meno grave, è stato commesso in malafede.
2) Il culto della libertà, valore supremo per gli americani, la tutela dei diritti dell’individuo che certamente negli Usa godono di una considerazione superiore a quella che riscontriamo in Europa, trovano un limite nell’interesse collettivo a un’informazione articolata e penetrante. Ancora una volta i principi passano attraverso il filtro del pragmatismo. L’individuo è sacro, il suo diritto alla riservatezza no: gli europei sono molto più gelosi della loro privacy degli americani che la vedono intaccata non solo dalla stampa, ma dalla vorticosa circolazione di informazioni patrimoniali, dalla pratica inesistenza del segreto bancario, dal disinvolto trattamento dei dati personali a fini commerciali. Basta guardare Google o Facebook: quando entrano «a gamba tesa» nella nostra privacy, le reazioni europee sono furibonde, negli Usa prevale una rassegnata irritazione.
3) Quello che, invece, l’America punisce con severità è il dipendente pubblico «infedele» che trasmette informazioni riservate all’esterno. Le confidenze più o meno anonime di un funzionario, di un militare, di un esponente dell’Amministrazione che consente a un giornale di scoprire gravi errori o addirittura scandali negli ultimi anni sono divenute più difficili da raccogliere per la severità di Bush in questo campo. Si pensava che con Obama, autodefinitosi il presidente della trasparenza, le cose sarebbero cambiate. Proprio ieri, invece, il
New York Times ha pubblicato un’indagine dalla quale emerge che nell’ultimo anno la repressione delle fughe di notizie è diventata ancora più dura. Soprattutto laddove è in gioco la sicurezza nazionale, ma non solo.
Massimo Gaggi