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 2010  giugno 13 Domenica calendario

”OGGI L’ECONOMIA LA GUERRA COMBATTUTA CON ALTRI MEZZI”

La geopolitica non esiste più. Mercati volatili, monete evanescenti, bolle immobiliari, politiche di bilancio insostenibili, deficit alle stelle, e una crisi mai vista, nella quale ognuno agisce per mantenere quello che ha sempre avuto. E’ l’epoca della geoeconomia. Nel senso, precisa con teutonica durezza la politologa Ulrike Guèrot, «che è l’economia, e non più la politica, la prosecuzione della guerra con altri mezzi della celebre massima di Von Clausewitz». Si parla di rapporti transatlantici, al Consiglio per le relazioni Italia-Usa. Platea di diplomatici, analisti, ma soprattutto di decisori, Perissinotto, Passera, Quadrino, Galateri, Scaroni, Poli, e naturalmente John Elkann e Sergio Marchionne, che del Consiglio è il gran capo. Ma ecco che tra Europa e Usa appare il terzo incomodo. «Europa e Stati Uniti devono collaborare per convincere insieme Pechino a un tasso di cambio dello yuan che rifletta l’economia cinese». Col sorriso della Gioconda Lorenzo Bini Smaghi, l’economista di natali fiorentini che rappresenta l’Italia alla Banca centrale europea, introduce all’enigma delle relazioni transatlantiche di oggi: la Cina. Il G2 che governa il mondo, nell’informalità con cui si siglano le relazioni bilaterali ad altissimo impatto, Washington lo coltiva con Pechino. Ma, suggerisce enigmaticamente Bini Smaghi, Washington continua ad avere bisogno dell’Europa.
Le relazioni transtatlantiche sono in crisi, e proprio nel momento in cui invece l’unione potrebbe fare la forza nell’affrontare la crisi. L’allarme lo lancia un banchiere di lungo corso come Sir Deryck Maughan, già Citygroup e Goldmann Sachs, e che in Salomon Brothers era braccio destro di Warren Buffett: «Sono preoccupato e perplesso, perché ascoltiamo fiumi di dichiarazioni di intenti comuni, ma quel che è altamente probabile è che ogni continente andrà per conto proprio». Al centro, sostiene Sir Maughan, «c’è il divario tra le ambizioni americane e la realtà, con la Cina che è ormai emersa come competitore ad ampio raggio degli Stati Uniti». E la responsabilità della volatilità dei mercati, aggiunge amaro, è della politica, «non c’è un solo trattato che sancisca l’esistenza del G-20», per questo può restar tutto a livello di chattering class globale.
E poi, da una parte gli Usa e il loro pesantissimo debito, «è quel che impedisce un welfare all’europea», avverte ancora Maughan. Dall’altra l’Europa e i suoi problemi, «che parlano molte lingue», ovvero sono tanti quanti i paesi che la compongono come dice Eli Cohen del Cnrs francese, «mentre invece non solo occorrerebbe armonizzare i sistemi finanziari al di qua e al di là dell’Atlantico» ma anche, appunto, convergenza transatlantica nel trattare la questione cinese.
Nessuno parla d’Italia, come nota l’ex ambasciatore di Washington Dick Gardner, ma sono gli italiani i più ottimisti. Mario Monti è impietoso nell’analisi, ma poi spande pragmatico ottimismo dal podio della cena conclusiva del Council, che ha accettato di tenere sostituendo con grande eleganza Giulio Tremonti, che ha dato forfeit all’ultimo. Corrado Passera di Banca Intesa traccia la linea della fiducia, non senza aver avvertito che la crisi è tutt’altro che finita, «e le regole che mettano limiti all’indebitamento ancora non si vedono»: «Occorre che ci sia consenso su due punti: la crescita anzitutto, e un’Europa più forte nel rapporto con gli Stati Uniti». Un’Europa, ma su questo è il coro, che armonizzi le proprie politiche economiche e di bilancio. Ammesso che basti, perché, come dice Cohen con la nonchalance tipica dei francesi, «Obama non ha nessun piano per l’Europa, ma solo una benigna trascuratezza». Con una preoccupazione in più: sta crescendo una generazione post-atlantica, una generazione di europei che non guardano più agli Stati Uniti ma alla Cina, all’India, al Brasile. Un po’ come del resto fanno i mercati, e le imprese. Del resto, questa è la geo-economia.