Paola Di Caro, Corriere della Sera 14/6/2010; Maria Antonietta Calabrò, Corriere della Sera, 13/6/2010; Paolo Baroni, La Stampa 13/6/2010; Gianlcuna Nicoletti, La Stampa, 13/6/2010; Liana Milella, la Repubblica 13/6/2010; Alberto d’Argenio, la Repubblica,, 14 giugno 2010
INTERCETTAZIONI
(aggiornamento al 14/6/2010) -
I finiani vorrebbero che alla Camera il testo della legge sulle intercettazioni cambiasse. Il ddl non è ancora stato calendarizzato, potrebbe essere inserito nel calendario d’Aula di fine giugno-inizio luglio e in quello di fine luglio-inizio agosto.
A Montecitorio difficilmente il presidente Fini permetterà che si ricorra alla blindatura del testo. Spiega Italo Bocchino: «La minoranza non mette in discussione il percorso concordato» ma spetta ora al «ministro (Alfano) decidere se andare fino in fondo sul testo del Senato o se migliorarlo, evitando problemi successivi sia di applicazione di alcune norme, sia di vaglio in riferimento alla ragionevolezza e costituzionalità di alcuni aspetti». I dubbi dei finiani sono legati in particolare ai reati connessi alla criminalità organizzata e allo scontento sui limiti alla libertà di stampa che sta montando in tutto il paese. Per un miglioramento del testo e per una libera discussione alla Camera si sono pronunciati anche il presidente della Commissione antimafia, Giuseppe Pisanu, e l’onorevole Pecorella, uno dei legali di fiducia del premier. Il finiano Carmelo Briguglio sul sito di Generazioneitalia, l’organo online del gruppo, ha scritto un articolo indicativo già dal titolo: «Il testo del Senato non ci piace». Nel testo l’esplicita richiesta di cambiamenti: «A differenza di quanto sostiene il nostro ministro della Giustizia quel testo non è "un punto di equilibrio" tra diritti individuali di libertà e legalità. Non ancora. Bisogna lavorarci meglio e di più. Ascoltando il Paese e la moral suasion, ancorché sine verbis, del presidente della Repubblica». E giù l’elenco di cosa non va, dalla durata "breve" alla stretta sulle ambientali, dai reati "spia" ascoltabili solo per 75 giorni alle dure sanzioni contro giornalisti ed editori.
Per ora sembra che Berlusconi non voglia sentire ragioni: già deluso dalla formulazione attuale della legge, il premier non vorrebbe toccare nulla. Davanti ai giovani dei Circoli della Libertà Berlusconi è tornato a inisterere sulla necessità di procedere per tappe forzate perché «la gente non ce la fa più a essere spiata». Dello stesso avviso Bossi: «Se dovessero esserci modifiche- ha fatto sapere il Senatur -il testo non passa più».
Nell’enturage di Fini si teme che se il Colle rispedisse la legge alle Camere per un nuovo essame, il governo la rimanderebbe indietro tale e quale per la controfirma, aprendo così un vero scontro istituzionale.
I giornalisti preparano un ricorso alla corte di Strasburgo. Il 4 luglio Popolo Viola e nobavaglio.it hanno organizzato una manifestazione «contro la legge bavaglio e contro i tagli alla cultura e alla scuola, l’altra faccia del disegno totalitario di distruzione dei fatti e di imposizione del pensiero unico».
L’ITER DEL DISEGNO DI LEGGE SULLE INTERCETTAZIONI:
13 GIUGNO 2008: Il Consiglio dei Ministri approva all’unanimità il ddl sulle intercettazioni.
30 giugno 2008: il disegno di legge è presentato alla Camera;
11 giugno 2009: La Camera approva il Ddl con 318 voti a favore, 224 contrari e un astenuto.
16 giugno 2009: inizia la trattazione nelle Commissioni al Senato;
24-25 maggio 2010: la Commissione giustizia approva il testo.
10 giugno 2010: il Governo incassa la fiducia sul ddl con 164 sì e 25 no. Il provvedimento torna alla camera in terza lettura. Se il provvedimento è approvato senza modifiche, diventa legge. Se viene modificato, torna al Senato per la quarta lettura.
