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 2010  giugno 06 Domenica calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

1 marzo 1896
Bandiera bianca
Nei libri di scuola africani, Adua viene celebrata come l’inizio della fine del colonialismo europeo: la prima battaglia campale in cui truppe di «neri» sconfiggono un esercito di «bianchi». Proprio per scongiurare un evento di così forte impatto emotivo, le Grandi Potenze si sono sempre rifiutate di fornire munizioni alle popolazioni indigene. Per armare gli etiopi contro l’Italia ci vuole dunque l’Italia. Quando il negus Menelik riceve i quattro milioni di cartucce previste dal trattato di Uccialli, pensa a uno scherzo o a un trucco. Invece funzionano. Pur avendo Menelik disatteso il trattato (che prevedeva il riconoscimento del protettorato italiano) il nostro governo ha ritenuto immorale non adempiere all’impegno preso... Questa decisione è la madre di Adua. Il padre è il generale Oreste Baratieri, un ometto pingue e palesemente inadeguato al ruolo di condottiero, a cui viene affidato il comando della spedizione. Baratieri sottovaluta il negus, «colosso dai piedi d’argilla», e si prende un primo schiaffone sull’Amba Alagi, nonostante il sacrificio del maggiore Toselli e dei suoi uomini, circondati da nemici dieci volte superiori per numero. Crispi spedisce a Baratieri un telegramma sferzante in cui lo esorta a vendicare al più presto l’umiliazione. Intanto si infittiscono le voci di una sua prossima destituzione: verso la fine di febbraio del 1896 il generale Baldissera si imbarca in incognito da Brindisi per andare in Africa a prenderne il posto.
In preda al panico, Baratieri lancia un attacco sgangherato. La mattina del primo marzo, 16 mila italiani assonnati sbucano nella piana di Adowa (Adua): hanno marciato tutta la notte con il morale sotto le scarpe rotte. Ad aspettarli ci sono 100 mila guerrieri abissini. Per colpa di mappe sbagliate e di guide infide, i tre tronconi del nostro esercito hanno perso i contatti tra loro e Menelik non ha difficoltà a spazzarli uno dopo l’altro. una carneficina. Al grido di «Ebalgume" Ebalgume!» («Falcia, Falcia!») l’assatanata cavalleria etiope dissolve la brigata del generale Dabormida, i cui resti non verranno mai trovati. Prima del calar del sole muoiono settemila italiani, più che in tutte le battaglie del Risorgimento. Fra loro anche Luigi Bocconi, a cui il padre intesterà la famosa università. Come sempre davanti alle sconfitte, l’Italia emotiva non si ricompatta, ma sbraca. Mentre a Milano gli operai scendono in piazza, sostenuti dalla borghesia che non ne può più di avventure coloniali, il vecchio Crispi si trascina alla Camera per annunciare le sue dimissioni. Al pari di tutti i demagoghi (il prossimo sarà Mussolini), ha immaginato un Paese guerriero che non esiste, spingendolo dentro l’abisso.