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 2010  giugno 14 Lunedì calendario

Venerdì scorso, intervistato a Verona in pubblico dal direttore del tg della 7 Antonello Piroso al convegno promosso sul Nord da Enrico Letta, presenti uno stuolo di inviati dei principali giornali, Carlo De Benedetti ne ha avute per tutti

Venerdì scorso, intervistato a Verona in pubblico dal direttore del tg della 7 Antonello Piroso al convegno promosso sul Nord da Enrico Letta, presenti uno stuolo di inviati dei principali giornali, Carlo De Benedetti ne ha avute per tutti. Confermando quello che ancora questa mattina sostiene Giuliano Ferrara sul Foglio dei Fogli: "CDB, mero proprietario di Repubblica e dell’Espresso, sta inoltrandosi nella politica con ritmo personale sempre più vivace e chiassoso". ANTONELLO PIROSO PIROSO - Sto per presentarvi una minaccia e un pericolo per la democrazia: Carlo De Benedetti... Prima che si pensi che io sia impazzito, preciso che la definizione non è mia ma sua: nell’ultimo libro fatto con Paolo Guzzanti, nel commentare l’iniziativa e l’operato politico di Silvio Berlusconi, fa una considerazione su imprenditori e politica. Però vorrei partire dal tema dell’incontro: se ridurre le tasse sia o meno di sinistra. Poi ci occuperemo di altre questioni laterali. Berlusconi con Carlo Debenedetti DE BENEDETTI: Di tutto AP - Ah, di tutto, bene! Ora che ho il via libera...Ma partiamo dalle tasse. Lei ha scritto di recente un articolo sul Sole24ore sul tema di fisco, imprese e rilancio dell’economia. Perché sente il bisogno di ritornare ciclicamente su questo tema? debenedetti CDB - Perché finché si è liberi di farlo, si fa. Se uno ha delle idee e qualcuno te le pubblica...Prima di rispondere sul se ridurre le tasse sia di sinistra, vorrei però prima dirle come sento io la sinistra, come vorrei che fosse. Da quando ero studente al politecnico, non sono mai stato iscritto ad un partito in vita mia, non sono mai stato iscritto a nessun partito in vita mia. Ho votato sempre repubblicano e da quando non ci sono più stati i repubblicani, ho votato PD. AP - Mi scusi ingegnere, ma fra i repubblicani e il PD è successo qualcosina... CDB - Beh...ho votato quel che c’era, cioè PDS, DS, quella roba lì. Il PD mi ha dato la sensazione di poter essere l’innovazione della politica italiana, cioè, un partito che non partiva dal passato ma guardava al futuro in cui erano scomparse sia le croci che le falci, per cui mi ha dato un senso di grande speranza. Ne sono stato profondamente deluso. Per rendere la chiacchierata un po’ più light... AP - Light?... DB - Sì, light, un po’ più leggera AP - Sì, be’, tanto non abbiamo neanche cominciato, però se la vuole rendere light va benissimo CDB - Quando gli alleati sono sbarcati ad Anzio fecero un gravissimo errore: ritenere che i tedeschi avessero finto di non esserci ma invece li avrebbero poi chiusi in una sacca...quindi tardarono 3 mesi per avanzare verso Roma. In questo diedero tempo ai tedeschi di organizzarsi, i tedeschi blindarono Cassino e fu una strage per un errore di un generale. Alla fine di questa avventura tragica, Churchill usò questa frase: "Credevamo di aver sbarcato un gatto selvaggio e alla fine ci siamo trovati con una balena arenata". Questa è la mia immagine del PD di oggi. AP - Per fortuna voleva essere light... Ha dato della balena spiaggiata al PD! CDB - Beh, questa è la mia sensazione che non toglie che ci possa essere una speranza per il futuro perché ognuno di noi vive di speranze. Secondo tema: cosa penso delle imposte. Penso che una forza riformista si distingua sostanzialmente su 4 punti. Il primo punto è tassare rendite e patrimoni anziché il lavoro, sia impresa che lavoratori. Secondo punto. Riequilibrare quel divario di ricchezza che si è creato nuovamente e che deve ritrovare attraverso la politica una forma di compensazione. Il terzo è quello di saper interpretare l’integrazione. Non parlo solo di lavoro ma anche di razze e religioni. Da ultimo quello di investire su università e scuola. Questa è la differenziazione fondamentale fra la sinistra e quello che in genere si riconosce nella più parte della destra. Rispetto a tutti questi temi mi sembra che sia del tutto logico che sia di sinistra quello di ridurre drasticamente, non marginalmente, le imposte sul lavoro, sia sull’impresa che sui lavoratori, e a trovare una compensazione sulle rendite e sui patrimoni. Se uno pensa che il 10% delle famiglie italiane possiede più del 50% del patrimonio italiano vuol dire che c’è un problema di equità che deve essere affrontato. Penso che questo è un paese in cui l’evasione è talmente sfrontata che non può essere affrontata dicendo