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CINQUE DOMANDE SUL DDL a cura di MARIA ANTONIETTA CALABRO’, Corriere della Sera, 13/6/2010
possibile modificare il vecchio calendario?
Il disegno di legge per le intercettazioni, nella nuova formulazione del maxiemendamento, approvato dal Senato è da venerdì alla Camera. L’organizzazione dei lavori e dell’ordine del giorno dell’assemblea contenuta nel capo VI del Regolamento, prevede che almeno due giorni prima della conferenza dei capigruppo (che per la prossima settimana non è ancora convocata) il governo comunicherà le «proprie indicazioni su un ordine di priorità». Inoltre in base all’articolo 24 del Regolamento, si posso approvare modifiche al calendario già approvato, in relazioni a situazioni sopravvenute o urgenti.
Il presidente può, da solo, fissare il calendario?
Le opposizioni, come già annunciato, in conferenza dei capigruppo voteranno contro qualunque cambiamento del calendario dei lavori che preveda il voto dell’Aula prima di settembre. A norma dell’articolo 23 del Regolamento però se non si raggiunge il consenso dei presidenti dei gruppi la cui consistenza numerica sia complessivamente pari ad almeno i tre quarti dei componenti della Camera, il programma sarà predisposto dal presidente stesso sulla base delle indicazioni del governo e delle proposte dei gruppi. E’ questo il grande potere del presidente di Montecitorio, rispetto al suo collega di Palazzo Madama.
Quanti giorni deve lavorare la Commissione?
In base all’articolo 81 del Regolamento di Montecitorio, normalmente, in Commissione devono essere assicurati due mesi di trattazione dei disegni di legge: il tempo si dimezza per i progetti dichiarati urgenti, 15 giorni bastano per i decreti legge. Poiché però il ddl intercettazioni è un progetto di legge già votato dalla Camera e rinviato dal Senato, scatta l’articolo 70 del regolamento della Camera: non valgono i tempi normali concessi ai lavori delle Commissioni, quindi il ddl assegnato in Commissione la prossima settimana potrebbe rimanervi anche solo per una settimana o 15 giorni di lavoro, ossia a fine giugno.
Cos’è e come funziona per l’Aula il «doppio calendario»?
Quanto all’Aula, vale la regola del cosiddetto «doppio calendario» e cioè: un provvedimento per essere trattato deve essere messo in programma per un periodo di almeno due mesi, con un calendario di tre settimane. Quindi potrebbe essere inserito, ad esempio, dopo quindici giorni di lavoro della Commissione giustizia, nel calendario d’Aula di fine giugno-inizio luglio e in quello di fine luglio-inizio agosto (dove però c’è già la manovra). Solo in quest’ultimo, cioè nel cosiddetto «secondo calendario» però, è possibile contingentare i tempi di discussione e per il governo porre, eventualmente, la questione di fiducia.
Come possono influire gli ordini del giorno?
C’è infine, l’ultimo percorso ad ostacoli: quello degli ordini del giorno. Il regolamento della Camera, che si è formato negli anni di Pietro Ingrao e di Nilde Iotti, prevede che il voto finale su uno specifico provvedimento, anche se è stata votata la fiducia al governo, avvenga solo dopo che siano stati esaminati tutti gli ordini del giorno sulla materia, che si può scommettere saranno eccezionalmente numerosi: quindi anche questo potrebbe far slittare oltre la pausa estiva il voto finale. Bisogna poi ricordare che l’entrata in vigore della legge scatterà solo dopo 15 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
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COME RADIO LONDRA- I SITI VANNO ALL’ESTERO PER AGGIRARE I DIVIETI di GIANLUCA NICOLETTI, LA STAMPA, 13/6/2010
Si discute molto in rete di un escamotage possibile per aggirare i divieti della legge sulle intercettazioni. Gira molto l’idea di pubblicare in un sito Internet, ospitato nel server di un altro paese, ciò che in Italia non sarà più permesso diffondere. Il sito Agoravox.it, per esempio, si dice «pronta ad essere una sorta di nuova Radio Londra. I server in Francia e lo statuto di Fondazione non italiana ci consentirà di continuare a pubblicare quello che può essere detto». E Di Pietro annuncia che «L’Italia dei Valori ha già acquisito i dominii per poter attivare i siti stranieri, sui quali pubblicare le intercettazioni che saranno vietate in Italia».
