NATALIA ASPESI, la Repubblica 14/6/2010, 14 giugno 2010
LA MODA AI TEMPI DI NAPOLEONE
In pieno Terrore, nel 1793, Le journal de la mode et du gout, che pure aveva lanciato il figurino "a la costitution", il modello "femme patriote", e l´abito "a l´égalité", fu chiuso d´autorità per ragioni politiche: il suo ultimo numero rilevava, nei giorni in cui Jacques-Louis David schizzava dal vero la tragica figura di Maria Antonietta portata al patibolo, che "il gusto delle donne per la parure è vivo più che mai".
Contemporaneamente, mentre cadevano le ultime teste di aristocratici e rivoluzionari, scoppiò a Parigi una gran voglia di balli e divertimenti, e i tanti "marchandes des modes" ricominciarono alacremente a proporre ai giovanotti della "jeunesse dorée" non solo il ritorno della culotte Ancien Régime al posto del rivoluzionario pantalone, ma addirittura certi modelli "contrerévolution" che si accompagnavano a grossi randelli per difendersi da eventuali citoyen indignati.
Per le signore, con l´inizio del Direttorio, si ripartiva ancora da là, dalla "chemise a la Reine", quell´abito di massima leggiadria composto da una semplice camicia diritta di preziosa mussola indiana bianca leggera come una nuvola, legata in vita da un grande nastro, che Maria Antonietta indossava al Trianon e con cui nel 1783 la dipinse Elisabeth Vigée-Lebrun. In pochi anni, quella moda detta "a l´anglaise", che eliminava sottostrutture, panier, parrucche, damaschi, pellicce, merletti, orpelli, lussi esagerati, ed esaltava la semplicità e finalmente il corpo delle donne, invase l´Europa, e in Francia si fuse con l´ascesa di Napoleone, diventandone l´ornamento più riconoscibile e la ragione del rilancio economico di un paese prostrato dalle guerre e dalla rivoluzione.
Tutta quella fragile grazia fu al centro dello stile neoclassico, e fu esaltata ovunque dagli artisti che ritraevano nelle spoglie camiciole bianche da fanciulla grecoromana le bellezze d´epoca: Wilhelmine von Cotta dipinta da Gottlieb Schick, Madame de Staël da Elisabeth Vigée-Lebrun, i fanciulli Leveson-Gower da George Romney, fino alla celebre meravigliosa Paolina Borghese che Canova scolpì come Venere Vincitrice, con solo una scialle sulla celebre nudità.
Quella moda troppo delicata per apparire sfacciata la si ritrova nella bella mostra dedicata a Napoleone e l´impero della moda alla Triennale di Milano (sino a settembre, catologo Skira), che espone una parte della appassionata collezione di una coppia di studiosi, che ha perso la testa per gli anni dal Direttorio alla Restaurazione, dal 1795 al 1815. La brasiliana Cristina Barreto e il marito, l´inglese Martin Lancaster, da anni a Milano, hanno abbandonato le loro professioni (lei ha lavorato dieci anni con Giorgio Armani, lui aveva un´industria tessile in Inghilterra) per andare a caccia di abiti Impero.
La loro fortuna, e quella della mostra che hanno allestito, è che essendo gli abiti di quell´epoca di cotone e lino, a differenza di quelli di seta che diventano polvere, si sono conservati così bene da poter essere perfettamente restaurati dalle sette signore di altissima arte che nel laboratorio Altinea di Reggio Emilia lavorano per i musei ed hanno appena rimesso a nuovo la prima bandiera italiana della storia. Sono esposti cinquantadue abiti quasi tutti bianchi, il colore dell´epoca, di rara raffinatezza anche nei piccoli ricami leggeri, scollati e con maniche corte, trasparenti, molto femminili, e le magnifiche tavole tratte dal Costume parisien, l´allegato del Journal des Dames et des Modes ricomparso con successo non solo europeo nel 1797, disegnate da artisti quali Isabey e Vernet, che inseguendo nei luoghi mondani le "celebrity" di allora, ne copiavano le toilettes.
Nei salotti parigini regnavano mogli, figlie e amanti dei nouveaux riches, dei parvenu, degli speculatori, della borghesia degli affari anche loschi, che volevano vivere in un rinnovato splendore; e per esempio nel 1802 Parigi si illuminò di almeno diecimila feste danzanti mentre i sarti lavoravano giorno e notte e i calzolai ancora di più, visto che le delicate scarpette di seta non duravano più di una volta. Le muse di tanto spreco erano Thérésa Tallien, dal passato turbolento, la bellissima giovane Juliette Récamier, che si faceva ritrarre a piedi nudi, e soprattutto Joséphine Beauharnais, vedova di un nobile ghigliottinato e diventata moglie del giovane generale Bonaparte nel 1796: posavano languide, nei pochi metri di costosa mussola indiana trasparente che le denudava, avvolte nei grandi costosissimi scialli di cachemere di cui poi Napoleone imperatore avrebbe inutilmente proibito l´importazione.
Ma per quel che riguarda l´abbigliamento, anche Bonaparte e i suoi artisti cortigiani, avrebbero strafatto: ritratto da Ingres come Primo Console in coulotte e marsina di velluto di seta rosso con calze di seta bianca nel 1803, dopo l´incoronazione a Notre-Dame lo stesso pittore ne fece una maschera del potere più dissennato, superando in ermellini e manti di velluto e ricami d´oro e corone e scettri e decorazioni e frange e scarpini e strascichi persino Luigi XIV dipinto da Rigaud e Caterina di Russia dipinta da Eriksen. Per incrementare i consumi, e in questo non fu né il primo né l´ultimo dei dittatori, si servì dei ricchi volgaroni che allora come oggi, volevano mostrare le loro ricchezze e si aspettavano occasioni mondane per farlo. Puntò su un fastoso Stile Impero e pretese la reintroduzione dell´abito di corte o "grand habit" per le cerimonie, a cominciare da quella benedetta dal papa Pio VII in cui Napoleone incoronò se stesso imperatore e Josephine imperatrice, il 2 dicembre 1804, in Notre-Dame.
Alla mostra milanese è esposto un misterioso manto di velluto di seta viola, colore del lutto, ricamato con i simboli imperiali in oro, con strascico di corte lungo più di 4 metri, di cui ancora non si è rintracciata la storia.