semplicemente "lo faremo", ma bisogna affrontarlo partendo da dati semplici e concreti. Il 50% delle imprese italiane è perennemente in perdita e ci son meno contribuenti che dichiarano più di 100.000 euro all’anno di quante automobili che costano più di 100.000 euro ogni anno vengono immatricolate in Italia. Ci sarà un problema, no? Non è demagogia, sono numeri. Io penso che se ne debba occupare la politica. Vista la mia posizione penso che la prima ad occuparsene debba essere la sinistra. Poi li chiami riformisti, li chiami come vuole. La targa non conta. AP - Quando parla di tassare le rendite, è un po’ come se dicesse - e uso un linguaggio tremontiano- che la pressione deve passare dalle persone alle cose. Se c’è sintonia con il ministro Tremonti su queste cose, c’è totalmente con il Ministro Tremonti? DB - Assolutamente no. C’è su questo tema, ritengo che non sia un problema che debba esser visto come un retaggio del marxismo perché la Svizzera che è un paese dove i marxisti non hanno mai avuto molta cittadinanza, ha una tassa sul patrimonio dell’ 1% all’anno. Io ho un figlio medico in Svizzera che paga tutti gli anni oltre che sul suo reddito, sul suo patrimonio. E nessuno si scandalizza, è normale. Allora non ho capito perché non lo facciamo noi, tenuto conto del cattivo comportamento complessivo del capitalismo italiano. AP - Nel dibattito precedente che lei ha seguito, è emerso il fatto che ci sia il Ministero dell’Economia che ha concentrato in sé le competenze, le titolarità di più ministeri, lei però nell’articolo del 20 maggio 2010 proprio a proposito di Tremonti e del Ministero dell’Economia, ad un certo punto fa un inciso dicendo : "E’ un concentrato di potere su cui bisognerà fare una riflessione". La riflessione che ha fatto il ministro Maroni è: "L’ha fatta il centrosinistra questa operazione". CDB - E’ vero, il primo ministro dell’Economia è stato Visco che raggruppava le stesse competenze di Tremonti. Credo che la domanda dovremmo porla a Berlusconi e sentire cosa ne pensa lui del concentrato di potere che ha Tremonti. AP - Lei pensa che ci sia un dualismo all’interno del PDL? DB - C’e n’è, scherziamo? Dualismo...Pluralismo, un grande pluralismo. Che è mascherato dietro la figura del Leader, leader ex carismatico, cioè Berlusconi. Pluralismo alla grande. Non sono neanche così d’accordo nell’andare in Parlamento. Mancano sovente, non sono così motivati.. AP - Rimango nell’ambito delle tasse, lei se n’era uscito una volta dicendo : "Intanto uno strumento che si potrebbe introdurre sarebbe non solo quello di fare la dichiarazione dei redditi per chi la fa, ma potremmo introdurre una norma che imponga di allegare l’estratto di conto corrente". Questo sarebbe secondo lei un primo passo per ridurre l’area enorme dell’evasione. Perché? DB - Non ho inventato niente, è quello che succede negli Stati Uniti. Non puoi più evadere così. Non è che gli americani son buoni, bravi e ligi alle leggi, semplicemente hanno paura di andare in galera. La gente le imposte non le paga così perché è brava. La gente le paga se è obbligata. In Italia la gente evidentemente non è obbligata, se no non ci sarebbe l’evasione che c’è. Oggi il fisco ha il diritto di chiedere un conto corrente, solo che è molto diverso il fisco che lo va a chiedere rispetto al contribuente che nel momento in cui firma la dichiarazione ci pensa sopra e va a rivedere le sue spese durante l’anno e vede se le cose stanno insieme. AP - Questa mattina Luca Ricolfi sulla Stampa la cita... DB - Sì, gli ho anche scritto. Perché non sono d’accordo. AP - Sì, un attimo. Mi fa piacere che lei sia iper-reattivo. Spiego. Ricolfi parla della manovra, prende prima la parte critica e poi dice "Io non mi sento di dare addosso al ministro Tremonti" soprattutto in un passaggio. Cita l’ultima puntata di Ballarò dove c’era un confronto fra Morando del Pd e Tremonti, e Ricolfi commenta: "Morando pensa come De Benedetti che quello che sarà recuperato dalla lotta contro l’evasione - e Ricolfi ricorda gli 8 milliardi - secondo Morando ma anche secondo Carlo De Benedetti, dovrebbero portare a una riduzione delle aliquote perché se recuperi dei soldi fai scendere le aliquote. Sbagliato, dice Ricolfi. Fa bene invece Tremonti a prendere quegli 8 mld e usarli per il deficit. Se no si arriverebbe al paradosso, prosegue Ricolfi, come ha detto Tremonti a Morando durante Ballarò: "Allora voi di sinistra siete favorevoli al taglio della sanità perché se i soldi non li uso così, da qualche parte dovrei tagliare, cominciando dalla sanità". Cosa ha risposto a Ricolfi? DB - Ricolfi è stato molto gentile a citarmi e ad accorgersi che esisto, ma ha detto anche che