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 2010  giugno 14 Lunedì calendario

CAIRO, STORIA DI UN FALLIMENTO

Urbano Cairo, l’uomo che voleva essere Berlusconi, ha chiuso ieri sera nel peggiore dei modi possibili la sua quinta stagione sulla poltrona presidenziale. E’ entrato nel calcio nell’agosto 2005 per amore del Torino sull’orlo del fallimento, ma anche per cercare una propria vetrina in un mondo che ti mette spesso in prima pagina. L’editore alessandrino ha provato sensazioni molto forti, com’è destino di chi si avvicina al Toro. E’ passato dal trionfo personale come salvatore della patria granata, a nemico numero uno della tifoseria.
 sempre stato lastricato di difficoltà il cammino della sua gestione. Subito una serie B conclusa ai playoff proprio come ieri (esito a parte), poi due campionati di A vissuti sempre sull’orlo del precipizio, una terza stagione in cui il miracolo-salvezza non è riuscito. Infine questa B, che doveva essere una lunga cavalcata trionfale verso l’immediato ritorno nel salotto buono del pallone, trasformata in un’odissea finita male.
Ha divorato milioni e fagocitato allenatori. Ha comprato giocatori inutili fidandosi del suo intuito, e sbagliando quasi sempre. Perché lui sa come si vendono spazi pubblicitari, ma zoppica nella valutazioni tecniche, e si innamora di un giocatore alla frutta come Recoba. Ha accentrato il potere, ha delegato pochissimo, creando una struttura societaria essenziale e tenendo la sede legale a Milano, obbligando i tifosi a prendere il treno per contestarlo. Mosse rovinose fino a quando un uccellino deve avergli suggerito di cambiare strategie. La prima mossa del Cairo è stata l’arrivo di Foschi. Un ds vero, un uomo mercato con i fiocchi. Nelle speranze. In realtà anche Rinone da Cesena l’ha tradito. Acquisti sbagliati, correzioni volanti ininfluenti, retrocessione scontata. E Cairo duro, avanti, riproviamoci. Ancora con Foschi, ancora con un cambio in panchina. Ecco Colantuono, ecco nelle sue mani il Toro della rivincita di un popolo e, soprattutto, di un presidente.
L’estate del 2009 Cairo la ricorderà come la migliore per il suo portafogli. A fronte di altri arrivi rivelatesi poi deludenti, anche ottimi colpi in uscita. Rosina allo Zenit, Barone al Cagliari, Dzemaili al Parma. Non bruscolini ma ingaggi milionari che volavano via. Sistemati in parte i conti, bisognava sistemare anche la squadra ed è qui che ancora una volta due più due non ha fatto quattro. Un girone d’andata raccapricciante con la contestazione più dura e avvilente, si è portato dietro la decisione di cacciare Foschi e prendere Petrachi. E per la prima volta si è visto un Cairo coraggioso: fuori i nemici dal tempio, avanti con i giovani, con giocatori sconosciuti al grande pubblico, ma pieni di voglia di farsi riconoscere per strada. Ma siccome non si nega mai nulla, ha voluto di nuovo stupire: prima ha cacciato Colantuono sostituendolo con Beretta, poi ha ripreso il romano che in cambio gli ha regalato un girone di ritorno da record raggiungendo i playoff. In mezzo, a febbraio, anche l’ennesimo sfogo: «Vendo il Toro. Ci ho messo 30 milioni, non è servito a nulla». Sono passati tre mesi, ieri sera Urbano I era in panchina. Non ne dubitavamo.