Michele Serra, la Repubblica 13/6/2010, 13 giugno 2010
ALFA CENT’ANNI - UN SECOLO DI UOMINI E MOTORI
L´Alfa Romeo compie un secolo: tanto ci separa dalla nascita dell´automobile moderna. Le sue fabbriche, i suoi operai, i suoi ingegneri, i suoi modelli sono stati protagonisti riconosciuti di quello sfibrato - e appassionante - mito novecentesco che è la velocità. Un´Alfa rossa che fila sulla strada facendo vibrare le stoppie, come nel memorabile canto di Dalla-Roversi, non può mancare nell´affresco dell´epopea metalmeccanica italiana e mondiale. Altre case hanno avuto maggiore fortuna industriale, poche uguale forza d´immagine: in tutti i sensi, perfino in senso politico, se è vero che gli operai di Arese furono, nei tumultuosi Settanta, gli operai per antonomasia. Una ventina di loro finì, negli anni, in Parlamento sui banchi della sinistra.
Quando gli operai dell´Alfa arrivavano in corteo, voleva dire che la classe operaia contava molto di più del suo salario. milanese fino al midollo, la casa del Biscione visconteo è milanese anche nella sua genesi spuria (Milano è stata, nel secolo scorso, un ineguagliabile ricettore di talenti e idee "forestieri"). Tutto nasce da un francese, monsieur Darracq, che prova a costruire automobili a Napoli. Gli va male, perché le prime strade carrozzabili sono soprattutto nel centro-nord, e sale a Milano dove trova subito un drappello di soci interessati all´impresa. Rilevano la ditta e danno vita, il 24 giugno del 1910, all´Anonima Lombarda Fabbrica Automobili, il cui acronimo Alfa rimanda a una dichiarata volontà di primogenitura: tutto comincia da noi, che siamo l´Alfa. Pochi anni dopo un altro napoletano, l´ingegner Romeo, vicino di capannone dell´Alfa al Portello, entra in società e completa il marchio, che è dunque, geneticamente parlando, ambrosiano e partenopeo in parti uguali.
Ma i legami con la Campania della più milanese di tutte le fabbriche non finiscono qui. Nel 1932 l´Iri, che assume il controllo dell´Alfa, apre la fabbrica di Pomigliano d´Arco. Lo scopo - lo sviluppo industriale del Sud - è lo stesso che dà l´abbrivio, in anni a noi molto più vicini, alla sfortunata avventura dell´Alfasud. (Ancora peggio andò con l´indimenticabile Arna, la vetturetta Alfa-Nissan che merita un posto d´onore tra le adorabili racchie dell´automobilismo italiano, quasi sullo stesso piano della Fiat Duna).
Tornando alle origini: la prima vera Alfa fu la 24 Hp, con vocazione corsaiola subito coronata dalla vittoria, nel 1911, nella gloriosa Targa Florio, la corsa d´auto più antica del mondo: comincia sulle Madonie il mito agonistico del Biscione, che proseguirà con Ascari, Campari, Brilli-Peri, Borzacchini, fino all´apice dei due primi campionati mondiali della nascente Formula uno, vinti dall´Alfa di Farina e Manuel Fangio nel 1950 e nel 1951. Ma è negli anni Trenta, con "Nivola" Nuvolari, la Mille Miglia, la nascita della Scuderia Ferrari (il Cavallino Rampante è una costola dell´Alfa), che si consolida l´epica delle macchine prodotte al Portello. Morte e vittoria segnano il percorso, i circuiti stradali e gli autodromi di tutto il mondo sono il teatro di una forsennata rincorsa alla potenza meccanica, incandescenze da tenere a bada, giustezze meccaniche da tarare ad arte, pistoni e cilindri che si moltiplicano per equilibrarne il dinamismo, motori sempre più raffinati e telai che cercano il punto d´equilibrio tra leggerezza e robustezza. Le officine, ancora all´oscuro dei miracoli dell´elettronica, sono ancora più prossime alle botteghe di fabbro che ai laboratori ipertecnologici di adesso, e per studiare l´aerodinamicità valgono la mano e l´esperienza del disegnatore, non ancora la galleria del vento.
La storia industriale dell´Alfa non riuscirà mai a distaccarsi da questa indelebile impronta sportiva, che a tratti le è pesata come una sorta di complesso di superiorità. Le Alfa degli italiani, da sempre, comprese le piccole cilindrate, sono macchine che alludono allo sport, a costo di essere velleitarie.
Non per caso nel pantheon del Biscione rifulgono i coupé e gli spider, la Giulietta Sprint, il Duetto, bassi di cintola e sgommanti, vere icone del grande boom economico italiano, tanto che per un diffuso equivoco molti sono convinti che la decapottabile del Sorpasso sia un´Alfa (non possa che essere un´Alfa...), mentre è una Lancia.
Nella chiacchiera sui motori, quasi tanto diffusa e tenace quanto quella sul calcio, gli alfisti sono certi di rappresentare un´aristocrazia di fatto, gli anti-alfisti giocano la carta di una sospetta burinaggine, la stessa, del resto, che grava su tutte le auto sportive del pianeta, specie se di colore sgargiante, guidate col gomito fuori dal finestrino e dotate di clacson bitonale.
Superiore all´invidia sociale, l´alfista preferisce dilungarsi, da sempre, sul primato tecnologico del Biscione, tanto che per anni anche i digiuni di tecnica dovettero sorbirsi lunghe digressioni sul mitico ponte De Dion, un marchingegno che consente una più armoniosa distribuzione della potenza sulle due ruote traenti, ovviamente le posteriori: perché le Alfa Romeo, come tutte le sportive vere, sono a trazione posteriore, o almeno lo sono state quasi a oltranza fino a che i vantaggi dell´anteriore non lo hanno imposto anche in catena di montaggio.
Obbligata dai tempi a fare i conti con l´automobile di massa, l´ambiziosa Alfa ha retto il confronto per molti anni, si è data da fare per inscatolare nella produzione di serie il significato sportivo del marchio, producendo berline muscolose come la mitica Giulia, prima "pantera" della polizia di Stato, la 1750, l´Alfetta, la 164. Auto "per famiglia" che però tendevano a soddisfare le vanità prestazionali del driver, grintose e dalla marmitta sonora.
Negli anni faticosi della gestione statale, poi in quelli del fatale ingresso nel grande monopolio Fiat, l´Alfa ha disperatamente cercato di rimanere se stessa, cioè un marchio d´avanguardia costretto ai compromessi (e nell´ultima fase alle ristrettezze) di un settore produttivo sempre più "normalizzato" dalla massificazione del trasporto privato. Certo non è stato facile, non sarà facile, per l´Alfa, rimanere Alfa. Dai lampi futuristi della Mille Miglia alla chiusura prima del Portello, poi di Arese, il peso dei cento anni di vita si fa sentire. Ma la leggenda, ben al di là degli aspetti produttivi, delle cifre, dei piani aziendali, è ancora intatta: cercate su internet (per strada vederne una è più raro di un´apparizione mariana) la formidabile Alfa Romeo 8C, un mostro di bellezza prodotto in pochi esemplari, motore Maserati V8, 450 cavalli per quasi cinquemila di cilindrata. E´ una meraviglia, costa una fortuna, non serve a niente, è solo una delle migliori automobili mai prodotte.