io dicevo che bisognava tagliare le imposte ma non dicevo dove si recuperava. Allora gli ho mandato un estrattino dove dicevo che bisognava mettere la patrimoniale. Probabilmente si era distratto. AP - La manovra nel suo complesso come la giudica? DB - Insufficiente, iniqua, fasulla e a parte il considerarla una specie di scrigno magico in cui entrano le cose, escono le cose: le provincie, ad esempio. Una manovra deflattiva, non lo dico io, insufficiente ed una manovra che non contiene in sé neanche una riforma. L’unica riforma che è stata introdotta ultimamente, è andata a prendersela Sacconi a Bruxelles, dove gli hanno detto "no, non c’è trippa: età pensionabile a 65 anni". Ed è l’unica riforma che è avvenuta in questo periodo. Tra l’altro dimostrando una mancanza di coraggio a mio parere incredibile, perché visto che t’avevano imposto quella del pubblico impiego a 65 anni, tanto valeva metterla anche per il privato...Non si capisce perché un dipendente pubblico deve andare in pensione a 65 e uno privato ci può andare a 60. Non ho ben capito qual è la differenza razziale tra dipendente pubblico e dipendente privato. Ma quella riforma lì non l’ha fatta il governo eh...Sacconi è andato a Bruxelles per cercare di non farla. Poi l’han mandato via con le buone maniere. AP - Sindacati e imprenditori, cioè le parti sociali, hanno fatto la loro parte in questi anni? E che tipo di parte? La CGIL intanto ha annunciato scioperi con qualche perplessità anche nel centrosinistra, c’era un’intervista a Nicola Rossi che faceva qualche rilievo più che critico nei confronti dell’operato del sindacato. DB - La generalizzazione di dire che 2 categorie siano di per sé rappresentative di 2 mondi e che abbiano agito bene o male in tutte le circostanze della loro esperienza, è chiaramente ridicola. Penso che gli imprenditori non hanno capito come stava cambiando il mondo. Ho fatto per 8 anni il presidente di Confindustria e sono in Confindustria da - temo di dire 40 anni o più - e non ho ancora ben capito se hanno capito che il mondo è cambiato, cioè il paese ha cambiato i pesi di PIL creati dall’industria rispetto a quelli creati da commercio, servizi, professioni e così via. Una rappresentazione onnicomprensiva come quella che vuol fare Confindustria è a mio parere un po’ obsoleta proprio culturalmente. Il sindacato è troppo legato alla politica, non sempre ha fatto l’interesse dei lavoratori, ma considero che è anche la politica a mancare in questo. Le faccio un esempio. Questa settimana c’era una preparazione all’incontro di oggi della FIAT su Pomigliano D’Arco. Si è letto di tutto ma non si è vista una riga di agenzia in cui un politico di governo o del PD abbia espresso una parola sull’argomento. Il Governo ha il piccolo problema di avere un ex ministro dell’industria che deve preoccuparsi di altre cose e quello attuale oltre che occuparsi delle televisioni mi pare che si occupi di eliminare l’art. 41 della costituzione. Una roba surreale. Però Pomigliano è una cosa che proprio non lo riguarda. Dal PD non ho sentito provenire una parola. Sono ben contento che il Governo non sieda al tavolo perché è un problema tra la FIAT e i sindacati, però che la politica non abbia avuto la sensibilità di dire una parola su un argomento importante per il futuro industriale di questo paese, mi sembra significativo. Perché nel PD si preoccupavano più di sapere se venivo qui per sostenere Enrico Letta come prossimo leader del PD - il dibattito principale nel PD di questa settimana - dall’altra parte c’era il Presidente del Consiglio che si occupava di eliminare l’articolo 41 della costituzione: una bizzarria totale. AP - Mi sono messo da parte l’articolo del Sole24 ore di oggi perché mi aveva colpito intanto il titolo di un commento: "Grandi assenze. I silenzi e le amnesie della politica da talk show", non capisco perché c’entriamo sempre noi della televisione. Il talk show rappresenta la politica come la raccontano i politici. Noi incalziamo i politici su temi specifici ma se qualcuno (indica CDB, ndr) vuole parlare d’altro, io lo assecondo. Allora: Nicola Rossi. " C’è il timore di raccontare la verità, se vogliamo recuperare lo standard di un tempo occorre lavorare di più e meglio". Commento alla vicenda di Pomigliano. Massimo Garavaglia, senatore Lega Nord: " In bilico ci sono 5000 posti ma tutto passa sottotraccia o peggio, radicalizzato allo scontro destra-sinistra sulla CGIL". Luigi Angeletti segretario della UIL commenta: "Il terrore di esprimersi sulle scelte sindacali frena il PD ma essere subalterni non paga in termini di voti". Quale di queste 3 affermazioni trova più calzante? nicola rossi lap DB - L’ultima