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 2010  giugno 12 Sabato calendario

I SEGRETI DELLA BATTAGLIA DI MARENGO (2

pezzi) -
Il segreto più grande di Marengo (14 giugno 1800) lo celò il vincitore, Napoleone Bonaparte: lui l’aveva persa quella battaglia, aveva ignorato i suoi stessi principi (non disperdere le forze) e si era fatto infilare dalla massa compatta di 30 mila austriaci usciti da Alessandria. A vincerla ci pensò il Fato e l’appena promosso generale Desaix, che tornò con la sua divisione ed ebbe anche la graziosa idea di morire nello scontro. Ma intanto il mito era nato e con il mito il Museo realizzato già nel 1846 dall’oscuro farmacista Delavo, lasciato vivacchiare per un secolo e poi andato in rovina. Recuperato dalla Provincia negli ultimi tre anni e riaperto con l’appoggio dei francesi del Musée dell’Armée e altre associazioni, da domani si può tornare a visitarlo in una nuova versione. Perché di segreti - o quanto meno di curiosità - la battaglia di Marengo ne riserva ancora.
Le spie. Ad esempio un particolare spesso trascurato dagli storici è l’attività di intelligence che fioriva durante uno scontro campale come quello di Marengo: nessun radiotelefono, nessun radar, erano spesso le spie a segnalare ai comandi gli spostamenti e la consistenza delle truppe nemiche. Una teca del museo ospita uno stivale con tacco cavo girevole per custodirvi messaggi segreti e nella tela a fianco un gruppo di ufficiali è a colloquio con l’informatore che ha appena tirato fuori il suo rapporto «confidenziale».
Le donne. Al seguito degli eserciti - quello napoleonico come quello austriaco - c’era una variopinta corte di fornitori di servizi: commercianti, ma anche signore esperte nel commercio più antico del mondo. Ma erano non solo prostitute, di volta in volta anche crocerossine o cuoche: alcune scene in cui le donne del reggimento aiutano i soldati sono ricostruite attraverso realistici manichini.
Il peso delle armi. Il visitatore può sollevare un moschetto dell’epoca e rendersi conto di quanto fosse faticoso maneggiarlo. Erano 4 chili e mezzo da portarsi appresso, assieme ai 30 chili dello zaino, più un’uniforme non certo «agile».
La violenza quotidiana. Un grande pannello riproduce l’aia di una delle cascine che servirono da punti di raccolta, da centri comando, da aree di soccorso. La spianata è un susseguirsi di corpi martoriati: a chi manca un arto, chi ha perso un occhio, chi ha il volto sfregiato. E a fianco un mucchio di soldati senza vita.
Il cimelio. Fra i tanti, il più curioso è forse il cannone contenuto in mezzo tronco cavo. Un piccolo gioiello d’artigianato bellico: con questo i francesi avevano superato le Alpi al Gran San Bernardo, prima di sciamare sulla pianura e prepararsi per Marengo.
MASSIMO PUTZU

***

A Marengo Napoleone si giocava il tutto per tutto. Quattro anni prima un ventisettenne sconosciuto aveva stupito il mondo con la campagna d’Italia ed era diventato l’uomo più popolare di Francia; poi aveva messo a repentaglio la gloria, e la pelle, con la pazzesca avventura d’Egitto, era tornato in patria ancora abbastanza forte da assumere la dittatura col colpo di stato di Brumaio, e adesso era di nuovo lì, in quell’Italia che nel frattempo gli austriaci avevano riconquistato, per dimostrare a se stesso e al mondo che era ancor sempre quello di prima. Quella dimostrazione fu data a Marengo, e nessuno, dopo aver letto la notizia sui giornali, poté più dubitare che Napoleone fosse l’uomo del destino. Ma cosa avvenne veramente quel 14 giugno del 1800?
Nessuna ricostruzione può farci vedere la pianura dell’Alessandrino com’era duecentodieci anni fa, coi campi di grano maturo che raggiungeva l’altezza d’un uomo, intervallati dappertutto da filari di vite e alberi da frutta. Un terreno impossibile dove un generale non riusciva neppure a vedere i propri uomini, per non parlare dei nemici. La battaglia di Marengo fu una confusa sequenza di mischie combattute alla cieca, coi francesi colti alla sprovvista dall’iniziativa del nemico uscito da Alessandria per attaccarli in forze, i granatieri ungheresi che si facevano strada un po’ per volta respingendo il nemico in sempre maggior confusione, finché al crepuscolo il loro comandante, Melas, tornò ad Alessandria per annuciare al suo imperatore la vittoria.
 allora che la divisione di Desaix, che il Primo Console aveva mandato dalla parte sbagliata e poi richiamato indietro con un messaggio disperato, fece la sua comparsa sul campo di battaglia, caricò all’improvviso gli austriaci e li ricacciò in disordine in mezzo alla campagna, trasformando una sconfitta ormai sicura in una clamorosa vittoria. Napoleone c’entrava ben poco; aveva passato la giornata galoppando qua e là, cercando di fermare la ritirata e rianimare gli uomini, senza capir nulla di quello che stava succedendo, finché sentì le urla di vittoria, e vennero a dirgli che Desaix aveva vinto la battaglia, ed era stato ammazzato da una fucilata. Non era una storia che si potesse scrivere tale e quale a Parigi, il Primo Console lo capiva benissimo. Quella notte, mentre il nemico demoralizzato chiedeva l’armistizio, Napoleone scrisse un comunicato per i giornali, in cui menzionava commosso la morte eroica di Desaix, ma si concentrava soprattutto sul luminoso esempio con cui lui, il Capo, aveva ispirato i suoi uomini e vinto la battaglia di Marengo; e il mondo, attonito, s’inchinò alla sua gloria.
Alessandro Barbero