La cosa è sicuramente possibile anche secondo un esperto in materia come il professor Andrea Rossetti, docente di Informatica Giuridica all’Università la Bicocca di Milano. «In realtà nessuna legge può proibire di pubblicare notizie a chi operi in un paese straniero. E’ chiaro che una testata italiana, o un giornalista italiano, non potrebbero limitarsi ad aprire una succursale presso un Internet server provider estero, ne risponderebbero comunque loro. Sarebbe solamente più lunga la procedura per il Pubblico Ministero che dovrebbe cercare prove oggettive della pubblicazione. Sarebbe costretto a passare per una rogatoria internazionale, che comunque non è sempre detto venga accettata».
L’anonimato nel caso sarebbe quindi d’obbligo per evitare comunque fastidi. Esistono vari siti web creati specificatamente per la pubblicazione di documenti confidenziali o coperti da riservatezza. Tra i più noti http://wikileaks.org/, che da qualche tempo negli Stati Uniti fonda parte della sua affidabilità nel non far nemmeno capire dove siano effettivamente i suoi server. Qui ad esempio nella sezione dedicata all’Italia sono scaricabili vari file di intercettazioni. La dicitura si limita a dichiarare che si tratta di tre ore di conversazioni telefoniche tra uomini maturi e giovani donne tra aprile e maggio 2008.
Tra quanti in questo momento si stanno dichiarando disponibili a pubblicare in Internet quello che in Italia sarebbe proibito c’è http://www.avaaz.org/. Sono un gruppo di attivisti anche loro di base negli Stati Uniti. Si definiscono: «Una comunità globale di cittadini che intraprendono azioni concrete per risolvere i problemi mondiali». Nella sezione Italia, Avaaz permette di sottoscrivere in automatico il modulo della petizione popolare per chiedere al Parlamento di respingere la «legge bavaglio».
E’ consigliabile comunque cautela a chi pensasse che sia possibile raccontare in un giornale la notizia pubblicata, magari anonimamente, in un sito all’estero. In effetti - anche per Rossetti - non è così scontato: «Anche per la comunicazione indiretta potrebbero esserci problemi. La legge impedisce la diffusione di una notizia, quindi paradossalmente potrebbe anche estendersi a chi ne segnali indirettamente l’esistenza unicamente indicando un link».
Il professor Rossetti concorda che sarebbe comunque difficile bloccare le notizie che fossero pubblicate on line nelle modalità che abbiamo descritto: «La legge, per assurdo, potrebbe imporre agli Internet server provider di bloccare l’accesso dall’Italia a questi siti, come accade per i giochi d’azzardo non riconosciuti dal Ministero, o per il sito di Pirate Bay, (patria degli scambisti di file BitTorrent). Sono comunque limitazioni facilmente aggirabili, come sa ogni ragazzino, basta passare attraverso un proxy che non abbia sede in Italia oppure utilizzare un DNS collocato all’estero».
Già si profila anche l’eventuale business del sito anti bavaglio: «Non c’è un rapporto diretto con la vicenda italiana di questi giorni, ma sta di fatto che in Islanda si stia discutendo una proposta di legge, presentata da alcuni parlamentari locali, per garantire l’anonimato a chiunque voglia pubblicare in rete notizie compromettenti. Potrebbe diventare veramente un’industria quella di fornire server con protezione legislativa, un servizio utile per chiunque voglia pubblicare informazioni censurate o censurabili nel proprio paese».
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CON IL FRENO di ANDREA MARIA CANDIDI, IL SOLE 24 ORE 14/6/2010
Un anno per assegnare il potere di autorizzazione al tribunale capoluogo; tre mesi, dalla firma di un apposito decreto, per mettere in funzione i «centri di intercettazione telefonica». A prescindere dall’esito del passaggio a Montecitorio, che potrebbe pure non essere una formalità, e dall’impatto sulla libertà di espressione e sul potere di indagine delle procure, la riforma delle intercettazioni avrà bisogno di una fase di rodaggio prima di arrivare alla piena operatività. Vero è che molte delle nuove regole saranno immediatamente applicabili ai processi pendenti al momento dell’entrata in vigore della legge – quantomeno se la forma finale sarà quella approvata dal Senato ”, ma quelle destinate a slittare, anche per esigenze organizzative, non sono di poca rilevanza.