certamente. Prima lei m’aveva fatto una domanda sugli scioperi. Io non so quali siano in programma. Credo che ormai gli scioperi non servano a nulla. Sono un modo per penalizzare il lavoratore nel senso che già la busta paga non è ricca, e il risultato certo è la riduzione di quanto c’è in busta paga. Il resto è opinabile. AP - Lei ha citato l’articolo 41. Primo comma: "l’iniziativa economica privata è libera" e fin qui, ci siamo. Secondo: "Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da arrecare danno alla sicurezza, alla libertà o alla dignità umana" E anche qua mi sembra che ci siamo. Terzo: "La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali...Fini...sociali", sarà mica la parola Fini il problema?...Adesso - al di là della boutade su Fini- ...Qualcuno potrebbe dire "Beh, in base al terzo comma rispolveriamo la programmazione economica. E questo sarebbe molto grave..." ENRICO LETTA DB - Questo sarebbe un dramma di andare all’indietro nella Storia. Io trovo che quello che c’è scritto nell’art. 41 è perfetto. Io sono piemontese. Tra l’altro risiedo a Dogliani, comune di Luigi Einaudi. Einaudi sosteneva che al mercato di Fossano, era fondamentale che arrivassero prima di tutti gli altri 2 carabinieri, perché davano il senso che c’era un ordine e la regola. Il mercato funzionava perché la gente capiva che c’erano i 2 carabinieri. Non facevano nulla ovviamente ma il fatto di esserci dava il senso del mercato con le regole. Se lo diceva Einaudi che non era un pericoloso comunista, non ho capito cosa gli sia venuto in mente a Berlusconi. Evidentemente è distratto. AP - Io le ho chiesto di sindacati e impresa, se hanno fatto la loro parte e in che modo soprattutto all’ombra della crisi. Le chiedo se il capitalismo e capitalisti italiani hanno fatto la loro, perché l’impressione che si ha - relata refero - è che il capitalismo italiano sia asfittico:una camera chiusa di persone e salotti buoni, stanze di compensazione ad altissimi livelli dove si entra in genere per cooptazione, il tutto rendendo il nostro paese piuttosto chiuso e stagnante, non in grado di trovare al suo interno - proprio perché si procede per cooptazione - le spinte giuste per affrontare le sfide che arrivano. GIANFRANCO FINI DB - Le parla uno che non è mai stato cooptato. Non ho problemi a parlare di questo argomento. Io ho il controllo di un gruppo che dà lavoro a 12.000 persone, non siamo in nessun salotto, facciamo il nostro lavoro, quotati in borsa e rispettati dal mercato, non sentiamo il bisogno di partecipare a nessun club, nessuno ci ha mai cooptato, ma io ho avuto sempre una ritrosia ad essere cooptato. AP - Questo è un tratto che secondo lei la a accomuna a Silvio Berlusconi? DB - No, lui è della P2. Come fa a farmi delle domande così? AP - Rimango un attimo al Presidente del Consiglio. Nel libro con Guzzanti lei non dà dei giudizi...No, facciamo un passo indietro. Quando l’ho presentata ho detto "un pericolo e una minaccia per la democrazia". Lei perché ritiene che gli imprenditori in politica siano una minaccia per la democrazia? E non mi dica perché c’è Berlusconi... DB - Penso che l’imprenditore debba essere autocratico. Debba. Non possa. Penso che un politico debba essere democratico. Due DNA incompatibili. E sono incompatibili nel mondo. Tant’è vero che non c’è nessun paese al mondo in cui l’imprenditore che ha tentato di entrare in politica non sia stato segato al primo colpo. LETTA GIANNI Da Tapie in Francia a Ross Perot in USA...non esiste, e non esiste per una ragione fondamentale: la caratteristica vincente di un imprenditore è il suo grado di autocrazia, la caratteristica vincente per un politico è il suo grado di democrazia. Le due cose non stanno insieme quindi io se fossi entrato in politica come quando La Malfa me lo propose a 40 anni, sarei stato assolutamente una disgrazia perché ho una mentalità autocratica e non sono adatto a mediare la cosa pubblica. E me ne vanto, vuol dire che ho fatto bene l’imprenditore. O almeno decentemente. AP - Ci parli del suo ultimo incontro con Silvio Berlusconi. Ce lo vuole rievocare? DB - E’ divertente, perché un giorno mi chiama Gianni Letta che è una persona che io rispetto molto e che ce la mette tutta. Non ha un compito facile. E mi ha detto "Senti, ma non vi vedete da una vita con Silvio, perché non venite a colazione tutti e 2 da me così vi rincontrate?" E combina un giorno che andasse bene a tutti e due e andiamo a colazione a casa di Letta. ALBERTO SORDI Io per questioni di traffico arrivo maleducatamente con qualche minuto di ritardo, sarei dovuto arrivare in anticipo visto che lui è il Presidente del Consiglio, lui si alza, mi viene incontro e mi fa: "Ma