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 2010  giugno 13 Domenica calendario

«MIO FRATELLO GIANNI ERA UN PLAYBOY MI PERSEGUITANO PER COLPIRE LUI» Sorella Maria Teresa

«MIO FRATELLO GIANNI ERA UN PLAYBOY MI PERSEGUITANO PER COLPIRE LUI» Sorella Maria Teresa. Le crocerossine tra loro si chiamano tutte così. Ma lei, chiunque la scambierebbe per una suora laica, se non fosse che è sposata, con tre figli. E forse non sarà neppure un caso se uno è prete e si chiama don Gianni, come l’illustre zio che di mestiere fa l’alter ego di Silvio Berlusconi. Lei, infatti, oltre che sorella rosso crociata è anche sorella germana di Gianni Letta. Ma a dispetto di cotanto fratello, non se la tira affatto. Anzi, si stupisce persino della richiesta d’intervista. «Mica sono un personaggio io», si schermisce la presidente della Croce rossa abruzzese, che a novembre ha ricevuto l’onorificenza di Grande Ufficiale della Repubblica a Palazzo Chigi per l’attività svolta durante l’emergenza terremoto all’Aquila, di cui fu nominata commissario ad acta. «Chiunque al mio posto si sarebbe buttato anima e corpo nei soccorsi. I miei genitori avevano vissuto il sisma del 1915 qui ad Avezzano, nel quale mio papà perse sua madre, le sorelle, le zie. Erano rimasti in cinque maschi più suo padre, che morì subito dopo. Il terremoto, quindi, noi l’abbiamo respirato in casa fin da piccoli». Ma quando le è venuta la sindrome della crocerossina? «Nel 1984, quando il presidente della Cri di Avezzano mi chiese di andare a dargli una mano. All’inizio ero molto restia, perché lui proponeva di organizzare dei balli per la Cri e io tutto sono tranne che una ballerina. Ma entrai lo stesso e non me ne sono più andata. Quando insegnavo francese facevo volontariato nei ritagli di tempo. Adesso, fulltime, soprattutto dopo il terremoto». E a suo fratello Gianni quand’è venuta la sindrome dell’Eminenza azzurrina? «Quando incontrò Silvio Berlusconi. Anche se Gianni fece di tutto per dissuaderlo dalla discesa in campo». Si è sentita lusingata o infastidita dagli apprezzamenti del premier alla crocerossina Barbara Lamuraglia alla parata del 2 giugno? «Lusingata. La bellezza della Lamuraglia è un orgoglio per la Cri». Secondo lei, somiglia a Veronica Lario? «La somiglianza è quasi sconvolgente, sono due gocce d’acqua. Anzi, le dirò di più. Secondo me, quel gesto di apprezzamento così plateale di Berlusconi era un complimento indiretto a sua moglie. Un modo per farle capire che se fosse dipeso da lui non si sarebbero mai separati». Ma perché la Cri ha fatto sfilare un’ex top model? Non esistono più le crocerossine di una volta? «Siccome l’età media delle volontarie della Cri oggi è molto elevata, io credo che attraverso Barbara Lamuraglia si sia voluto incoraggiare le giovani ad entrare nel corpo. E poi, le volontarie non debbono mica essere per forza delle racchie». L’hanno offesa le parole della presidente di Emergency, Cecilia Strada: «Ho provato ad immaginare le meravigliose infermiere di Emergency che marciano alla parata militare: niente da fare, non ho abbastanza fantasia»? «No. tutta invidia verso la Cri. Sono convinta che se lo avessero chiesto a loro, avrebbero sfilato molto volentieri». Durante l’emergenza terremoto lei è riuscita a guidare 11.900 volontari della Cri coordinandoli con la Protezione civile. Come ha fatto a fare tutto da sola, si dopava? «Mica da sola! Il commissario nazionale, Francesco Rocca, ci è stato vicinissimo. Il primo mese si è trasferito qui in Abruzzo. Il delegato regionale della Protezione civile, Pierluigi De Ascentiis è stato il vero coordinatore dei soccorsi». Cosa le è rimasto del ricordo della notte del 6 aprile 2009? «I sussulti della casa che sembrava posseduta, il rumore dei ninnoli che cadevano dalla libreria e la faccia sconvolta di mio figlio Stefano, l’unico che vive con noi perché ancora non si sposa, che era corso in camera nostra terrorizzato. Mio fratello Gianni ci telefonò neanche 5 minuti dopo per sapere se stavamo bene e se la casa aveva resistito. Io arrivai all’Aquila alle 8,30 con la polizia stradale». Che impressione ebbe entrando nella città? «L’immagine che non mi toglierò mai dagli occhi è l’esodo degli studenti universitari: una processione inarrestabile