Oscar Giannino, Il Messaggero 13/6/2010, 13 giugno 2010
LA SVOLTA DI POMIGLIANO
UNA svolta storica. Al convegno di Santa Margherita dei giovani imprenditori, il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia e il ministro Maurizio Sacconi non hanno avuto esitazioni e hanno usato la stessa formula, per definire l’accordo su Pomigliano tra Fiat e 4 sindacati su 5, Cisl, Uil, Ugl e Fismic. Non è una definizione enfatica. Ed è sincero, l’appello che da Confindustria e governo è venuto alla Fiom-Cgil, perché receda dalla riserva che non le ha fatto firmare l’accordo. Come è però secca e condivisa anch’essa, la determinazione che in ogni caso, anche se la Cgil dovesse continuare a dire no, ebbene bisogna andare comunque avanti. Senza esitazioni. E finirla una volta per tutte con un’idea della concertazione in cui a dettare contenuti e passi degli accordi è sempre il soggetto più lento, perché basta che uno dica no e allora tutti gli altri devono fermarsi ad aspettarlo.
Come la marcia dei 40.000, la storica discesa in piazza dei quadri Fiat che, il 14 ottobre 1980, riempirono le strade di Torino per protestare contro i sindacati, che picchettavano da 35 giorni gli ingressi dell’azienda? No, a 30 anni di distanza l’11 giugno 2010 ha tutti i titoli per essere molto ma molto più ”storico” dei 40.000 di allora. Questa volta, non sono lavoratori esasperati a sottolineare l’arcaicità delle sterili contrapposizioni tra azienda e sindacati. Questa volta, l’accordo è un salto verso il futuro per tutti. Da una parte l’azienda leader della manifattura nazionale, la Fiat che con Sergio Marchionne e John Elkann nella grande crisi mondiale è protagonista di un grande balzo mondiale nel mercato americano con Chrysler, mette con grande coraggio nero su bianco criteri di competitività globali come condizioni essenziali anche in Italia, per vincere la sfida. Dall’altra, oggi anche i sindacati tranne, finora, la Cgil condividono con l’azienda la sfida, e accettano di definire insieme nuove regole per innalzare la produttività di Pomigliano, moltiplicandone per 8 la produzione in 3 anni, da 36mila a 270mila auto.
Impresa e sindacato sconfiggono così insieme la sterile lamentazione di chi, in questi anni e nella crisi, ha ripetuto che la globalizzazione ruba lavoro agli italiani, perché i dipendenti Fiat brasiliani e polacchi costano meno all’azienda. Al contrario, sono gli stabilimenti in quei due Paesi che hanno consentito in questi anni a Fiat di realizzare il più di utili e margine, ed è grazie ad essi che si sono difesi i 5 stabilimenti in Italia. Ora che l’azienda alza l’asta della sua ambizione nel mercato mondiale, occorre alzare il contributo anche del lavoro italiano. Solo così si giustificano 700 milioni di investimento, per 5.000 lavoratori, 15.000 famiglie e 200 altre aziende dell’indotto in un’area socialmente delicatissima come quella napoletana.
L’Italia manifatturiera è già virtuosa come la Germania, ha affermato la Marcegaglia, ricordando che nella grande crisi l’Italia è stato l’unico Paese del G10, insieme alla Germania che guadagnava, a difendere le proprie posizioni mentre tutti le perdevano, a favore dei Paesi emergenti. Se consideriamo il prodotto industriale procapite, siamo secondi solo alla Germania, nel mondo. E se pensiamo alle Regioni del Nord, siamo addirittura meglio della Germania come nazione. Ma se la manifattura italiana è come la Germania, il resto dell’economia pubblica e dei servizi pesa come piombo nelle ali, per la sua bassa produttività, alta inefficienza, chiusura alla concorrenza. Ma anche per una vecchia idea della concertazione, la concertazione che non decide e rinvia, come ha ricordato Sacconi evocando la rottura imposta dalla Cgil alla Confindustria di Montezemolo, nel 2004, sui nuovi asseti contrattuali.
Solo nel marzo 2009 Marcegaglia e i sindacati firmarono il nuovo modello per il salario di produttività, l’accordo che ha posto le basi per la svolta su Pomigliano. Senza più fermarsi, anche se la Cgil ha continuato a dire no. Nella fase in cui non solo Fiat, ma circa 20.500 imprese italiane manifatturiere sono impegnate in un grande rafforzamento dei propri insediamenti internazionali di cui già dispongono, l’intesa per alzare la produttività a Pomigliano parte dal basso, dalla sussidiarietà. Non dal sin qui ”sacro” contratto nazionale, ma da accordi diretti tra aziende e lavoratori negli stabilimenti. Per questo è una grande prospettiva di speranza. Indica il modello da estendere in tutta Italia. Assegna al nuovo tavolo della produttività, che Confindustria riunirà coi sindacati entro fine giugno, l’impegno di fare dovunque come a Pomigliano.
C’è un punto essenziale, nell’accordo, che supera finalmente un tabù per 50 anni considerato intoccabile. Non sono solo i 18 turni, e il divieto di sciopero quando verranno chiesti i turni notturni al sabato. C’è la firma anche dei sindacati sotto l’impegno a non pagare più i contributi sanitari ai dipendenti assenteisti, ai finti malati, ai finti scrutatori elettorali. Che i sindacati finalmente decidano di non coprire più i lavoratori disonesti, perché compromettono il posto di lavoro dei più che fanno il proprio dovere, è una boccata d’aria fresca e di grande serietà per tutto il mondo del lavoro italiano.