Mario Baudino, La Stampa 13/6/2010, 13 giugno 2010
LA DOPPIA VITA DEL SANTO COSPIRATORE
Senza di lui Joseph Conrad non avrebbe mai scritto Cuore di tenebra. E senza di lui, forse, l’opinione pubblica europea avrebbe dovuto ancora aspettare molto per conoscere le brutte verità del colonialismo. Roger Casement è stato un diplomatico e un cospiratore, ha servito la regina d’Inghilterra e la rivoluzione irlandese. Ha avuto una vita avventurosa e ricca di ambiguità mai chiarite. morto impiccato dagli inglesi nel 1916 come traditore. Nel ”65 i suoi resti sono stati traslati a Dublino, dove è stato sepolto da eroe. Ora Mario Vargas Llosa gli dedica il suo nuovo romanzo, El suegno del celta, che in castigliano uscirà in autunno. Intanto ne parla, dialogando col direttore dell’Einaudi Ernesto Franco, al pubblico di «Anteprime», la manifestazione che si svolge a Pietrasanta sul tema: «Ti racconto il mio prossimo libro». Non è certo il primo personaggio storico che si accampa in un romanzo del grande scrittore peruviano. Da Gaugin al dittatore Trujillo, la galleria è ormai piuttosto affollata.
Perché?
«Credo che la pura invenzione non esista; la materia prima di uno scrittore è sempre la memoria, anche se poi mi sento libero di inventare, su questa base, personaggi e situazioni. Ma senza allontanarmi mai troppo, né definitivamente».
Certi suoi libri, penso a Il paradiso è altrove, sembrano biografie romanzate. Poi ci si accorge come in realtà non vi sia nulla che non sia ”vero”, nelle sue ragioni profonde.
«Forse è perché non mi interessa tanto il passato, quanto il presente. L’attualità di una storia è la proiezione del passato su una problematica contemporanea, la sua gravitazione sul presente».
Anche in questo Sogno del celta?
«Il grande merito di Casement fu quello, in un mondo entusiasta dell’imperialismo, di testimoniare contro l’ideologia dell’Europa civilizzatrice e redentrice. Con i suoi scritti dimostrò il contrario. Fu un pioniere, che ha impregnato della sua opera la cultura occidentale».
Combatté contro una sorta di pensiero unico. E perse.
«Ma il suo personaggio sembra uscito da un romanzo. E la letteratura è ciò che produce spirito critico, apre le coscienze, perché l’immaginazione è sempre sovversiva. Non accetta lo status quo. Infatti è sempre stata censurata da tutti i regimi dittatoriali, quelli fascisti e quelli comunisti.
Il suo eroe ebbe problemi gravissimi anche con governi liberali, se è per questo.
«Era un rivoluzionario. E anche un personaggio dalle molte sfaccettature e contraddizioni. Dopo la morte comparvero i diari, forse dei falsi preparati dai servizi britannici, forse autentici, dove se ne svelava l’aspetto oscuro, l’omosessualità per esempio».
Che allora «pesava» molto più di adesso, in una società fortemente moralistica. Soprattutto se si pensa che morì come un santo, martire irlandese, martire cattolico, l’eucaristia prima di salire sulla forca.
«Rappresenta bene tutte le ambiguità dell’essere umano; per questo le dicevo che quando l’ho incontrato, in uno scritto su Conrad, ho pensato che uscisse da un romanzo. un personaggio di una ricchezza e di una complessità notevoli. Nel 1904, console britannico a Boma, pubblicò una relazione in cui svelava le atrocità del colonialismo belga in Congo, che ebbe grande risonanza in tutta Europa. Ma si occupò anche di Amazzonia, delle condizioni spaventose in cui venivano tenuti gli indios, degli ”orrori del caucciù”».
Intanto cospirava per l’Irlanda.
«Questa doppia vita è molto interessante. Durante la prima guerra mondiale cercò di tessere una serie di accordi con la Germania, senza grandi successi. L’impresa più importante doveva essere una fornitura d’armi per gli indipendentisti: salpò dalla costa tedesca una nave con 20 mila fucili, ma non arrivò mai a destinazione».
E lui venne catturato.
«Sì, processato come traditore, degradato, insomma privato degli onori diplomatici, infine impiccato».
Erano i giorni della sfortunata «rivoluzione di Pasqua», soffocata nel sangue a Dublino. Molti scrittori chiesero clemenza per lui, da Arthur Conan Doyle a W. B. Yeats, a George Bernard Shaw. Non Conrad, che aveva perso un figlio in guerra.
«Eppure erano stati molto amici, venticinque anni prima. Il loro incontro fu fondamentale per la conoscenza del Congo da parte dello scrittore».
Che annotò nei suoi diari d’averlo incontrato nel giugno del 1890. Divisero una stanza. Uno polacco, l’altro irlandese, avevano entrambi alle spalle una storia di colonialismi subiti, di nazionalità negate, di libertà conculcate. Ha scritto un romanzo «impegnato»?
«Non mi piace la parola, né in genere le etichette, per esempio quella di realismo magico. Mi sento realista, come gli scrittori che amo, da Flaubert a Victor Hugo, dai grandi russi a García Márquez. La bontà di un libro non dipende mai dall’impegno, ma da come si parla. Ci sono scrittori distrutti in quanto tali dalla politica, pensi a Vittorini, e altri che hanno raccontato splendide storie politiche, come Thomas Mann o Faulkner. Io non parlo di politica, preferisco pensare che c’è una responsabilità dello scrittore, una responsabilità civile: deve partecipare, non si può tirare indietro».
Mario Vargas Llosa (sopra) interviene oggi a Pietrasanta nella giornata conclusiva di «Anteprime» (ore 19,30, chiesa di S. Agostino) per raccontare il suo prossimo libro El suegno del celta che uscirà in autunno in lingua spagnola. In chiusura del festival, alle 21,30 nella piazza del Duomo, lo scrittore peruviano sarà quindi impegnato in una conversazione con Roberto Saviano, l’autore di Gomorra (foto sotto), sui temi della letteratura e dell’impegno. Introduce il direttore editoriale della Einaudi, Ernesto Franco.