tu perché non mi vuoi bene?" -"Ma come cazzo vuoi che ti voglia bene? Mi hai fregato sulla SME, m’hai fregato sulla Mondadori e vuoi anche che ti voglia bene? Ma vaffanculo" AP - Lei lo definisce un "bugiardo in buona fede" DB - Un momento. Non accoppiamo le parole. Lui è un bugiardo. Punto. A capo. Poi penso che in molte cose lui sia veramente convinto di fare il bene del paese, cioè, è talmente fuori di testa che veramente lo pensa. Credo che ci creda. AP - Mi ero appuntato delle frasi dal libro. "Si convince di non aver mentito" DB - Assolutamente. Tipico del bugiardo, no? AP - Lei dice: "Non mi sento di dire che è un mascalzone" DB - Non è un mascalzone AP - "Non è assolutamente una carogna" DB - Son d’accordo...con me stesso AP - Questo è quello che mi ha colpito di più: "Silvio Berlusconi è quello che siamo tutti noi, solo che nel caso suo è portato all’estremo". Prodi e Moglie DB - Ma sì, lui è l’Alberto Sordi della politica, cioè ...è un uomo che prende.... AP - Ingegnere, le vorrei ricordare che quando abbiamo iniziato a parlare circa 40 minuti fa lei ha detto : "Ma parliamo di cose light..." DB - Parlare di Alberto Sordi sarà mica un problema di filosofia medievale, no?... Ognuno di noi esseri umani ma soprattutto italiani, abbiamo queste caratteristiche , un po’ bugiardi, gradassi, mascalzoncelli. Siamo anche simpatici. Lui ha preso tutte queste cose, le ha messe insieme e le ha elevate al cubo. Ed è riuscito formidabilmente. Tant’è vero che gli italiani gli danno il consenso. AP - E’ quello che le volevo chiedere: come mai, secondo lei? DB - Sono disperati. Non so cosa dire.... AP - Senta, accantoniamo un attimo Silvio Berlusconi... DB - Sarebbe bello... giampaolo pansa - copyright Pizzi AP - Sì, voi ridete, io invece sto pensando che ”sta roba la devo mandare in onda... DB - Sarà un grande successo. In televisione non si dice più nulla. Un audience della Madonna... AP - Seeee...nel caso ha mica un posto all’Espresso, dopo? DB - Eh, siamo in fase di ristrutturazione. AP - Ecco, appunto. Romano Prodi oggi ha dato un’intervista a L’Unità da ciclista sul ciclismo... DB - Mi sembra opportuno... AP - Aspetti. A un certo punto l’intervistatore che è anche lui ciclista, infila una domanda sul rapporto tra etica e politica e Prodi risponde: "Tra etica e politica c’è stato un corto circuito nel nostro paese. La gente fa finta di volere politici migliori, invece è felice quando vede in un politico i propri difetti." Vado a 5 anni fa ingegnere. Lei a un certo punto fa una dichiarazione su Prodi. "Prodi è leader del centrosinistra perché deve fare l’amministratore straordinario". Come dire poi ci sarà bisogno di un amministratore ordinario. Ha avuto modo di rivedere questo giudizio? DB - No, ho avuto modo di sentire le proteste di Prodi però, su questo giudizio. In effetti era chiaro che Prodi era un figura di transizione verso qualcosa. Credo sia stato prezioso per il paese perché in quegli anni ci siamo trovati nelle condizioni, per merito suo, per merito di Ciampi, di riuscire a entrare nell’Euro. Con enorme terrore potremmo pensare la nostra situazione odierna se ne fossimo fuori. L’Euro è un handicap per molti punti di vista ma bisogna pensare sempre a cosa sarebbe l’alternativa. EZIO MAURO - Copyright Pizzi Prodi ha fatto in quel momento un gran bel lavoro, ha messo insieme l’impossibile, è stato bravo a farlo e ha messo insieme una squadra in cui c’era di tutto anche nel senso politico del termine. A parte l’Euro che è un merito storico che dobbiamo attribuire a lui e a Ciampi, per il resto aveva la vita segnata. Poi secondo me se l’è segnata anche con alcune scelte che ha fatto in termini di uomini, ma questo....lasciamo perdere AP - Perché lasciamo perdere? DB - Posso star zitto su una cosa o devo parlare su tutto?! AP - No, mi scusi Ingegnere, ha parlato su tutto e mi lascia a bocca asciutta su questo passaggio?!?....Senta, lei ogni tanto sbaglia? DB - Uhh, ho sbagliato un casino di volte! AP - Le leggo una parte finale del libro su di lei del 1988 di Peppino Turani. Questo libro andò in libreria nel momento in cui c’era la scalata alla SGB belga,. Su cui la Repubblica fece un famoso titolo che io già qualche volta ho irriso: "De Benedetti conquista un terzo del Belgio". Sembrava un capitano di ventura.... Peppino Turani nel capitolo finale, nel cercare di spiegare chi è De Benedetti, fa questo incipit: "Cercare di spiegare a questo punto del libro chi è l’ingegnere non è semplice, anche perché lui stesso ha contribuito a diffondere in questi anni un’immagine di sé distorta, sbagliata e a una sola dimensione: quella del vincente sempre e comunque, quindi ogni tentativo di descrizione