di ragazzi con il trolley». Ha condiviso la protesta del popolo delle carriole? «No. Sono stati strumentalizzati dalla giunta dell’Aquila, che è di sinistra». La procura dell’Aquila ha indagato la Protezione civile per omicidio colposo. Secondo lei, avrebbe potuto prevedere il sisma? «No, perché questo è stato un terremoto veramente anomalo: sussultorio, ondulatorio e oscillatorio. Era impossibile prevederlo». Ha fatto bene Berlusconi a dire alla Protezione civile di non andare più in Abruzzo? «Avrebbe fatto meglio a dirlo riservatamente. Ogni tanto lui dice ad alta voce quello che tutti gli italiani pensano, ma che da presidente del Consiglio farebbe meglio a non dire. Però, ha ragione». E se avesse rivolto alla Cri la stessa esortazione, lei cosa gli avrebbe detto? «La Cri ha motivi umanitari». Cos’ha pensato quando ha letto le intercettazioni di Vito Piscicelli: «Io ridevo stamattina alle 3», l’ora del sisma? «Mi sembrava una pazzia, un dialogo inventato. Noi che abbiamo assistito a tanta tragedia riteniamo che sia disumano pensare ai guadagni». Condivide il giro di vite sulle intercettazioni? «Le intercettazioni vanno fatte, ma è stata intercettata persino una telefonata del Papa con Bertolaso... Quando è troppo è troppo. Spesso evito di usare il telefono perché sono convinta che sia sotto controllo. L’ho capito da certi messaggi di minaccia che ho ricevuto». Che idea si è fatta lei del Bertolaso-gate? «Anche questa è una strumentalizzazione. Bertolaso è una persona di incredibile valore e di una capacità di lavoro impressionante. Se non ci fosse stato lui all’Aquila non si sarebbe fatto niente». Quindi cos’è, tutto un complotto dei magistrati? «Non so se solo dei magistrati. Io mi sono fatta la mia idea». E qual è? «Hanno cercato di colpire Berlusconi con la storia delle escort, salvo poi scoprire che era proprio il colonnello della Guardia di Finanza di Bari che aveva svolto le indagini a molestare le escort di Tarantini. Poi è toccato a Bertolaso, che per mesi qui è stato osannato come un salvatore. Alla festa della Perdonanza all’Aquila, la gente batteva le mani a Bertolaso, non a Celestino V. Il giorno in cui abbiamo consegnato le case di San Gregorio ricostruite dalla Cri, i bambini cantavano: ”Meno male che Guido c’è”. Tutto questo ha dato fastidio a qualcuno. L’invidia è una cosa micidiale». Sono in molti a ritenere che l’obiettivo finale sia Gianni Letta. «Ne sono convinta anch’io, perché anche a me è capitato di essere perseguitata da una persona che me ne ha fatte di tutti i colori. Sono arrivata persino a querelarlo e ho vinto la causa». Chi è questa persona? «Un dipendente della Cri, il maresciallo della Guardia di Finanza, Vincenzo Lo Zito, di cui ho scoperto alcuni altarini. E lui mi ha scatenato contro le Fiamme Gialle e le procure di mezza Italia, persino John Woodcock. Ma sono certa che l’obiettivo finale fosse mio fratello, perché Lo Zito diceva sempre: ”Non le fanno niente perché è la sorella di Gianni Letta». Lo Zito la denunciò perché la accusava di gestire un conto corrente della Cri assieme a una sua assistente di fiducia. «Certo, perché voleva gestirlo lui quel conto. Ma ha la terza media, non può fare il funzionario». Non è contro il regolamento che la presidente si occupi di contabilità? Non spetta ai funzionari amministrativi? «Spetta ad entrambi. E poi io avevo avuto la delega dal revisore dei conti Carlo Tixon perché dovevamo pagare gli stipendi agli infermieri del centro raccolta sangue. La firma era congiunta, presidente e amministratore, e poiché quest’ultimo latitava, Tixon fece firmare la ragioniera Giuseppina Angelino». Diversi funzionari che si sono avvicendati alla guida del comitato abruzzese della Cri hanno contestato la sua gestione delle risorse. Per questo sono state tutti trasferiti? «Il maggiore Fabio Raganelli fu rimosso perché certificava a Lo Zito, suo amico, un numero incredibile di ore di straordinario al mese: 138, quando un militare di Cri ne può fare al massimo 200 l’anno. Quando lo scoprii lo fermai, ma chiese lui di essere trasferito a Roma. Dopo Raganelli mi mandarono Sorride Ioffredi, che non sapeva usare il computer e non veniva mai. Ha paralizzato l’attività. Dopo Ioffredi, arrivò Maria Rita Salvetti».