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 2010  giugno 12 Sabato calendario

SOWETO AI TEMPI DEL CALCIO

La fila per la birra si fa da Moss Inn o da uno dei tanti chioschi analoghi, giusto una scritta rossa su un garage aperto e fuori il Sudafrica in attesa. Stanno in coda e alle prese con l’unico problema del giorno: dove vedere la partita dei Bafana Bafana, la prima gara di un Mondiale che qui considerano una rivoluzione. Queste strade di rivoluzioni ne hanno viste tante, segnavano il perimetro di un ghetto e chiunque quando dà informazioni ci tiene ad aggiungere «prima non era così» e per prima si intende durante l’apartheid, negli anni in cui da queste parti c’erano davvero solo baracche e zero libertà. Ora è un quartiere in movimento, anche se chiamarlo così è riduttivo: è una città, un milione e mezzo di abitanti e troppe differenze per poterlo considerare un mondo unico.
A nord c’è Protea, una delle zone «a metà» come dicono loro, cioè case modeste di tre quattro stanze costruite 10 anni fa, pochi lussi e niente locali alla moda che invece sono sbucati in quella che loro considerano «deep Soweto», cioè il cuore. Protea è la zona tipo della Soweto di oggi. Non c’è polizia e neanche il filo spinato intorno alle case come si vede a Johannesburg. Non ci sono bianchi, anche se Lerato (nomignolo che sta per amore) assicura che hanno cominciato a trasferirsi o almeno che «circolano», cerca conferma tra le amiche che ridono e le mostrano l’orologio. Ora di scegliere. Il dilemma è: partita in un locale con gli amici o in casa con la famiglia ed è una domanda che si fanno tutti perché «questo è un giorno patriottico per noi, avremmmo voluto che la partita inaugurale fosse il 16 giugno, il giorno della festa di Soweto perché qui è il posto dove tutto succede e tutto deve ancora succedere». Il 16 giugno 1976 è la data in cui la polizia ha aperto il fuoco su una scuola, è la data da ricordare perché è quella in cui è morto Hector Pieterson che oggi è il nome di un museo ma nel ”76 era un ragazzino di dodici anni. «Comunque il 16 giugno i Mondiali ci sono ancora quindi sarà una bolgia».
Lerato decide di vedere Sudafrica-Messico a casa, «giusto condividere questo momento con le persone più importanti» e lascia le birre alle amiche: «Noi davanti ai genitori non possiamo bere». Segno di rispetto, lei ha 19 anni, lavora già «ma non è una questione di età, bere davanti a loro sarebbe un’offesa». Insomma, nella township nota per la violenza niente alcool in famiglia.
Le case sono appiccicate «che problema c’è? Qui ognuno si fa i fatti propri» e tanto il vicinato sta tutto fuori, ricoperto di bandiere, vuvuzela alla mano. A Soweto si vive in strada e vale anche per la partita, mancano venti minuti all’inizio e nessuno entra. I ragazzi saltellano su un pick up scassato, cappotti di lana malandati e paraorecchie come se fossimo sotto zero. Potrebbero essere una gang, a vederli lo sembrano: hanno lo sguardo un po’ perso e fanno a chi urla di più. Se fossi qui da sola scapperei, ma dopo un attimo siamo pigiati sullo stesso divano e loro schizzano in piedi al momento dell’inno, mano sul cuore. I presunti ragazzacci di strada hanno più valori del previsto.
Poi lo stupore vero, genuino, perché Soccer City è tutto giallo, perché ci sono loro ovunque: le facce e la storia e Mamsy, la mamma di casa, si commuove. Non sa neanche quanto dura una partita ma resta aggrappata ai braccioli della poltrona blu («Il mio primo salotto»). Non si aspettavano davvero di ritrovarsi dentro Soccer City e ci mettono un po’ persino a fare il tifo. Giro di Ntsu per alleggerire l’atmosfera. un tabacco mentolato che tirano su con il naso. «Rilassa», ridacchia Mamsy e i ragazzi passano la mano anche stavolta. Nella township che dovrebbe essere piena di tossici le Mamie si fanno di tabacco aromatizzato.
Sì, i posti bui, senza elettricità e sanitari dove nessuno vuole camminare esistono ancora: «Oggi sono parcheggi di gente disoccupata che cerca una sistemazione. Come tutti abbiamo i nostri sbandati. Il comune continua a costruire, quelle scatole di latta scompariranno nel prossimo decennio». La partita si vede anche lì, a Mopeha, a Jabavi dove Soweto è melma, ma un’antenna la si trova, un vecchio televisore con le righe orizzontali sullo schermo lo si piazza e invece di appoggiarlo sul tavolino del salotto sta sbilenco su un marciapiede. Tutti intorno.
Nelle strade dei nuovi ricchi, a Bester, Diepkloof, dove sbucano ogni giorno concessionarie di automobili e pub colorati, stessa scena. A gruppi davanti al video e al gol di Tshabalala, Soweto scatta di nuovo fuori. Zero replay, anzi perdono un pezzo di partita per abbracciarsi, per stringere mani e ballare. Qualcuno decide di correre al Fan Fest, Elkha Stadium che una volta era il centro della malavita oggi è solo voglia di futuro. Il Messico pareggia, Soweto ulula ma non si deprime: si è vista in tv e non in un documentario su bianchi e neri ma in un delirio giallo. Un ritratto reale in mondovisione, abbastanza per festeggiare ancora. In strada, «dove tutto può succedere». Anche di vedere una Soweto tanto tranquilla da non sembrare vera.