Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  giugno 14 Lunedì calendario

Bakiyev Kurmanbek

• Masadan (Kirghizistan) 1 agosto 1949. Politico. Presidente del Kirghizistan, nell’aprile 2010 una rivolta lo costrinse all’esilio • «[...] era considerato un partner degli Stati Uniti. Nel 2005, ha guidato una rivoluzione pacifica che avrebbe dovuto trasformare il Kirghizistan in una democrazia, ma l’esperimento non ha avuto fortuna: la nazione è sempre più povera, la corruzione dilaga e i giornali sono sottoposti a censura quotidiana. Il segretario dell’Onu, Ban Kimoon, ha chiesto maggiore impegno sul fronte dei diritti umani. I suoi appelli, tuttavia, non hanno avuto successo quanto le manovre del Cremlino [...]» (’Il Foglio” 20/4/2010) • «[...] Mosca non ha mai digerito lo smaccato intervento americano del 2005 quando, subito dopo le elezioni presidenziali, vinte ufficialmente dal presidente in carica Askar Akayev, le accuse di brogli e le proteste di piazza supportate da finanziamenti made in Usa portarono alla sovversione del risultato elettorale e all’elezione di Bakiyev. Lo stesso schema della rivoluzione arancione ucraina che pochi mesi prima aveva portato al potere a Kiev il filo occidentale Yushenko. D’altra parte l’interesse americano ad avere un governo di sicura affidabilità in Kirghizistan è altissimo. La base di Manas è un nodo cruciale per l’approvvigionamento aereo delle truppe statunitensi in Afghanistan da cui ogni mese transitano 35mila soldati. Pressato da tutte e due le parti, il presidente Bakiyev ha cercato prima di barcamenarsi, poi di trarne profitto [...] annunciò lo sfratto degli americani mettendo nei guai il Pentagono ma riscuotendo da Mosca un compenso di due miliardi di dollari in generici aiuti per l’economia. Pochi mesi dopo però accettò le offerte americane e incassò una pigione triplicata per la base militare. A Washington tirarono un sospiro di sollievo, a Mosca lo bollarono come un ladro. E la vendetta è arrivata [...]» (Nicola Lombardozzi, ”la Repubblica” 8/4/2010).