Andrea Malaguti, La Stampa 13/6/2010, 13 giugno 2010
GENTLEMEN CONTRO PATRIOTS L’ULTIMA SFIDA IN SUDAFRICA
Precipitata involontariamente nelle pieghe di una crisi che mette in discussione la Relazione Speciale, intossicata dallo scontro frontale sulla Bp e sulla marea nera, ieri sera anche Inghilterra-Stati Uniti, parata dell’orgoglio transatlantico ai mondiali sudafricani, è diventata un’altra cosa. Il braccio di ferro simbolico tra due mondi che tornano a guardarsi in cagnesco trecento anni dopo.
Anche la regina è sintonizzata
Così, mentre le strade di New York si svuotano e 20 milioni di inglesi si sintonizzano sulla Itv, il regista Spike Lee invita i tifosi americani a indossare una maglietta con l’elegante scritta «Bp sucks», espressione che nella sua traduzione minimalista significa: «la Bp fa schifo», e la copertina del New York Post restituisce fedelmente il significato più largo dell’esordio mondiale dei ragazzi a stelle e strisce gridando: è guerra. Di fianco l’immagine di un soldato inglese che indossa una divisa del 1776. Si lotta per l’indipendenza.
Intanto a Londra, sulla torre della Bt viene installato un maxi-schermo a 177 metri d’altezza, visibile a molte miglia di distanza, perché nessuno possa trascurare l’evento. C’è una scritta rossa che lampeggia ininterrottamente. «Come on England» e sul tetto di Downing Street sventola la bandiera. Anche sua Maestà guarda la televisione, fa sapere Buckingham Palace.
L’umiliazione del 1950
Il rapporto tra i due Paesi è sempre stato complesso, da seduta psichiatrica. Liberatesi dal colonialismo, gli americani ne hanno assunto il sistema amministrativo. Una sorta di sindrome di Stoccolma che li ha spinti a pensare il ruolo del Presidente sulla falsariga di quello della Regina e a ricalcare la Costituzione su quella anglo-scozzese. «La stessa relazione che hanno avuto i greci con i romani, che da conquistati sono diventati suggeritori», spiega lo storico Carl Howard.
Di pancia gli americani non sopportano gli ex padroni, eppure li ammirano, di testa non possono fare a meno di loro. E da questo punto di vista il legame è reciproco. Il primo a parlare di «relazione speciale», fu Winston Churchill, volando a Washington alla fine della Seconda guerra mondiale. «Abbiamo un ruolo comune nella storia dell’umanità». Sposati.
Il matrimonio ha avuto diversi momenti di crisi. Il primo, curiosamente, scandito da un’altra partita di pallone. Sempre mondiali, ma nel 1950. Gli Usa sono in pieno boom, l’Impero Britannico in disarmo, ma almeno sul calcio non c’è discussione, si sa chi sono i maestri. La partita finisce 1-0. Per gli americani. Gli inglesi considerano quella sconfitta l’incrocio esatto della loro parabola discendente con quella inarrestabile in senso opposto degli Stati Uniti.
Non sarà il calcio in ogni caso a sciogliere il legame, cementato da interessi militari il cui simbolo resta l’isola Diego Garcia, possedimento britannico affittato alle basi aeree americane fino al 2016. Da qui partono le operazioni verso l’Asia e l’Africa dell’Est. Definirlo strategico è riduttivo e sebbene il termometro dei mercati si sposti verso l’Asia, gli interessi che legano le due nazioni sono radicalmente intrecciati. Eppure, ancora feriti dal fallimento della Royal Bank of Scotland, travolta dall’effetto domino della crisi dei subprime del 2008, i sudditi di Sua Maestà non vogliono farsi schiacciare dall’assedio alla Bp, le cui azioni garantiscono la pensione a 18 milioni di inglesi.
«I rapporti tra i due Paesi sono un po’ in crisi», dice prudente Christopher Meyer, ex ambasciatore londinese negli Usa, mentre la sera cala, a Rustenburg si gioca, e i titolari dei 54 mila pub dell’isola contano fischiettando il fiume di sterline che scivolano nelle loro casse. Nella giornata di ieri hanno venduto 23 milioni di litri di birra più del solito. Aiuta a fare il tifo, pare. Più che la vigilia di un disastro per loro è stata la vigilia di Natale.