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 2010  giugno 13 Domenica calendario

ALLARME DEBITO PER GLI STATI UNITI

Una montagna di debito vi seppellirà. Il monito risuona dal "partito del tè", il movimento ribelle conservatore, fino alle austere sale della Federal Reserve, dove regna il matador della crisi finanziaria del 2008 Ben Bernanke. Un avvertimento al quale gli Stati Uniti non sono abituati: la norma, finora, sono stati consumatori carichi sì di denaro di plastica, le onnipresenti carte di credito, e mutui ma sempre in grado di smaltirli. E soprattutto un paese dinamico che fa gola a orde di investitori (stati compresi) affamati di tutto ciò che è denominato in dollari, a cominciare dai titoli del Tesoro. Adesso, davanti alla bufera del debito sovrano in Europa, è tempo di ripensamenti.
La conclusione ”preliminare – del dibattito suscitato dai nuovi allarmi può essere così riassunta: occorre affrontare la montagna senza catastrofismi. L’allarme c’è, eccome, ma non è immediato: la tradizionale vitalità dell’economia americana può tenere a bada, per ora, l’assedio fiscale. Un efficace piano per riportare equilibrio, tra spese e entrate, è però indispensabile quanto prima. Almeno se non si vuole correre il rischio di seguire il cattivo esempio sotto gli occhi di tutti, quello del Vecchio continente.
L’ultimo rapporto consegnato al Congresso dal Dipartimento del Tesoro guidato da Tim Geithner prevede che quest’anno il " national debt", dopo aver tagliato il traguardo record dei 13mila miliardi di dollari, continuerà a salire, oltre la vetta dei 13.600 miliardi a fine 2010. Abbastanza da spingere il rapporto tra debito e prodotto interno lordo dal 90% al 93 per cento. La traettoria proseguirà, in mancanza di interventi: nel 2015 il debito avrà raggiunto i 19.600 miliardi di dollari, sfondando la soglia del 100% nel rapporto con il Pil,per l’esattezza il 102 per cento.
Più ancora tiene sulle spine il fatto che la porzione del debito americano in mano a investitori, al netto cioè di quello detenuto tra enti pubblici americani, sia in ascesa. Questa voce, la più significativa e delicata, dovrebbe lievitare dai 7.500 miliardi del 2009 a 9.100 miliardi nel 2010. Per poi raggiungere i 14mila miliardi nel 2015, pur equivalente a una più moderata percentuale del Pil, il 73 per cento. il debito più controverso perché alle mercé della fiducia del mercato globale. Di nazioni come la Cina, regina dei Treasuries a stelle e strisce con circa l’11%,che se decidesse di alleggerire il suo portafoglio made in Usa potrebbe scuotere il paese.
Il coro delle preoccupazioni ha trovato il suo nuovo tenore in Bernanke. Testimoniando nei giorni scorsi al Congresso, ha ammesso che il budget federale «appare avviato su un cammino insostenibile». Abbastanza da incrinare la fiducia sui mercati, mettendo gli Stati Uniti di fronte a una «situazione greca». Uno scenario ipotizzato dal leader repubblicano Paul Ryan del Wisconsin: «Stiamo osservando in tempo reale la giustizia sommaria dei mercati che può essere inflitta a paesi spendaccioni e pieni di debiti».
Di sicuro i deficit continuano a gonfiare il debito: sono giunti in maggio al record di venti mesi consecutivi e per l’anno fiscale 2010 cominciato a ottobre totalizzano ormai 935 miliardi. Reduce da un picco storico di 1.420 miliardi nel 2009 potrebbe attestarsi comunque a 1.300 miliardi. E aumentare di 10mila miliardi entro il 2020.
Momenti difficili potrebbero verificarsi anche prima: fino al 2012, il paese dovrà rastrellare sul mercato circa duemila miliardi l’anno per finanziare i deficit e rifinanziare titoli di stato in scadenza. Una missione che potrebbe dare filo da torcere, soprattutto nel 2012, quando è attesa la scadenza contemporanea di frotte di obbligazioni aziendali, 700 miliardi in un triennio.L’indebitamento americano, inoltre, nei calcoli dell’opposizione repubblicana, già sottrarrebbe l’1% alla crescita. Un timore fatto proprio dalla Commissione speciale creata da Obama per offrire raccomandazioni sul risanamento fiscale: l’economista dell’Università del Maryland Carman Reinhert, durante incontri dell’organismo, ha denunciato che un debito oltre il 90% del Pil danneggia l’espansione.
Ma allarmi e allarmisti non dominano la scena. Sono in molti a credere che oggi non si ergano spettri di collassi americani. A cominciare, guardando attentamente, da Bernanke che accanto al monito sul debito ha usato toni più morbidi. Ha dichiarato che l’aumento di deficit e debito è il risultato della necessaria lotta alla crisi economica, un investimento straordinario da più di tremila miliardi in due anni spesso finanziato emettendo quei titoli a breve ora in scadenza. E ha precisato che se la crisi europea si avvierà alla stabilizzazione, il contagio economico sarà limitato per gli Stati Uniti. Anzi compensato in parte dalla maggior attrazione, in un clima di tensioni ma non troppe sull’Europa, dagli asset in dollari e da cali nei prezzi di commodities. Una diagnosi completata dal suggerimento a evitare immediate azioni drastiche: tagli eccessivi di spesa o aumenti eccessivi di tasse sono sconsigliabili mentre l’economia riparte.
Un giudizio articolato sposato anche da censori fiscali e economisti di Wall Street. «Il nostro problema non è acuto quanto quello europeo », ha detto Bob Bixby, direttore della Concord Coalition, gruppo di pressione sul budget. Senza contare la crociata personale del premio Nobel Paul Krugman contro chi a suo avviso dà troppa priorità all’austerity: denuncia i rischi per la crescita e sostiene che, negli Stati Uniti, un debito pari al 90% del Pil non rappresenta affatto un dramma.