che cerchi di andare oltre, va a sbattere contro il noioso mito di Re Mida, il Vincitore, il Più Bravo, il Grande Risanatore, il Finanziere cha la sa più lunga di tutti, il Grande Stratega costruito dai giornali da qualche libro nel corso di più di 10 anni. Non solo, proprio perché si tratta di un uomo polemico, scomodo, che non ama le mezze misure, il rischio che si corre con De Benedetti è quello di doversi schierare pro o contro>>. Le chiedo se è così. DB - Ma io penso di averne date molte e prese molte nella mia vita. Dal punto di vista dell’ identificazione convincente, è una stupidaggine forte. Certamente ho avuto grandi ambizioni. E pensi che oggi che ho 75 anni, ne ho ancora, il che significa che ho una malattia di fondo. Mi fa piacere venire qui non per qualche dietrologia, ma per un’amicizia e un atto di simpatia nei confronti di Enrico Letta dietro il quale naturalmente siccome in politica non è conosciuta la parola amicizia né quella di generosità, si deve pensare che c’è un "dietro". Come mi fa piacere lavorare, pensare a nuove iniziative. E’ chiaro che quando uno è molto ambizioso, e io lo sono stato e parzialmente lo sono ancora, incorre nel rischio di prenderle di più, e io ne ho prese tante, e poi di stare un po’ sulle palle alla gente. Soprattutto a quelli che non fanno niente, o che non tentano niente o quelli che vivono di quello che gli ha lasciato il papà. Quella gente lì non mi ha mai fatto particolare simpatia. AP - E’ vero che ama o amava un proverbio che dice: "Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto"? DB - E’ una frase che ho usato sovente. Quando sento fare discussioni bizantine, anche tra i miei collaboratori, dico "Ma di cosa state parlando?... "Articolo quinto, chi ha i soldi ha vinto". Ma non è un mio proverbio, è una constatazione, è la vita. AP - Sulla SGB, cioè la conquista della società che aveva in pancia tutta una serie di partecipazioni e di controlli... DB - Aveva effettivamente il terzo del Belgio. Il problema è che non l’ho conquistata ma se no era vero. Il titolo di Repubblica era sbagliato, ma non il "conquista un terzo", era sbagliato perchè non l’avevo conquistato. AP - Le viene attribuito un giudizio postumo su questa vicenda cioè il tentativo che poi non è andato in porto. Lei avrebbe detto: "Sono stato un genio nell’ideazione e un coglione nella realizzazione". DB - L’ho detto e lo confermo. AP - Ah va bene. Dove ha sbagliato? A presentarsi a casa della moglie del presidente belga con i cioccolatini... DB - No no no. Quello è stato un errore dovuto al complesso dell’italiano all’estero. Cioè, io ero nel consiglio della JP Morgan a New York e, insieme al presidente della SGB che si chiamava (...) Poiché stavamo nello stesso consiglio da qualche anno mi sembrava una roba estremamente scortese di lanciare un’Opa al lunedì mattina e non averglielo detto la sera prima. Allora ho preso l’aereo da Torino, sono andato a Bruxelles, non sapendo neanche questo fatto che era sgarbato portare cioccolatini in Belgio. Cioè, ero abbastanza un rozzo piemontese e quindi ho comprato dei cioccolatini Peirà (?) che sono buonissimi ancora adesso. Glieli ho portati in segno di gentilezza e poi quando eravamo a tavola gli ho detto che avrei fatto un’Opa sulla sua società e gli ho spiegato le ragioni. Lui mi ha liquidato velocemente e io mi son ripreso l’aereo e me ne sono tornato a Torino. E lui, come io sono uscito, ha convocato un consiglio de la Société Générale de Belgique dove ha messo una clausola antiscalata che è stata approvata seduta stante e, siccome all’epoca non esisteva una Consob belga, una cosa del genere, che assolutamente non è ammessa in nessun regolamento di nessuna parte del mondo, in Belgio era ammessa. E quindi lui ha potuto crearsi una posizione preponderante che gli ho fatto creare io, l’ho messo in condizione di farla. Per fare una cosa gentile sono stato un ingenuo. Adesso poi uno può definirlo un coglione. Io sono anche d’accordo sul dire coglione, non c’è problema. AP - L’importante è che lei si riconosca nelle cose che le attribuiscono. Ha visto che però l’altro giorno un giornale belga ha detto: "Bè, in fondo la scalata di De Benedetti non sarebbe stata un danno..." DB - Bè, no. una cosa che c’ha messo un po’ di anni a emergere perché i belgi sono un po’ duri di comprendonio... AP - Ma giusto, allarghiamo, perché fare polemica solo dentro l’Italia? Allarghiamo all’Europa... DB - Ma per carità! Allora, dicevo... Loro erano convinti che bisognasse salvare la belgicità della Société Générale de Belgique. E alcuni si son fatti mangiare dai francesi. Dopo di che oggi della Société Générale de Belgique non esiste più niente. Cioè