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 2010  giugno 16 Mercoledì calendario

Un pentito scagiona Amanda, Sollecito e Guede «A uccidere Meredith, la sera del 1° novembre 2007, è stato mio fratello

Un pentito scagiona Amanda, Sollecito e Guede «A uccidere Meredith, la sera del 1° novembre 2007, è stato mio fratello. Amanda, Raffaele e Guede sono innocenti. Lo so perché è stato mio fratello a confessarmi l’omicidio e a consegnarmi il coltello ancora sporco di sangue e un mazzo di chiavi. Li ho nascosti sotto un muretto, dietro casa mia, coprendoli con terra, gesso e calce. Se il Tribunale di Perugia si deciderà ad ascoltarmi, sono in grado di far ritrovare l’arma del delitto e quelle chiavi». Questa è solo la sintesi delle clamorose rivelazioni fatte nel carcere di Ivrea dal detenuto napoletano Luciano Aviello, 41 anni. Collaboratore di giustizia con un passato tumultuoso (17 anni di carcere alle spalle per reati di camorra, e altri ancora da scontare), Aviello ha scritto tre volte al presidente della Corte d’Assise di Perugia. Il quale, però, non ha ritenuto opportuno interrogarlo, giudicando evidentemente inattendibili le sue rivelazioni. Così, Aviello ha parlato con gli avvocati Carlo Dalla Vedova e Maria Del Grosso, che difendono Amanda Knox assieme all’avvocato Luciano Ghirga. In un interrogatorio videoregistrato il 31 marzo scorso, ha raccontato la sua verità sull’omicidio di Meredith Kercher. Scagionando Rudy Guede (condannato a 16 anni), Raffaele Sollecito (condannato a 25) e Amanda Knox (a 26) e puntando il dito contro suo fratello Antonio Aviello. Sarebbe stato Antonio ad uccidere Mez in via Della Pergola la sera del 1° novembre 2007. ’ABITAVO IN QUELLA VIA” Come fa a saperlo? Aviello lo ha spiegato ai legali di Amanda: «Perché in quei mesi abitavo nella stessa via, in un appartamento a disposizione di Salvatore Mezza, un altro collaboratore di giustizia. In quel periodo mia madre mi supplicò di tornare a casa, a Secondigliano, perché mio fratello Antonio aveva grossi problemi nel quartiere. Anziché tornare da mia madre, chiesi a mio fratello di raggiungermi a Perugia. Saremmo stati tutti più tranquilli. E invece...». E invece? «Una sera Antonio tornò a casa con il giubbino sporco di sangue. Aveva una ferita al braccio destro e un involucro con dentro un coltello a serramanico e un mazzo di chiavi. Mi disse di aver sniffato cocaina e di essersi ferito scavalcando un muro. Lo costrinsi a dirmi la verità. Mi raccontò che a lui e a un suo amico albanese, un certo Florio, qualcuno aveva commissionato un furto di quadri in una villa, precisando anche gli orari in cui entrare in azione». ’RUDY ERA IN BAGNO” A questo punto il racconto di Aviello diventa confuso. Non si capisce se a penetrare nella casa sbagliata furono il fratello e il complice oppure se erano sbagliate le indicazioni fornite dal committente del furto. Sta di fatto che Antonio Aviello e Florio si ritrovarono in casa di Meredith dove di quadri da rubare non ce n’erano. La povera ragazza inglese di fronte a quei due figuri cominciò a urlare. Antonio Aviello l’afferrò prima per la gola, poi avrebbe tentato di impedirle di urlare serrandole la bocca con una mano. Meredith si difese, graffiando e scalciando. I due persero la testa e Aviello, pieno di graffi e ferito, la colpì con una coltellata. Poi i due fuggirono, non prima di aver scoperto la presenza in bagno di Rudy Guede e di averlo costretto al silenzio minacciandolo di morte. Queste dichiarazione scagionerebbero Amanda e Raffaele, che non sarebbero stati neppure presenti sulla scena del delitto. Non solo. Confermerebbero anche la versione di Guede: uscito dal bagno, avrebbe trovato Meredith già pugnalata a morte. Terrorizzato dalle minacce dei due, Guede fuggì, cercando riparo in Germania. Certo, le rivelazioni di Luciano Aviello, come tutte quelle dei collaboratori di giustizia, sono da verificare con attenzione. In diverse occasioni questo personaggio non si è rivelato attendibile; in altre, invece, ha raccontato ai magistrati cose che hanno trovato riscontro. Ma perché il Presidente della Corte d’Assise non ha accettato la sua testimonianza? Nel processo di Perugia sono state tante le deposizioni che poi si sono rivelate inattendibili. Una per tutte, quella dell’albanese Kokomani: disse di aver conosciuto Amanda nel luglio 2007 mentre la ragazza arrivò a Perugia a fine ottobre. Perché ad Aviello non è stato dato credito? Eppure, dice di poter fare ritrovare l’arma del delitto. LA CHIAVE SCOMPARSA  la ragione per cui i difensori di Amanda hanno chiesto che Aviello venga ascoltato nel processo di secondo grado. Anche perché, dalle sue rivelazioni, emerge un particolare inedito e di grande importanza: un mazzo di chiavi. Nessuno ne aveva mai parlato. Ma le chiavi di casa in uso a Meredith non sono mai state ritrovate. Per entrare e uscire dalla casa, le chiavi erano necessarie: la serratura a scatto era difettosa, per aprire o chiudere era sempre necessario un giro di chiavi. Se gli assassini non fossero Amanda e Raffaele, come sostiene Aviello, chi penetrò nella casa di via della Pergola quella sera fu costretto a impossessarsi delle chiavi della vittima per scappare. Altrimenti sarebbe rimasto chiuso dentro. il mazzo di Meredith quello che Aviello dice di aver nascosto sotto un muretto? Lo accerteranno forse i giudici, in autunno, nel processo d’Appello.