Su tutte il congelamento, per un anno, della norma che obbliga il pubblico ministero che ha bisogno di effettuare intercettazioni a chiedere l’autorizzazione al tribunale del capoluogo del distretto. Disposizione tra le più osteggiate dalla magistratura e non solo perché può mettere chilometri tra richiedente e ufficio centrale. La decisione deve essere infatti presa da un collegio di tre membri e non da un solo giudice, il Gip, come accade invece adesso. Questa circostanza può rendere difficile la vita negli uffici giudiziari titolari del potere di autorizzazione. Il Consiglio superiore della magistratura ha già segnalato i rischi connessi alla novità: specialmente nelle sedi distrettuali più piccole, con l’attuale regime di incompatibilità – il magistrato che partecipa a un giudizio, sia pure nella fase cautelare, non può poi intervenire di nuovo sul medesimo procedimento ”, c’è il concreto pericolo di avvicinarsi al limite di saturazione oltre il quale diventa difficile celebrare i processi.
Altro rischio connesso alla composizione collegiale è quello di trasformare, ancora una volta, una decisione incidentale o adottata nella fase cautelare, in una sorta di giudizio anticipato sulla colpevolezza dell’indagato: una misura tesa a garantire la posizione dell’indagato diventa così un boomerang, rafforzato proprio dalla decisione presa a livello collegiale.
Bisogna poi valutare l’impatto economico, attualmente sconosciuto, dell’accentramento territoriale e della nuova ipotesi di collegialità. Sebbene le istituzioni sovranazionali vadano sempre meno di moda, vale la pena ricordare come la commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa abbia invece raccomandato ai legislatori "locali" di effettuare sempre una valutazione dell’impatto che ogni progetto di legge può avere sull’attività degli uffici giudiziari. Per un anno ancora, comunque sia, i pm non dovranno cambiare abitudini, ma continueranno a chiedere l’autorizzazione al giudice per le indagini preliminari del tribunale presso cui prestano servizio.
Un’altra novità che tarderà a entrare in vigore – ammesso che la Camera dei deputati non modifichi il testo – è quella dei centri di intercettazione telefonica. Oggi il codice fa riferimento in senso lato a «operazioni», mentre il disegno di legge divide il percorso: da una parte le operazioni di registrazione, che saranno svolte con gli impianti installati presso i nuovi «centri»; dall’altra quelle di ascolto, cui provvederanno invece le singole procure con i propri impianti. I centri saranno messi in piedi presso ogni distretto di corte d’appello, sebbene nulla è detto circa la loro collocazione: solo nel tribunale capoluogo o in ogni sede del distretto? A rispondere all’interrogativo, con ogni probabilità, sarà il decreto che il ministero della Giustizia dovrà adottare per la loro entrata in funzione. Che comunque avverrà solo tre mesi dopo la pubblicazione in Gazzetta delle regole ministeriali. Anche in questo caso, fino a quel momento le operazioni di registrazione e di ascolto continueranno a seguire le regole attuali.
Obiettivo dell’intero progetto è anche il contenimento dei costi e quest’ultima norma in particolare va in quella direzione. Con le modifiche introdotte, infatti, la possibilità che il pubblico ministero possa utilizzare apparecchiature prese in affitto da aziende private è ridotta ai soli casi di intercettazioni di comunicazioni informatiche o telematiche e non più anche telefoniche. Il rovescio della medaglia, oltre al danno provocato alle imprese legate al business delle intercettazioni (si veda l’articolo a lato), sta proprio negli oneri da sostenere per dotare i centri distrettuali degli strumenti necessari.
L’ultima disposizione transitoria del disegno di legge riguarda l’applicazione ai processi in corso del termine massimo di durata delle intercettazioni: nel caso siano già state autorizzate non potranno ulteriormente proseguire per un tempo superiore al nuovo limite di 75 giorni.