il grande risultato della belgicità è il deserto, e allora qualcuno si è accorto che per difendersi da me l’hanno venduta ai francesi e che i francesi per magia gliel’hanno rasa a zero. Allora un giornale belga, non so per quale strana ragione, me l’hanno mandato anche a me, Les Echos, mi pare che fosse, ha riesumato questa storia. Non so per quale mal di pancia fosse venuto a quella giornalista... AP - Torniamo un attimo al Partito Democratico visto glielo avevo promesso all’inizio, se no mancherei alla promessa che ho fatto a coloro che sono presenti qui e a coloro che ci guarderanno in televisione. Gianpaolo Pansa, che lei conosce... DB - Eeeh.... AP - Bene credo... DB - Molto bene. stato un collaboratore validissimo per tanti anni AP - Dopo che sono usciti gli estratti del libro con Guzzanti, con i giudizi al vetriolo, perché di questo stiamo parlando, sui vertici del Partito Democratico... DB - Si, in particolare su D’Alema, su D’Alema senz’altro. AP - Volevo chiederle se, per caso, voleva rivederli... DB - No AP - Su Bersani? DB - No... Su... Su Bersani mi fa piacere fare una precisazione. AP - Poi le dico perché ho citato Pansa se no la domanda rimane appesa... DB - Bersani, come dico nell’intervista a Guzzanti, è una persona che stimo molto. Che è stato un ottimo ministro. Che è un caro amico e che è una persona estremamente perbene. E che, qualche volta, vorrei vedere con un po’ più di entusiasmo. E questo perché io sono un appassionato, ecco. A parte questo sono convinto che è una persona eccellente. Mi ha deluso però questa settimana. Perché l’ho visto a una trasmissione televisiva, non mi ricordo quale... Difendeva gli enti pubblici. Ora, per uno che è stato l’unico ministro italiano che ha fatto delle liberalizzazioni vere, sentirlo difendere gli enti locali pubblici, mi è sembrata una stranezza che non gli riconoscevo. Però la mia stima nei suoi confronti è totale. AP - Le citavo Pansa perché Pansa, nel commentare, diciamo, questa polemica, ha detto: "Ma - in un’intervista al Corriere della Sera, dice Pansa - è che De Benedetti vuole fare politica. Lui. Non fare politica dando consigli o scrivendo articoli, o partecipando a incontri... No, No. Vuole fare politica lui. DB - In che senso? AP - In prima persona. DB - Poveretto è invecchiato allora... è invecchiato precocemente perché ha un anno più di me. Comunque è invecchiato. AP - Senta ma quando Ezio Mauro ha scritto: "Il Partito Democratico ha bisogno di un papa straniero"... DB - Si, gli ho chiesto anche io a chi pensava... AP - Ah... DB - Non me lo ha detto. AP - Non glielo ha detto? DB - No AP - Ma lei lo ha chiamato? DB - Apposta AP - Apposta. Cioè, ha letto l’editoriale... DB - Io lo chiamo tutte le mattine perché siamo amici, oltre ad essere lui il direttore del giornale. Ma comunque ci parliamo perché prima di tutto tra noi due c’è una grande amicizia, di solidarietà totale, cioè abbiamo anche le stesse idee... Poi naturalmente possiamo differire nel modo di pensarla, per fortuna, in altre cose. Ma io credo che sia il miglior direttore di giornale che c’è in Italia e sono fiero che sia a Repubblica. AP - Ci rimarrà ancora per molto? DB - Ah. Finchè vuole lui. Non sono... Io certamente non lo mando via. AP - Quindi lei legge quella mattina... DB - Leggo quella mattina e dico: "Ezio chi avevi in mente?", "E mica te lo dico", mi ha detto. AP - Fine... DB - C’è da chiamare Ezio AP - Sempre Pansa, invecchiato o non invecchiato...ha detto: "Questo non è un paese normale, soprattutto per un motivo...". Pansa ha spesso degli sfoghi di mal di pancia nei confronti del Partito Democratico, del centrosinistra... DB - E del gruppo Repubblica - l’Espresso... glielo dico io. AP - E come mai? DB - Perché, secondo lui, non gli abbiamo dato lo spazio che secondo lui meritava. Perché lui sperava di diventare direttore dell’Espresso e noi non abbiamo ritenuto opportuno che lo diventasse. E perché è frustrato. una persona un po’ anziana. Perché inacidiscono un pochino. Perché pensano che non hanno avuto quello che la vita gli doveva dare... AP - Guardi che lei mi sta tirando la tentazione di... citarle un passaggio di un altro articolo di Pansa, però... DB - Non c’è nessun problema AP - Allora. Glielo chiedo come parere. Non c’entra niente con la domanda che le volevo fare però, visto che lei parla così di Pansa, le chiedo: quando è scomparso, mi spiace evocarlo adesso così, ma insomma... quando è scomparso Carlo Caracciolo, Pansa ha fatto un articolo rievocativo dei rapporti all’interno del gruppo. Credo forse l’abbia visto sul Riformista. Era una lunga articolessa che iniziava in prima pagina, riempiva la seconda. E poi la terza. E a un