ALBERTO STATERA, la Repubblica 13/6/2010, 13 giugno 2010
E CONFINDUSTRIA METTE IL FRENO ALLA "DISCESINA" DI MONTEZEMOLO"
Alfine, se non la discesa, fu la discesina in campo di Luca Montezemolo e, in subitanea successione, l´acquartieramento in linea trincerata di due ministri e della presidente in carica contro il past president confindustriale. A difesa del «governo degli eletti» contro i «salotti elitari» che tramano nell´ombra sognando il «governo dei migliori», Maurizio Sacconi e Giulio Tremonti hanno chiamato in trincea al loro fianco Wagner e Seneca («Non esiste vento favorevole per un marinaio che non sa dove andare»).
E Poi Platone («La politica arte complessa e nobile») e Marx, Kafka, Kennedy e persino Gordio, il re-contadino di Frigia, da cui il detto del nodo gordiano. Erano un po´ frastornati, per la verità, i giovani industriali in platea, giovanotti in gessato e giovanotte in tubino con balconcino, all´inseguimento dell´apocalittico percorso di esibizione culturale del superministro dell´Economia. Una specie di nodo gordiano. Ma quando Emma Marcegaglia ha parlato, almeno una cosa hanno capito: che la discesina aveva figliato, se non una diaspora, una diasporina confindustriale e che Montezemolo, per un quadriennio osannato presidente che scaldava gli animi, va ora iscritto nella lista dei reprobi, tra quelle èlite da salotto che opacamente faticano a riconoscere ciò che Tremonti scandisce: «In tutta Europa ci sono solo governi degli eletti», con l´avvertenza di ammettere che, lui naturalmente escluso, non sa se siano sempre anche dei «migliori». Emma, piuttosto in dissonanza con la presidente in scadenza dei giovani Federica Guidi che viene sospettata di montezemolismo, si è plasticamente accucciata tra le braccia del superministro, con il quale è più a suo agio che con Berlusconi, e, seguendone la sperimentata tecnica del passo avanti e tre indietro che lui ammanta di intercambiabili ideologie, ha scelto di rispondere all´invito: «Se arretro, seguitemi».
Dall´ultimatum al governo era passata al penultimatum dell´assemblea di fine maggio, per retrocedere ieri all´adesione totale alla manovra e alla campagna tremontiana sulla modifica dell´articolo 41 della Costituzione, per agevolare la rimozione dei macigni burocratici di uno statalismo asfissiante, antiliberista, borbonico. Il nuovo mantra è: la Confindustria non fa politica, non sale sul ring come fa - compagno che sbaglia - il suo predecessore Montezemolo: «Il nostro ring non è quello della politica, ma è quello della crescita e della sfida competitiva».
Ci manca poco che Emma citi il solito detto berlusconiano che in milanese suona: «O felè fa il to mesté». Lo dice in italiano: «Fare troppi mestieri non va bene, ciascuno faccia il suo e lo faccia bene». Nel centenario confindustriale, suona come una sorta di abiura rispetto ai fasti della Confindustria del dopoguerra, quella di Angelo Costa che Alcide De Gasperi definì il Quarto partito, capace di condizionare e guidare maggioranze e governi.
Era un tempo, secondo Montezemolo, in cui c´era «un sogno, un obiettivo, una sfida», era sul podio una classe dirigente civile che aveva il coraggio di prendere posizione. Archeologia nell´attuale «Medioevo postmoderno» per Tremonti, che colloca oggi il mondo intero in un «passaggio rivoluzionario».
«Oggi abbiamo avuto la prova definitiva che, a parte un ormai evidente fatto caratteriale tra Emma e Luca, il sistema confindustriale - sarà per la crisi, sarà per la debolezza dell´opposizione - è tutto filogovernativo», ci confida un industriale senior meridionale di tendenze meno marcate, che condivide la difesa d´ufficio di Montezemolo tentata senza troppa convinzione dall´altro antico past president Luigi Abete, il quale dice che «dare le pagelle agli industriali non spetta a un ministro». Un gruppo di juniores anche loro meridionali intanto strologa sull´improvviso abbattimento dell´ex icona montezemoliana: «Sembrava il migliore!» Sembrava. Perché il ministro Sacconi si è appena incaricato di accusarlo di aver guidato una Confindustria che «non ha avuto il coraggio di decidere», che non seppe prendere la posizione che il governo voleva nella trattativa sulla riforma del sistema contrattuale:
«Poi finalmente è venuta una donna e ha deciso». E che oggi echeggia il Tremonti platonico dell´»arte umana più alta», garantendo: «Non siamo contro la politica, ma siamo per una politica alta». Non quella degli sprechi e dei privilegi, non quella «degenerata dagli abusi di potere» che il ministro aborrisce.
L´ambasciatore americano David Thorne, che ha duettato con sobrio buonsenso giovedì sera con Montezemolo senza chiamare in causa Platone o Seneca, se ne è andato da poco insalutato ospite senza alcuna scorta visibile, soffermandosi a salutare la concierge dell´Holet Miramare, quando il ministro Tremonti sta per incedere: viene bloccata la strada per far passare le innumerevoli auto con lampeggiante, viene bloccata la sala della conferenza, non si può entrare né uscire per mezz´ora, decine di poliziotti in borghese spintonano chiunque si trovi a intralciare il percorso ministeriale di venti passi. Ma in fondo non sarà anche questo la politica dei privilegi e degli sprechi, degli abusi di potere, che Emma e Gilulio sanzionano? O il corpo del superministro italiano è più sacro di quello del rappresentante della prima potenza del mondo? Milioni e milioni di parole sono corsi per due giorni sul Golfo dove Gugliemo Marconi condusse i suoi primi esperimenti sulla motonave «Elettra» e che secondo le immaginifiche proiezioni storiche del ministro Tremonti, se oggi facesse lo stesso verrebbe immediatamente arrestato per tutte le cose che in questo paese sono vietate da una pletora di leggi. Ma una sola volta, per bocca del past president reprobo sono state pronunciate le parole: «Legge sulle intercettazioni telefoniche», bollata di «legge sbagliata». In compenso, il ministro Sacconi ha spiegato ai giovani e disinformati astanti che «la giustizia è l´anomalia italiana, il male oscuro, il cancro partito in occasione del colpo di Stato mediatico-giudiziario di Tangentopoli». Non è che allora furono presi i ladri di una politica poco platonica, ci fu nientemeno che un colpo di Stato mediatico-giudiziario.
Scende il sipario di fronte alle giovani nuove leve degli imprenditori, ex aspirante «classe generale». Forse ci vuol altro per la politica italiana che le dubbiose scesine in campo di Luca Montezemolo.