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 2010  giugno 12 Sabato calendario

SUNDAY BLOODY SUNDAY, LA VERITA’ DOPO 38 ANNI

Dopo dodici anni di inchiesta, la più lunga nella storia dell’Inghilterra, 2.500 testimoni ascoltati, cinquemila pagine contenute in dieci volumi e 191 milioni di sterline investiti, la commissione guidata da Lord Saville e voluta da Tony Blair alla fine del 1997 è pronta a dire l’ultima parola sulla strage di Derry del 30 gennaio 1972, quando il primo battaglione del reggimento paracadutisti dell’esercito britannico aprì il fuoco su una folla di manifestanti che marciavano a migliaia contro l’«internment», una norma che consentiva alla polizia di arrestare chiunque senza motivo e ai giudici di buttare via la chiave senza processo. Era domenica, erano le quattro del pomeriggio, era il Bloody Sunday cantato da Bono Vox. «How long must we sing this song? Quanto tempo dovremo cantare questa canzone?».
Stavolta siamo vicini ai titoli di coda di una vicenda che è stata il cuore dello scontro frontale tra i nazionalisti dell’Irlanda del Nord, l’Ira e il governo Britannico. Una guerra che negli ultimi quarant’anni ha causato 4000 mila morti, 500 nel solo 1972, 14 nelle strade di Derry, dove ci furono anche 26 feriti. Protestanti contro cattolici, inglesi contro irlandesi, sangue in cambio di sangue.
Secondo un’indiscrezione del Guardian, quando martedì David Cameron parlerà alla Camera dei Comuni, dirà, in un linguaggio complicato ma inequivocabile, che l’esercito non solo non avrebbe dovuto sparare, ma che quelle morti furono frutto di atti illegali. Il dossier sarà mandato per competenza alla Procura dell’Irlanda del Nord, che dovrà decidere se portare in tribunale i paracadutisti del primo reggimento.
Una svolta radicale rispetto all’indagine degli Anni 70, secondo la quale i militari avevano agito per legittima difesa dopo essere stati attaccati da un gruppo di terroristi armati, tra l’altro, di bombe a mano. Ma nelle strade, dove cinque vittime furono raggiunte da colpi alla schiena, non solo non si trovarono ordigni, ma neppure pistole e fucili. Una manifestazione per i diritti umani che, secondo la testimonianza di un militare che da dieci anni vive sotto protezione, «qualcuno volle trasformare in una carneficina».
La foto simbolo di quel giorno è uno scatto in bianco e nero diventato murales al centro di Derry. Si vede un uomo, un prete, che sventolando un fazzoletto bianco indica la strada a tre manifestanti che lo seguono. Sono sconvolti, hanno gli occhi sbarrati, ma sono innaturalmente composti e reggono per le braccia e le gambe un ragazzo di 17 anni. Si chiama John «Jackie» Duddy e gli hanno sparato al petto. Era disarmato. Scappava. Di fianco a loro un soldato guarda altrove, come se quella morte non lo riguardasse, e una telecamera riprende la scena. L’uomo del fazzoletto si chiama Edward Daly, e dal 1974 al 1993 è stato vescovo di Derry. Quando parla di Jackie la sua voce ancora si incrina. «Era giovane». Martedì sarà a Guildhall Square, nel cuore di Derry, assieme ad almeno altre diecimila persone che seguiranno su un mega-schermo il discorso di Cameron. «E’ difficile parlare ora. Forse persino sbagliato. Voglio vedere il documento ufficiale. Ma è certo che quello fu un pomeriggio nero della storia dell’uomo». Gli occhi gli si sono riempiti di rughe a forza di stringerli per evitare le lacrime. Ha studiato in Italia. «Sono stati i giorni più sereni della mia vita». Furono sei i ragazzi di 17 anni a rimanere per terra nel Bloody Sunday.
John Kelly, fratello di Michael, freddato con un colpo all’addome, tiene le braccia conserte «perché se le allargo mi esplode il cuore. Aspetto martedì e prego in ginocchio. A me non basta che il rapporto dica che i soldati sono colpevoli, quello lo so. Non mi basta - e questo lo pretendo - che dicano che mio fratello non era un terrorista, voglio che il soldato F, come lo hanno chiamato in questi anni, finisca davanti a un giudice e poi in galera». Il soldato F è considerato il responsabile di quattro morti. «Ricordo tutto come se fosse ieri. Per Michael era la prima manifestazione. Mi diceva: John, stavolta dobbiamo farlo. Questa legge è una porcheria. Aveva 17 anni, ci credeva. Gli dissi: ok, vai, ma se capita qualcosa dattela a gambe. Non l’ho mai più visto». Appeso alla memoria, costretto a vivere da 38 anni guardandosi alle spalle, come se il tempo corresse nella direzione sbagliata. Forse ancora qualche giorno, forse fino a martedì.
Suonata per la prima volta dal vivo nel dicembre 1982 a Glasgow, e diventata il pezzo di apertura dell’album «War» del 1983, con il suo ritmo incalzante e il riff inconfondibile di The Edge, «Sunday Bloody Sunday» è diventata una delle canzoni più famose degli U2, l’inno dell’impegno politico della band. All’epoca dei fatti Bono, autore del testo, aveva 11 anni, e ha più volte sottolineato come la canzone non contenesse un messaggio favorevole all’Ira, ma fosse un appello contro la violenza e la divisione.