certo punto butta lì una circostanza. Butta li nel senso che a un certo punto introduce una circostanza... io non mi permetto davanti a Pansa, per il rispetto che gli porto, di chiedergli... do per scontato che le cose che racconta siano vere... ma chiedo la verifica a lei perché ha citato lei. Quando c’è stata la sua acquisizione da parte del gruppo e ha liquidato le parti di Caracciolo e Scalfari con due cifre... DB- Sostanziose AP - Sostanziose mi sembra un aggettivo...un eufemismo DB - un eufemismo AP - un eufemismo. Lei non dica nulla. A me risulterebbe che sarebbero 400 più o meno per uno, per la precisione miliardi di lire, e un po’ meno di 100 per l’altro. Chiusa la parentesi. Ma non é questa la circostanza che mi incuriosiva in quella ricostruzione. Era che lei a quel punto avrebbe detto: "Visto l’affare che abbiamo concluso potreste istituire una borsa di studio per i giornalisti di Repubblica, del gruppo, per i loro figli, per mandarli all’estero a studiare...". E i due l’avrebbero guardata come dirle: "Caro Carlo, se ci vuoi pensare pensaci te". DB - Corretto AP - Corretto...Vabbè, era una curiosità mia DB - L’idea mi era venuta in mente perché Mario Formenton, che era un mio carissimo amico ed era presidente della Mondadori, aveva istituito, che c’è ancora oggi, una borsa di studio Formenton per i giovani giornalisti. E mi pareva che Caracciolo avrebbe dovuto farlo. Secondo me. E gliel’ho consigliato. Però, siccome ovviamente lui era un uomo libero come sono un uomo libero io, non ha ritenuto opportuno di farlo. Era molto tirchio, Caracciolo ... AP- Era molto...? DB - Tirchio AP - Vabbè, chiuso. Pansa dice che in un paese normale il direttore di un giornale si alzerebbe alla mattina e si chiederebbe cosa fa il segretario del maggiore partito di opposizione. Per essere chiari, dice Pansa: "In un paese normale Ezio Mauro si alzerebbe alla mattina e si chiederebbe: oggi che cosa sta facendo Pierluigi Bersani? Questo in un paese normale. In un paese anormale - dice sempre Pansa - in cui Repubblica è diventato una sorta di partito ombra, è Pierluigi Bersani che si alza la mattina e si chiede: qual è la linea oggi di Ezio Mauro?" E, nella valutazione di Pansa, poi uno si adegua... DB - Bè si vede tutta l’acidità di stomaco di Pansa in questa affermazione. Certamente è che, se fosse vero quello che dice Pansa, che non è vero, sarebbe una cosa un po’ anomala. Le posso garantire però che Ezio Mauro quella domanda non se la pone perché teme di non avere la risposta. AP - Bene, direi che la chiacchierata è stata esaustiva. Credo. DB - Grazie, anche a me pare...Ma possiamo continuare AP - Vuole dire qualcosa su Epifani? Per farsi altri amici... DB - No. Va bene così AP - Allora lei ha detto di essere ancora alla sua età ambizioso. Le posso chiedere su cosa? Cioè, qual è un obiettivo che si è dato a livello imprenditoriale, come uomo della società civile, come editore del gruppo Repubblica Espresso? DB - Ma guardi, per me vedere... oggi Repubblica è il primo giornale italiano in termini di numero di copie venduto in edicola. Il sito di Repubblica è il primo sito di news italiano. E questo è merito di Ezio Mauro e della gente cha lavora con lui. Mi piacerebbe pensare a dei prodotti nuovi. Non è il momento particolarmente felice perché c’è poca pubblicità e i prodotti vivono di pubblicità, però qualche idea di prodotti nuovi, non quotidiani, ce l’avrei. Seconda cosa che mi piacerebbe... noi abbiamo 16 giornali locali e se qualcuno volesse vendere un giornale locale... io sono un po’ razzista, devo ammetterlo, ecco. Sino all’Emilia. Abbiamo la Romagna nel nostro limite diciamo. Ecco, il confine sono l’Abruzzo e la Romagna. Perché sotto... no no. AP- Dal pubblico chiedono: e L’Arena? DB - L’Arena di Verona? Se fosse in vendita, domani mattina. Il problema è che non la vendono. AP - Non ho capito perché fino all’Abruzzo e poi... DB - Bè, perché scendendo è difficile fare i giornali... AP - Perché? DB - Perché lei non sa mai cosa può venir fuori. Di tutto. Ecco. Poi abbiamo edizioni di repubblica a Bari e Palermo. Bari è una città già complicata. A Palermo, se non ci fosse un giornalista straordinario come Sebastiano Messina, ecco...non è così ovvio fare un giornale a Palermo. AP - Io ringrazio Carlo De Benedetti per questa chiacchierata. Fermi fermi... devo dire una cosa a favore di telecamera. Ovviamente tutti coloro, tutti, dal più alto al più basso di grado, che sono stati evocati in questa chiacchierata "light", come l’ha definita all’inizio l’ingegner Carlo De Benedetti, pensate se fosse stata condita con spezie!, ecco: se vogliono, le porte sono aperte per fare tutte le loro precisazioni. Grazie