Claudia Gualdana, Il Sole-24 Ore 13/6/2010;, 13 giugno 2010
TI VEDO E MI NASCONDO
Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Stando a un aforisma di Guido Ceronetti, invece sono uno specchio e basta. Forse perché riflettono l’emozione suscitata da ciò che si vede e non ciò che si è. Comunque sia, misteriosi o sfuggenti, gelidi o intensi, gli occhi vedono e sono visti, ma non sempre la coniugazione passiva è loro gradita. Soprattutto a partire dalla prima metà del Novecento. Quando gli occhiali, affrancati dalla vergogna del servire di riparazione a una carenza, entrano di diritto nel codice espressivo di un volto e diventano la divisa del pensatore. Uno spartiacque tra il sé e il resto del mondo utile a dissezionare la realtà, ma anche a schermare lo sguardo.
Difficile imbattersi in una fotografia di JeanPaul Sartre senza lenti, chiare o scure che siano. Sartre osserva le contraddizioni dei tempi moderni e i suoi occhiali spessi tradiscono la fatica di raccapezzarsi in un simile rompicapo. La nausea , romanzo filosofico sull’assurdità della vita, è scritto e pubblicato negli anni Trenta, proprio mentre compaiono i primi occhiali da sole. l’esordio di un fenomeno di costume e di una nuova cifra espressiva. Le lenti scure nascono per proteggere gli occhi dalla luce, ma presto diventano il simbolo di uno stile di vita eccentrico e una strategia di difesa.
Lo scrittore americano Francis Scott Fitzgerald li indossa per nascondere i postumi delle sbornie. Proprio come il protagonista del suo Il grande Gatsby,
mondano quanto lui, nasconde se stesso al secondo piano, mentre di sotto gli ospiti si divertono alle sue feste. Affacciati al mondo da filosofi e scrittori, gli occhiali scuri sono consacrati definitivamente dai divi del cinema. Se ne servono solo in parte per sfuggire ai flash dei fotografi, e sicuramente più per preservare il mistero che per difendere il pensiero.
Audrey Hepburn ammira i gioielli di Tiffany attraverso i suoi Wayfarer, piccoli paraventi a velare la meraviglia di fronte al luccichio dei brillanti. James Dean, il primo ribelle del grande schermo, li usa anche fuori dal set, per dissimulare la fragilità e il disagio di una virilità assillata dal dubbio e dal disadattamento. Gli occhiali scuri intanto entrano in po-litica, con il presidente John Fitzgerald Kennedy che li sfoggia in vacanza. Ma il suo è un caso piuttosto raro: i politici temono che li si accusi di scarsa trasparenza, forse per questo soltanto un eccesso di carisma o di imprudenza li spinge a osare tanto.
Negli anni Sessanta, mentre il filosofo situazionista Guy Debord, occhialuto e anarchico, teorizza la sovversione contro la proprietà intellettuale e l’anti-arte,in Easy Rider Dennis Hopper,Peter Fonda e Jack Nicholson attraversano gli Stati Uniti in moto,lo sguardo protetto dai Ray-ban,in un’apologia libertaria del mondo hippy. Trasgressivo è Pier Paolo Pasolini, che nel romanzo Teorema sbeffeggia il perbenismo borghese e spesso nasconde gli occhi cupi dietro lenti scure, squadrate come il suo volto. Tra dissertazioni colte e mode frivole, gli occhiali da sole sono schermo e simbolo di anticonformismo più o meno inconsapevole, inaugurato da pochi e ormai per tutti. Vedo, ma non voglio esser visto, potrebbe essere il motto di uno strumento tanto utile. O meglio: rifletto, ma non voglio che tu veda ciò che si specchia nei miei occhi.